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Di che cosa parliamo quando parliamo di gestazione per altri

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Aharon Giladi (1907–1993), The Extended Family.

Tempo di lettura: 12 mins

Per prima cosa abbiamo perso di vista i diritti, quelli dei bambini nati e che devono nascere. Nella nebbia semantica causata dallo scontro delle parole: l’utero in affitto contro la gestazione per altri, la maternità surrogata contrapposta alla gravidanza solidale, le tutele da garantire ai più piccoli hanno assunto i contorni dell’incertezza. E poi si sono persi nella nebbia anche i diritti degli adulti: la donna procreatrice e le persone che sperano di diventare mamme e papà.

A una considerazione limitata del Diritto, nella sua accezione più alta, consegue una parzialità e indeterminazione degli obblighi e delle responsabilità, non ultima quella della genitorialità del singolo e della coppia, ma anche della comunità. Perché il “reato universale” proposto da Giorgia Meloni un paio di settimane fa per regolamentare in senso restrittivo la cosiddetta maternità surrogata e fatto proprio dalla Commissione Giustizia della Camera, nei fatti non esiste, in quanto di «difficile se non impossibile accertamento, di problematica prova, di quasi impossibile processabilità», per dirla con le parole di Domenico Cacopardo, ex magistrato e oggi scrittore.

Una sorta di divieto simbolico che finirebbe con danneggiare proprio quei bambini che dichiara di voler proteggere. Non è chiaro, infatti, quale dovrebbe essere il destino dei piccoli nati da una maternità surrogata, i cui genitori dovessero andare incontro alle punizioni previste dalla modifica della legge attuale, se mai ci sarà. Comunque il dibattito non è nuovo, già nel luglio 2020 in piena pandemia la allora vicepresidente della Camera Mara Carfagna presentò un’interrogazione parlamentare chiedendo «se alle coppie italiane coinvolte sia stata data la possibilità di viaggiare in Ucraina, anche durante il lockdown, per prendere i bambini».

Sommatoria di vaghezze

Ma andiamo con ordine. Discussioni feroci si svolgono in Italia intorno a cose poco conosciute e mal raccontate, cerchiamo perciò, per prima cosa, di attenerci ai dati di fatto. La pratica della cosiddetta maternità surrogata è già regolata nel nostro Paese dalla legge 40 del 2004, la quale prevede che «i nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli legittimi o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime». Questi bambini non possono essere disconosciuti. Tuttavia, il punto 6 dell’articolo 12 recita: «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro». E qui si colloca la proposta di modifica in senso universale fatta propria dalla Commissione Giustizia, che si limita ad aggiungere: «le pene si applicano anche se il fatto è commesso all’estero».

La legge 40 ha subito varie modifiche nel corso degli anni e oggi è possibile anche in Italia: l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) e procreazione assistita anche alle coppie fertili con malattie genetiche trasmissibili al bambino; la diagnosi genetica pre-impianto al fine di scoprire eventuali anomalie genetiche dell’embrione e impiantare solo embrioni sani, sia per le coppie fertili sia per quelle infertili; la possibilità di ricorrere alla fecondazione eterologa per le coppie eterosessuali; il congelamento (crioconservazione) degli embrioni eventualmente prodotti in eccesso da utilizzare qualora il primo impianto fosse inefficace o la coppia volesse altri figli in un secondo momento.

Resta, tuttavia, ancora vietata la procreazione assistita per le coppie omosessuali, che invece è consentita in molti Paesi europei ed è vietata anche la gravidanza o gestazione per altri (Gpa) ovvero il ricorso a una donna estranea alla coppia per portare avanti la gravidanza. La legge 40 condanna la maternità surrogata sempre e comunque, senza distinguere tra la forma commerciale, contrattualistica, a pagamento e la gravidanza solidale e altruistica, un percorso esclusivamente a titolo gratuito, vicino, per intenderci alla donazione cosiddetta samaritana di organi da vivente come è prevista e regolata in alcuni Paesi.

Questa mancanza di distinzione nella lettera della legge è quella che porta alla deriva semantica dell’utero in affitto, espressione orribile, che implica già un giudizio di merito e non descrive la realtà in tutta la sua complessità, appiattendo la procedura solo sulla sua versione a pagamento.

