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Eva Kondorosi, premio Balzan per l'agricoltura del futuro

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Eva Kondorosi-premio Balzan

La biologa delle piante Eva Kondorosi riceve dal presidente Sergio Mattarella il premio Balzan (700.000 euro) all'Accademia Nazionale dei Lincei.

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Ci voleva proprio che uno dei premi Balzan di quest’anno andasse a Eva Kondorosi, la ricercatrice di origine ungherese che ha studiato i meccanismi molecolari che consentono alle leguminose di fissare l’azoto nelle radici grazie alla simbiosi con i batteri del genere Rhizobia. Non è una scoperta da poco, visto che la capacità delle piante di fissare l’azoto, soprattutto in terreni poveri come in molti paesi in via di sviluppo, rappresenta la sfida principale della sicurezza alimentare. Se l’agricoltura intensiva inaugurata con la Rivoluzione verde ha garantito decenni di sviluppo anche grazie ai fertilizzanti di sintesi, ora si devono battere nuove strade di un’agricoltura più sostenibile. Questa esigenza, a dispetto delle polemiche di questi giorni fra pro e contro l’agricoltura biologica, è stata richiamata nel suo discorso di accettazione del premio dalla stessa Kondorosi (riportato in fondo), che per il suo pedigree scientifico è anche vicepresidente del Consiglio scientifico dell’European Research Council.

Per capire meglio il contributo della Kondorosi all’ecologia agraria, abbiamo posto qualche domanda a Paola Bonfante, scienziata dell'Università di Torino, accademica dei Lincei e fra le più grandi esperte di relazioni fra funghi e piante, e in particolare studiosa di micorrize, ovvero delle simbiosi che alcuni funghi del suolo formano con le radici delle piante.

Il campo principale di studio di Eva Kondorosi è la simbiosi che si instaura fra un particolare gruppo di batteri - i rizobi- e le radici delle leguminose, consentendo loro di fissare l'azoto nelle radici. Ci può spiegare il significato scientifico di queste ricerche? Che importanza ha la simbiosi nel mondo vegetale?

L’azoto è un elemento fondamentale per la vita: è presente negli acidi nucleici, negli aminoacidi, nelle proteine. Noi viviamo in una atmosfera ricca di azoto (70,8%), ma nessun eucariote (animali, piante, funghi) è in grado di usare questo azoto molecolare (N2) e ridurlo ad ammoniaca (NH3). Un piccolo gruppo di batteri tuttavia sa realizzare questa trasformazione, grazie a un’associazione con le radici di alcune piante. La simbiosi più diffusa tra batteri fissatori di azoto e vegetali è quella che si realizza tra i rizobi e le leguminose e che porta a un nuovo organo: il nodulo radicale. Il nodulo si produce come risultato di un complesso dialogo molecolare tra i due partner ed è il sito dove agisce l’enzima batterico (la nitrogenasi) che trova nel nodulo le condizioni ottimali per funzionare (una bassa concentrazione di ossigeno, alto potere riducente e ATP) producendo ammoniaca che viene rilasciata alla pianta ospite.

Nel suo discorso di accettazione del premio, Eva Kondorosi si augura che questi meccanismi di simbiosi fra microrganismi del terreno e radici delle leguminose possa un domani essere trasferito anche ad altre piante di maggiore interesse alimentare, come i cereali. Come può avvenire questo passaggio? Che ruolo possono giocare le moderne tecniche di miglioramento generico, come il gene editing?

I fertilizzanti azotati sono alla base della rivoluzione verde: essi vengono prodotti grazie al famoso processo Haber Bosch che produce NHe assicura quei 500 milioni di tonnellate di fertilizzanti azotati richiesti dall’agricoltura mondiale, utilizzando l’1% dell’energia terrestre, ma sostenendo indirettamente il 40% della popolazione globale.1 E’ chiaro che in paesi poveri come le comunità africane subsahariane i contadini ottengono rese del 15-20% inferiori alle potenzialità, in quando non hanno le risorse per acquistare i fertilizzanti. Alcuni progetti finanziati dalla Bill and Melinda Gates Foundation hanno lo scopo di verificare se sia possibile trasferire la fissazione simbiontica a piante essenziali per l’agricoltura africana, come mais e grano. Giles Oldoyd, uno dei leader di questi progetti, sostiene che “per la rivoluzione verde africana è necessario un nuovo metodo di fertilizzazione dell'azoto. Fornire nuove tecnologie nell'ambito delle sementi delle colture ha molti vantaggi sia per gli agricoltori sia per l'ambiente, in termini di autosufficienza ed equità”.2 Primi risultati positivi sono stati ottenuti verificando che anche i cereali condividono con le leguminose alcune tappe del percorso (pathway) di segnalazione che è alla base del processo simbiontico e della formazione del nodulo. La strada è tuttavia ancora molto lunga, ma il genome editing potrà sicuramente offrire vie sperimentali facilitate per l’inserimento di geni specifici.

