fbpx A dieci anni dal sequenziamento del genoma umano | Scienza in rete

A dieci anni dal sequenziamento del genoma umano

Primary tabs

Tempo di lettura: 5 mins

La sequenza dell’intero genoma - tre miliardi di lettere che contengono  le istruzioni per fare quelli che si pensava fossero 35 mila geni - s’è completata nel 2000.”La più grande rivoluzione dopo Leonardo” ha detto qualcuno. Il 26 giugno Francis Collins e Craig Venter erano lì, alla Casa Bianca, accanto al presidente  Clinton. “La scienza del genoma cambierà la nostra vita e ancora di più la vita dei nostri figli. Sarà una rivoluzione per la diagnosi, la prevenzione e il trattamento della maggior parte se non di tutte le malattie dell’uomo”. Questo, fra l’altro, nel discorso del Presidente di quel giorno. Sono passati  dieci anni, conosciamo i geni responsabili della depressione, dell’insonnia, del fatto che uno sia religioso  o no, e sappiamo che chi ha certi geni ha più possibilità che il matrimonio duri a lungo, chi ne ha altri di separarsi. Ma da allora la nostra vita non è cambiata e nemmeno lo stato di salute.

Anche Collins aveva fatto le sue previsioni quel giorno. “Nel giro di dieci anni – aveva detto - si potranno prevedere certe malattie rare, i test genetici saranno disponibili ai medici di medicina  generale e per qualche malattia si potrà fare la diagnosi prima di impiantare un embrione in utero (e questo solleverà tante discussioni)”. Collins ci aveva visto giusto, tutto quello che aveva previsto quel giorno è successo davvero compreso che  la medicina genetica “almeno all’inizio sarà soprattutto per i ricchi e chi vive nei paesi emergenti non ne avrà grandi benefici”.

Ma nemmeno Clinton ha sbagliato poi così tanto. La scienza del genoma la cambierà davvero la nostra vita e anche presto.  Oggi sequenziare il genoma costa 14 mila volte in meno che dieci anni fa  (adesso lo si può fare con meno di 1000 dollari). L’intero genoma di 13 persone è già stato sequenziato e nel 2011 saranno 1000 persone – americani, ma anche europei, asiatici, africani.

E tutto questo a cosa serve? A capire – si pensava - chi rischia di più per malattie comuni come il diabete, l’autoimmunità, il cancro, le malattie del cuore. I progressi più straordinari sono stati nel campo delle malattie rare.  Lì è più facile perché per la maggior parte si tratta  di mutazioni di singoli geni. “Ho impiegato vent’anni e speso 50 milioni di dollari per trovare il gene responsabile della fibrosi cistica, quel lavoro lì adesso lo potrebbe fare un bravo studente che abbia un sequenziatore (serve per mettere in fila i geni che ci sono nel nostro DNA) e accesso a internet in modo da poter confrontare le sequenze che trova con quelle già pubblicate” ha scritto Francis Collins su Nature in questi giorni.

Ma trovare un gene è solo il primo passo, non vuol dire ancora aver trovato la cura della malattia anche se in qualche caso dal gene si è già passati alla proteina e dalla proteina al farmaco. E’ il caso di una decina di malattie, proprio come aveva previsto Collins. Aver sequenziato il genoma aiuterà anche a poter curare il cancro. Qui si stanno muovendo i primi passi “Trastuzumab, imatinib, gefitinib, erlotinib” nomi astrusi per altrettanti farmaci biologici che si legano ad un certo recettore con la precisione di una chiave che si infila nel buco della serratura ed impediscono a certe forme di tumore di crescere. Quei recettori e la loro funzione si sono potuti scoprire grazie a tutti quelli che hanno lavorato al progetto genoma. E la cosa nuova - e bellissima - di questo tipo di ricerca è che tutti hanno accesso ai dati degli altri.

Insomma a dieci anni dall’aver sequenziato il genoma qualche passo avanti si è fatto con vantaggi reali per certi ammalati di malattie rare e per poche forme di tumore. Ma le speranze che conoscere il DNA aiutasse a capire le cause del diabete, dell’Alzheimer, dell’infarto del cuore e di tante malattie comuni non si sono trasformate in niente di rilevante sul piano clinico. Forse le malattie comuni sono causate da tante varianti (polimorfismi) ciascuna relativamente rara in tanti punti del DNA. Allora si capisce perché è così difficile trovare cure che vadano bene per tutti gli ammalati di malattie molto comuni. E c’è di più. L’essere stati capaci di sequenziare il genoma ha fatto capire che adesso per avere i benefici che tutti ci aspettiamo per la salute dell’uomo servono conoscenze nuove soprattutto di bioinformatica ed esperti che sappiano ricavare dall’enorme quantità di informazioni che derivano dall’analisi del nostro DNA i soli dati rilevanti a capire la causa delle malattie. L’errore che è stato fatto dopo l’annuncio della sequenza del genoma, è stato forse di pensare “adesso sarà facile capire le cause delle malattie e trovare i farmaci per curarle, sarà solo questione di pochi mesi o pochi anni”.

Non è stato così, anche se succederà, certamente ma non sarà subito. Ci vorranno decenni. E poi si dovrà capire come, perché e dove si esprimono certi geni e chi contribuisce a conservarli o a modificarli (nel bene e nel male). E la prossima sfida sarà il rapporto tra i geni e le condizioni ambientali. Molti di quelli che fumano si ammalano di cancro del polmone e quasi tutti vivono meno di chi non fuma, ma qualcuno no, non si ammala e vive a lungo, perché? Per certi tumori, una volta considerati incurabili, qualcuno guarisce già oggi con certi farmaci biologici, ma la maggior parte di quelli che si ammalano dello stesso tumore muore, perché?  

“Abbiamo già visto cose straordinarie in questi dieci anni - hanno chiesto in questi giorni a Francis Collins – forse che il più è stato fatto?” “Sono pronto a scommettere che le cose più importanti le dobbiamo ancora vedere”.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Di latticini, biotecnologie e latte sintetico

La produzione di formaggio è tradizionalmente legata all’allevamento bovino, ma l’uso di batteri geneticamente modificati per produrre caglio ha ridotto in modo significativo la necessità di sacrificare vitelli. Le mucche, però, devono comunque essere ingravidate per la produzione di latte, con conseguente nascita dei vitelli: come si può ovviare? Una risposta è il latte "sintetico" (non propriamente coltivato), che, al di là dei vantaggi etici, ha anche un minor costo ambientale.

Per fare il formaggio ci vuole il latte (e il caglio). Per fare sia il latte che il caglio servono le vacche (e i vitelli). Cioè ci vuole una vitella di razza lattifera, allevata fino a raggiungere l’età riproduttiva, inseminata artificialmente appena possibile con il seme di un toro selezionato e successivamente “forzata”, cioè con periodi brevissimi tra una gravidanza e la successiva e tra una lattazione e l’altra, in modo da produrre più latte possibile per il maggior tempo possibile nell’arco dell’anno.