Ma la legge è vaga anche per quanto riguarda l’esito dei divieti e delle punizioni previste dall’articolo 12: che cosa succede dei bambini i cui genitori siano tali in quanto “realizzatori” di una maternità surrogata? L’articolo 12 prevede 10 commi, molto precisi e dettagliati nell’indicare le responsabilità degli operatori sanitari coinvolti nelle pratiche vietate, ma si perde nelle nebbie per quanto riguarda i genitori e i bambini. Se dovesse passare la proposta di modifica verso il reato universale, le cose diventerebbero ancora più vaghe alla luce delle difficoltà, se non impossibilità di applicazione. E, come sempre succede nelle incertezze normative, aprendo la strada ai percorsi illegali e agli abusi. Difficile divisare perché la Commissione Giustizia abbia deciso di accogliere una proposta che per fare chiarezza genera maggiore incertezza.

Nei 18 anni trascorsi tra l’entrata in vigore della legge 40 e oggi, varie sentenze e pratiche di giurisprudenza sono intervenute per ovviare al vuoto creato dalla legge, affidando ai tribunali le decisioni di adottabilità, spesso in maniera discrezionale e per lo più sotto il cappello dell’adozione prevista dalla legge del 1984 per i bambini “difficili”, ammessa anche nei confronti dei single e delle coppie conviventi, anche formate da persone dello stesso sesso. Così, tanti bambini nati in Italia in seguito alla procreazione medicalmente assistita, praticata all’estero, da coppie di donne, e i bambini nati all’estero grazie a tecniche di gestazione per altri hanno trovato finora una posizione giuridica.  Una posizione tuttavia limitata perché fino a due mesi fa potevano essere riconosciuti come figli solo dal genitore con cui esisteva un legame biologico provato dal Dna. Una discriminazione che li privava del diritto di avere legalmente fratelli e sorelle, nonni e zii. Finché lo scorso 24 febbraio una sentenza della Corte Costituzionale è intervenuta a sanare questa ingiustizia e a decretare l’uguaglianza per tutti i bambini, qualunque sia il percorso che li ha portati al mondo, in accordo con la legge 149/2001 «Diritto del minore a una famiglia», conformemente a quanto sancisce la Convenzione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (CRC), che individua i presupposti per l’attuazione del diritto di ogni bambino e bambina a una famiglia.

Le realtà di mercato

Che esista un mercato e vasto è facilissimo da verificare: basta googlare “maternità surrogata” e ai primi posti compaiono (in italiano) i siti delle tante agenzie all’estero che si occupano di mettere in contatto gli aspiranti genitori con le donne disposte a portare avanti la gestazione.

In queste settimane i media stanno raccontando le storie delle gestanti per altri ucraine (tra i Paesi con la legislazione più permissiva rispetto alla maternità surrogata), portate in salvo fuori dal paese in guerra da parte delle medesime agenzie che intendono salvaguardare il rispetto dei contratti stipulati. Sono gestanti anche per coppie italiane a cui spetta un compenso massimo di 10 mila euro, mentre il costo totale per i genitori è di 40 mila euro. Negli Stati Uniti i costi possono anche triplicare.

Lo sviluppo delle tecniche di fecondazione assistita degli anni ’90 del secolo scorso e in particolare della Fivet che consente alla madre surrogata di portare in grembo un bambino con cui non ha alcun rapporto genetico ha dato un forte impulso allo sviluppo della maternità per altri a pagamento e al suo trasferimento verso i Paesi con scarse risorse dove il costo della procedura è inferiore.

La realtà attuale della maternità per altri a pagamento può essere descritta così: da una parte persone benestanti che vivono per lo più in Occidente e desiderano un figlio e dall'altra donne che vivono nel Sud del mondo, in Europa orientale o donne vulnerabili dei Paesi Ocse che hanno solo i loro corpi e la loro fertilità da offrire.  Oggi la maternità surrogata commerciale vuol dire un giro di affari di miliardi di dollari, anche se i Paesi che la consentono si sono andati via via riducendo. L’India, per esempio, che per anni ha rappresentato un mercato da due miliardi di dollari l’anno, alla fine del 2018 ha vietato la versione commerciale, consentendo solo quella altruistica all’interno delle famiglie.