Cosa si intende con “rivoluzione microbica”?

La rivoluzione verde che tradizionalmente viene identificata come il risultato dell’attività del premio Nobel 1970 per la pace Norman Borlaug3 ha portato a una agricoltura intensiva, ad alta resa, basata su varietà che rispondono al meglio dopo fertilizzazione e che richiedono un importante input di erbicidi e fitofarmaci. La rivoluzione verde ha portato a molti benefici (in primis ha assicurato le 1800-2000 calore giornaliere a una gran parte della popolazione mondiale), ma la sua applicazione ha portato a effetti anche devastanti per l’ambiente, ed è oggi considerata non più sostenibile. Accanto a tutte le piante già ottenute dai ricercatori, che hanno usato svariate tecniche di genetica molecolare per consegnare alla società piante resistenti a stress biotici e abiotici, si può associare l’uso di microrganismi fertilizzatori, come rizobi, batteri che rientrano nella tipologia dei Plant growth promoting rhizobacteria, oltre che di funghi del suolo. L’uso di questi microbi può portare a una vera rivoluzione microbica in agricoltura.

Ho letto che il suo oggetto prediletto di studio - le micorrize - viene proposto già oggi come alternativa all'uso di fertilizzanti chimici, per esempio dall'agricoltura biologica.

Se i rizobi assicurano alla pianta l’azoto ridotto necessario, i funghi micorrizici arbuscolari si comportano anch’essi da biofertilizzanti, rilasciando nella pianta ospite una parte del fosforo che assorbono dal suolo. Questi funghi vengono già usati in molte colture in campo da soli o in associazione con batteri allo scopo di stimolare la crescita delle piante, senza aumentare l’uso dei fertilizzanti. Queste pratiche si configurano pertanto come applicazioni di una agricoltura organica, o più genericamente di una agricoltura a minor uso di fertilizzanti.

Cosa pensa delle attuali polemiche che oppongono sostenitori del biologico e di altre forme di agricoltura?

Le polemiche che oppongono sostenitori del biologico rispetto all’agricoltura ad alta resa spesso non chiariscono gli obiettivi che sono assai diversi: la resa con l’agricoltura convenzionale è sicuramente più elevata, dal 20 al 30%. Se l’obiettivo è di assicurare una produttività vegetale che continui a garantire le calorie necessarie a una popolazione crescente, l’agricoltura intensiva è sicuramente la scelta migliore. Se guardiamo ad altri fattori (ad esempio la biodiversità dei microrganismi del suolo, la quantità di carbonio immagazzinato, o l’erosione del suolo) questi sembrano essere decisamente più positivi nei campi dove si fa agricoltura organica. Altri fattori non sono stati scientificamente provati.4

 

Premio Balzan 2018 per l’ecologia chimica a Eva Kondorosi

Motivazione

Per i suoi importanti contributi all’ecologia chimica tramite studi di avanguardia sulla biologia molecolare della simbiosi tra piante leguminose e batteri azotofissatori, compresa l’identificazione dei geni della nodulazione e dei componenti della famiglia del fattore Nod, espressione dei geni di nodulazione tramite flavonoidi, così come la regolazione del ciclo della cellula e la differenziazione del batteroide durante l’innesco della simbiosi.

