Tra
gli scopi di questo libro c’è l’individuazione delle caratteristiche che
permisero ad Albert Einstein di elaborare le teorie che l’hanno reso una
celebrità anche al di fuori del mondo scientifico. Non era facile riuscire
nell’intento, soprattutto evitando i luoghi comuni. La prima impressione che si
ha dopo aver letto il libro e riflettuto sull’elenco delle qualità, otto per
l’esattezza, che costituiscono gli ingredienti della singolare miscela, è che
l’autore ci sia andato molto vicino.
Tra queste c’era la capacità di
concentrazione che portava Einstein ad isolarsi da mondo, in qualsiasi
situazione, per riflettere sui problemi irrisolti, la perseveranza e, non
ultima, l’assoluta certezza, anzi la fede, che l’universo fosse regolato da
leggi semplici e generali.
Non era una fede di tipo religioso tradizionale ma come questa prescindeva da
fatti o evidenze concrete. Sarà stato per tutte queste doti, ma soprattutto per
la capacità di estraniarsi dalle beghe della quotidianità e ideare esperimenti
mentali complessi che, verso la fine del libro (p. 149), spunta il termine
“eremita del pensiero”, un po’ in antitesi con il ritratto di “giovane di
grande fantasia ma poca costanza, gaudente (anche un po’ donnaiolo) e
assolutamente critico verso tutto il sistema costituito, con le sue regole e i
suoi dogmi” (p. 70).
Eremita, come si sa, è colui che decide di appartarsi dal mondo per ragioni di
carattere religioso o contemplativo.
Sembra ovvio, pertanto, che il termine
risulti poco calzante per Albert Einstein ma l’autore lo impiega citando Abraham Pais (1918-2000), il quale ci
ricorda che i “rivoluzionari” che cambiarono il mondo della fisica erano
personaggi molto diversi fra loro. In effetti, come ci spiega più volte
l’autore, il modo di lavorare di Einstein era davvero singolare e la sua
definizione appare giustificata, benché oggi, ai tempi del “lavoro d’equipe”,
concepire l’idea che un uomo abbia potuto raggiungere in solitudine quelle
vette, può non essere facile. Ma cosa distingueva Einstein dagli altri
grandi? Planck era il professore
universitario classico “che più classico non ce n’è”, mentre Einstein , anche
quando collaborava con gli altri scienziati, rimaneva comunque un pensatore un
libero e isolato.
Che dire poi del fatto che il Prof. Einstein non abbia mai assegnato una tesi di laurea? Certo aveva ben altre occupazioni ma chissà come verrebbe valutato oggi da una di quelle Commissioni alle prese con la valutazione della produttività scientifica dei docenti e dei Dipartimenti, stabilendo classifiche di merito fondate su parametri come h-index, g-index o m-index eccetera? La risposta, secondo l’autore di questo libro, può meravigliare ma sembra certo che Einstein avrebbe avuto punteggi bassi in tutti questi indicatori. Se dalla valutazione dei risultati scientifici si passasse poi a quelli didattici, come la mettiamo con il fatto che Einstein non assegnò mai una tesi di laurea a uno studente? A Einstein piaceva molto insegnare, anche ai bambini, ma era un professore un po’ stravagante e gli studenti di oggi, nonostante ne esibiscano l’effigie sulle t-shirt, come accoglierebbero i fagioli in scatola che Einstein offrì a tre ragazzine cui impartiva lezioni private?
A
parte alcuni gustosi aneddoti sulla vita e il temperamento di Einstein e gli
ironici raffronti con l’attualità, il libro espone con piglio sicuro quanto è
necessario per apprezzarne la grandezza. Al capitolo 3, ad esempio, si cimenta
con la teoria della relatività ristretta elaborata intorno al 1905, poi con quella
sul moto browniano (cap. 4), l’effetto fotoelettrico (cap. 5) e, infine, (nel
cap. 6) con la teoria della relatività generale. È un percorso seducente, che può
provocare una sorta di vertigine ma che il lettore timoroso può affrontare
senza il timore di smarrirsi. Questo è possibile perché gli esempi sono scelti
fra i migliori che la letteratura propone, perché l’autore ha il dono di una scrittura
briosa, quasi allegra e, forse, perché ogni tanto inserisce qualche divertente cenno
autobiografico. È il caso del professore di scuola media che non volle
spiegargli la relatività perché “era troppo piccolo” o a quello di Università
che se la cavò dicendogli che “tutto è relativo”.
Il ragazzino curioso aveva
tentato di avvicinarsi alla tana del grande leone ma forse il professore non
aveva torto a chiedergli di pazientare visto che, perfino Albert, molto tempo
prima (10 marzo, 1914), rivolgendosi all’amico Heinrich Zangger gli aveva scritto: “La natura ci mostra solo la
coda del leone. Ma non ho dubbi sul fatto che dietro vi sia il leone anche se
non può mostrarsi tutt’a un tratto a causa dell’enorme mole”.