E in questa direzione si sono orientati o si stanno orientando la maggioranza dei Paesi, con qualche eccezione significativa, come alcuni stati degli Stati Uniti, il Sudafrica, l’Ucraina, la Russia.

Nell'Unione Europea la maternità surrogata, altruistica o commerciale, è legale in 12 dei 28 stati membri, ma attraverso un mosaico di leggi diverse e complicate, come quella italiana con quelle ambiguità di cui abbiamo parlato.

Per una nazione come l’Italia che si è fatta, giustamente, un vanto della propria sanità pubblica universalistica, lo spettro dello sfruttamento delle persone fragili e della costruzione di diseguaglianze tra gruppi della popolazione non può che portare a escludere una pratica che implica la riduzione a merce delle donne. Questa è da vietare, così come, senza clamore, è stata vietata la vendita di organi o sangue, ammessa invece in altri Paesi, tra cui i soliti Stati Uniti. Un divieto che ha abbattuto il rischio del mercato degli organi e promosso la donazione sicura (ascolta il podcast sul mercato degli organi).

Perché, allora, è tanto difficile considerare una seria regolamentazione della gestazione per altri in chiave altruistica, una pratica che non nuoce ai bambini e che non offende il corpo delle donne, purché possano scegliere, liberamente, di aderire a questo atto di generosità?

Il Regno Unito, i Paesi Bassi, la Danimarca, il Belgio e il Portogallo hanno legalizzato la maternità per altri solo a titolo gratuito. In quei Paesi la gravidanza solidale e altruistica consente oggi alle coppie eterosessuali non fertili (ad esempio alle donne con sindrome di Rokitansky, nate senza utero) e a quelle omosessuali di avere figli. Secondo la Sai, Surrogate Alternative Inc (società fondata da una donna che è stata a sua volta una madre surrogata) negli Stati Uniti, dove nel 1986 nacque Shira da Shannon madre per altri, sono oltre duemila le gravidanze in affitto portate a termine ogni anno. Non interessano solo coppie di gente famosa, ci sarebbe un costante incremento annuo del 20% e sette coppie su dieci sono eterosessuali, il resto coppie omosessuali e single. Quante siano esattamente le coppie italiane che ricorrono alla gestazione per altri non è dato sapere, ma si stima che siano almeno un centinaio gli atti di nascita che annualmente vengano trascritti dalle anagrafi italiane.

Progetto, progetti di genitorialità

Dal 13 aprile 2021 giace alla Camera la proposta di legge sulla gravidanza solidale e altruistica, messa a punto con la collaborazione della Associazione Luca Coscioni, con l’intento di «evitare situazioni di incertezza normativa e di tutelare i diritti di tutti i soggetti coinvolti e, in particolar modo, dei minori nati a conclusione di tale percorso, anche attuato all’estero, nella piena legalità in osservanza di normative straniere», come si legge nell’introduzione alla proposta di legge. Il testo, documentato e articolato, prevede la regolamentazione di tutte le fasi della procedura della gravidanza solidale e altruistica nel rispetto degli standard internazionali in materia dei diritti umani, ma anche in aderenza alle conoscenze scientifiche disponibili a oggi e da raccogliere per il futuro (per esempio l’articolo 8 prevede la creazione di un registro nazionale delle gestanti dedicato, tra l’altro, alla raccolta e all’analisi dei dati di salute).

Il 13 aprile scorso la Commissione Giustizia ha svolto l’audizione, in videoconferenza, di Filomena Gallo, avvocata esperta in diritto di famiglia e biodiritto, di Francesca Re, avvocata penalista, di Cinzia Ammirati, avvocata esperta in diritto di famiglia e di Massimo Clara, avvocato esperto in diritto di famiglia, nell’ambito dell’esame delle proposte di legge sulle modifiche alla legge 40. Il gruppo ha illustrato i motivi dell’impraticabilità della proposta di reato universale dal punto di vista giuridico e i presupposti legali, quanto scientifici, per una seria regolamentazione della gestazione altruistica. L’intera audizione si può ascoltare qui.

Ciò nonostante la Commissione Giustizia ha scelto di adottare come testo di base la proposta di estendere il divieto al mondo intero. Un approccio punitivo e non di tutela.