Discorso di accettazione

Eva Kondorosi (Accademia Nazionale dei Lincei, 23 November 2018)

Mr. President,
Members of the Balzan Foundation,
Distinguished Guests,
Ladies and Gentlemen,

I am greatly honoured to be the recipient of the Balzan Prize in the field of chemical ecology. The Balzan Prize is a dream for scientists, comparable in prestige to the Nobel Prize. It reflects the personality of Eugenio Balzan, an exceptional person who stood for democratic values and freedom. Freedom is particularly important for scientists, since it is indispensable for creativity and for great discoveries in research. Nowadays, scientific freedom and the future of science are a cause for concern in many countries. I am firmly convinced that we as scientists have a collective responsibility to defend creative freedom in all research fields to ensure the future of science and mankind.

I was absolutely delighted to receive the message that I had been awarded the Balzan Prize. I was aware that the discoveries I made with my research group have probably had an extraordinary impact in the field of symbiosis and beyond, but standing here as a Balzan Prizewinner is a thrilling and stunning experience. After the first moments of joy and of feeling personally rewarded, there comes an even more gratifying revelation: the research opportunity which the Balzan Prize offers to me and to an international team of motivated and very talented young researchers.

My field of research is symbiotic nitrogen fixation, a fascinating example of chemical ecology with a wide range of chemical and peptide signals for consecutive communication between Rhizobium soil bacteria and legume plants. While this dialogue is one of the most exciting parts of symbiosis, symbiotic nitrogen fixation is crucial in providing nitrogen nutrition for legumes from airborne nitrogen. For their growth, all other plants need nitrogen fertilizers, which pollute the environment, the soil, the water and the air, and contribute to climate change and biodiversity loss. However, even maximal agricultural productivity with the most extreme use of nitrogen fertilizers will not satisfy the food demand of the growing human population on Earth. Therefore, a future solution could be to extend non-polluting symbiotic nitrogen fixation to non-legumes, and particularly to major crops. The scientific community has already been working on solutions, but there is still a long way ahead of us.

When I joined this research field in 1982, it was not known how bacteria and plants communicate with each other, or which bacterial genes are essential for the formation of the symbiotic plant organ, the root nodule. We felt great joy, success and satisfaction in our Hungarian laboratory when we first identified the Rhizobium nodulation genes which induce symbiosis with the host legume. Collective work by many laboratories all over the world later showed that these genes are involved in the biosynthesis of bacterial signals, the Nod factors by which the bacterium communicates with its host plant.

Our recent work, generously supported by the Hungarian Office for Research and Technology and subsequently by my Advanced Grant from the European Research Council, is focused on the fate of bacteria within plant cells. In legumes like alfalfa or peas, the bacteria within the plant cells undergo tremendous morphological and physiological changes. With my French and Hungarian teams, we have discovered that the differentiation process of bacteria is controlled by the plant. We identified hundreds of plant peptides in the symbiotic cells which, as signals, sensors or effectors, can initiate, modulate and progressively terminate the differentiation of bacteria. As we have discovered these peptides just recently, we only know the function of a few of them. While they are unique classes of peptides, they show structural similarities to antimicrobial peptides. Many of them indeed have strong antimicrobial activity in vitro and appear to be excellent candidates for novel antibiotics.

Thus the results we have obtained so far open up new avenues leading to unexplored territories not only in the fields of chemical ecology and molecular and developmental biology, but also in medical research. I look forward to using the second half of my generous prize from the Foundation to explore these challenges further with my Balzan research project.

I share this exceptional recognition not only with my co-workers, with many students, postdocs and visiting fellows, but especially with my late husband, Adam Kondorosi, an outstanding geneticist and worldwide leader in our field who left us too young, many years ago. Adam and Eva – we were a symbol for symbiosis, complementing each other in our life and scientific work. Only our daughter, Fanny would have loved another profession for us, so that we could have spent more time together. By now she understands what science meant for us and how much we loved her. I know that she is very proud of me.

Let me express again my sincere thanks to the General Prize Committee and to the Balzan Foundation for bestowing this great honour on me.

Note
1. Dent and Cocking, Agriculture & Food Security 20176:7 2017
2.  https://www.synbio.cam.ac.uk/news/prof-giles-oldroyd-joins-sainsbury-lab-to-engineer-nitrogen-fixing-cereals
3. https://www.nytimes.com/1975/04/27/archives/the-green-revolution-lives-the-green-revolution.html
4. Un’analisi eccellente che mostra un confronto tra le due forme di agricoltura si può trovare nel recente articolo di Knapp e van der Heijden, pubblicato su Nature Communications nel 2018.

 

 


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