Per chi ha l’età di chi scrive è facile trovare analogie con le battaglie per la legalizzazione dell’aborto, per garantire la sicurezza delle donne e contrastare gli abusi del mercato illegale.

«Oggi consideriamo quella legge una conquista di civiltà e ricordiamo a chiunque sia contrario all'aborto che interrompere una gravidanza non è un obbligo. Allora come oggi, è evidente che in ogni scelta che riguarda il proprio corpo, è nell'indeterminatezza e nel divieto assoluto che nascono gli abusi», ha scritto la giornalista Jennifer Guerra su La Stampa. Una scelta, dunque, e anche se le donne disposte a portare avanti una gravidanza per generosità verso gli altri fossero comunque molto poche, ignorare completamente questa opzione è un venir meno della giustizia.

Molte persone faticano a credere che ci siano donne disposte a portare avanti una gravidanza solo perché animate da uno spirito generoso e caritatevole. Eppure ancora oggi molte gravidanze non sono frutto di una scelta consapevole.

Il recente rapporto dell’Agenzia delle Nazioni Unite per la salute sessuale e riproduttiva (Unfpa) documenta che per quasi la metà delle donne e ragazze rimanere incinta o meno non è una scelta pianificata, desiderata, cercata: la metà delle gravidanze nel mondo sono indesiderate. Ciò significa che il 6% delle donne di tutto il mondo ha una gravidanza involontaria. Ogni anno sono 121 milioni le gravidanze indesiderate e si stima che il 61% di esse finisca con un aborto.

In Italia, ci ricorda l’Istat, gli aborti spontanei sono circa 40.000 ogni anno, le interruzioni volontarie 70.000 e i parti 400.000, quindi circa 510.000 gravidanze delle quali 1 su 5 si stima sia indesiderata (102.000, praticamente la metà delle gravidanze avvenute senza l’uso di alcun contraccettivo - il 60% delle donne italiane usa un contraccettivo).

Perciò, garantire che l’uso, in contrasto all’abuso, del proprio corpo sia l’espressione di scelte informate e consapevoli da parte di ogni persona coinvolta investe l’intera vita: dalla nascita sino alla fine. E chi dovrebbe arrogarsi il diritto di giudicare le scelte di un’altra persona?

Tra le ragioni invocate dai critici della gestazione per altri c’è l’asserzione che diventare genitori non è un diritto. Eppure, il diritto alla procreazione è riconosciuto e anche quello di ricorrere a tutte le tecniche rese possibili dallo sviluppo della scienza.

Piuttosto è l’idea di che cosa significa oggi essere genitori che evolve in maniera disuguale nella società e il richiamo alla cosiddetta famiglia “naturale” serve a tranquillizzare chi non è disposto a riconoscere i cambiamenti.  Se per “essere genitori” oggi si intende prendersi cura e rispondere in modo adeguato ai bisogni dei figli che mutano a seconda della loro fase evolutiva, ciò vuol dire confrontarsi con l’attivazione di un processo dinamico (la genitorialità) che inizia ancor prima della nascita del figlio e forse anche prima del suo concepimento e persiste per molto tempo. Essere genitore è una delle esperienze straordinarie della vita che permette di provare sentimenti di enorme gioia, amore, orgoglio, emozione e felicità basati su un rapporto positivo e ricco tra i genitori e con i figli e non dalle relazioni di parentela definite dal profilo genetico individuale. Si può quindi essere bravi genitori con l’aiuto solidale, altruistico e gratuito nel generare un figlio per costruire un rapporto forte e duraturo e a garanzia dei suoi diritti.

«La gestazione per altri è un universo ricco e complesso di rapporti di cui ancora pochissimo si sa, rapporti che alterano l'immaginario collettivo e proprio per questo oggi chiedono di essere visti e compresi», rifletteva lo scrittore Jonathan Bazzi su il Domani.

Ma forse, il commento più calzante l’ha trovato un’adolescente già qualche anno fa:

«Ogni volta che viene usata l’espressione “famiglia naturale” , un antropologo muore fra atroci sofferenze» scriveva la giovane palermitana Veruska Alovna in un post su Facebook divenuto subito virale. Perché i diritti per gli altri sono i diritti per tutti.

 


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Crediti immagine: modificata da Kai Oesterreich/Wikimedia Commons. Licenza: CC BY-SA 3.0

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