fbpx Famiglie arcobaleno: il vuoto normativo genera mostri | Scienza in rete

Famiglie arcobaleno: il vuoto normativo genera mostri

Le procedure di procreazione medicalmente assistita hanno cambiato il profilo delle famiglie possibili, ma il vuoto normativo che affligge il nostro paese riguardo la tutela di tutte le componenti delle famiglie omogenitoriali ha fatto sì che nelle ultime settimane si avviassero procedimenti che hanno come primo risultato la perdita di uno dei genitori per i bambini e le bambine arcobaleno.

Crediti immagine: Freepik

Tempo di lettura: 10 mins

Il 19 giugno scorso ha ripreso l’iter legislativo la proposta di legge che intende fare della gestazione per altre persone un reato universale (ne abbiamo scritto qui), proposta che sembrava destinata a una veloce approvazione, ma che affronta ora la discussione su un emendamento dell’opposizione. Più o meno in contemporanea la procura di Padova ha reso noto di voler impugnare 33 certificati di nascita relativi a 33 coppie di mamme, registrati dal sindaco Sergio Giordani dal 2017 a oggi. Un’azione a ritroso che di fatto cancella il cosiddetto ''genitore 2'', la mamma non biologica, dallo stato di famiglia, rettificando anche il cognome del bambino o della bambina. Di questo intervento i media hanno raccontato che alcune coppie di mamme lesbiche hanno ricevuto una raccomandata che annunciava il procedimento in corso. Ma poi, ancora una volta, non se ne è parlato più.

Meglio così, ci sono altri problemi più urgenti e cogenti da affrontare? Certamente problemi urgenti e importanti ci sono e vanno affrontati. Ma pensiamo anche che ragionare di coppie omogenitoriali e bambini arcobaleno non sia un vezzo di poche persone accecate dall’ideologia e che l’attuale intrico di sentenze contraddittorie, vuoti legislativi e mancati riconoscimenti ci dicono quanto la nostra società sia lontana dall’aver prodotto un corpo giuridico che possa riconoscere le trasformazioni legate alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, accompagnando e non ostacolando chi a queste fa ricorso. Si tratta pur sempre di affrontare istanze che si abbattono sulla vita delle persone e soprattutto delle componenti più giovani del nostro vivere sociale. Si tratta di ragionare di diritti dei bambini e delle bambine e dei loro genitori.

Famiglie senza legge, divieti senza motivo

Degli oltre 25 milioni di famiglie che vivono oggi in Italia, quelle cosiddette monoparentali sono il 4%, ma rappresentano il 12,5% di quelle con figli. Quante siano le famiglie omogenitoriali non si sa perché finora nessuno le ha contate. Le attuali normative, però, sono state pensate (e probabilmente ben si applicano) per una parte di queste famiglie, in qualche modo sono state aggiustate nel tempo per un'altra parte, ma sono del tutto inadeguate per una minoranza, di cui peraltro sappiamo ben poco. Sono persone prive di rappresentanza e di diritti. Ma non basta, oltre alla lettera della legge non si può ignorarne lo spirito e, purtroppo, lo spirito sembra essere soprattutto quello di rendere difficile e faticoso il percorso verso le nuove famiglie. Il riferimento normativo che supporta l’intervento della procura di Padova contro le 33 coppie di madri omogenitoriali è l’ordinanza della Corte di Cassazione, Sez. I Civile del 4 aprile 2022, n. 10844 che ha stabilito che «non è accoglibile la domanda di rettificazione dell’atto di nascita volta ad ottenere l’indicazione in qualità di madre del bambino, accanto a quella che l’ha partorito, anche della donna a costei legata in stabile relazione affettiva, poiché in contrasto con la legge n. 40/2004, art. 4, comma 3, che esclude il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita da parte delle coppie dello stesso sesso».

Dunque, non solo la gestazione per altre persone, il cui divieto rende altrettanto non applicabile la domanda di riconoscimento per le coppie omogenitoriali maschili, ma anche la fecondazione eterologa per coppie di donne è pratica vietata. Ma perché? Se nel caso della GPA esiste tuttora una necessità forte di normarne le procedure per escludere gli abusi (il famoso utero in affitto), quando si tratti di fecondazione eterologa per coppie di donne in cui magari una fornisce l’ovocita (che sarà fecondato da un donatore) e l’altra porta avanti la gravidanza, che motivo c’è per vietarla? Su questo Chiara Saraceno ci ricorda che nel nostro paese «per un peculiare meccanismo giuridico, la paternità genetica è riconosciuta agli uomini (…) il cui contributo biologico alla procreazione è costituito esclusivamente dalla fornitura di sperma, ma la maternità è riconosciuta solo alla gestante, anche se non è madre biologica». Che dire? Una bella botta di patriarcato che fa giustizia del padre putativo e, soprattutto, lega indissolubilmente l’idea di gestazione con quella della maternità. E si capisce dove affondano le radici tante disquisizioni che abbiamo letto e sentito sulla maternità (appunto) surrogata.

Il 30 dicembre dello scorso anno la Corte di Cassazione a Sezioni Unite aveva peraltro sancito (sentenza n. 38162) che i bambini nati all’estero con la maternità surrogata da due padri gay non devono essere riconosciuti con la trascrizione automatica (gli atti compiuti dai sindaci intorno ai quali si è svolta una contesa politica) ma utilizzando lo strumento “dell’adozione in casi particolari”. E con lo stesso spirito proattivo che sembra animare la procura di Padova, a gennaio di quest’anno il ministero dell’Interno ha sollecitato i prefetti, che hanno il compito di far valere le sue direttive a livello territoriale, ad applicare la sentenza, chiedendo l’annullamento dei riconoscimenti alla nascita. Di recente, il prefetto di Milano ha imposto al sindaco di utilizzare le adozioni in casi particolari anche per riconoscere i figli nati in Italia da due madri. Dopo di che, come abbiamo visto, si è mossa anche la procura di Padova. Insomma, gli unici interventi degli ultimi mesi sono rivolti a togliere ai bambini e alle bambine almeno uno dei genitori. È difficile sostenere che sia fatto per il loro bene, tanto più che ormai non mancano gli studi che dimostrano non esserci differenza tra bambini e bambine delle famiglie arcobaleno a confronto con quelle cosiddette tradizionali.

Responsabili di omissione

Gli interventi per bloccare le registrazioni alla nascita, così come lo stato giuridico non uniforme delle famiglie omogenitoriali, sono possibili perché l’Italia, a differenza della maggior parte dei paesi europei, non ha mai varato una specifica legge di tutela.

Come per il fine vita, è stata la stessa Corte Costituzionale a richiamare il parlamento e la politica a intervenire, mettendo in evidenza il vuoto giuridico che lascia senza tutela i figli e le figlie delle famiglie arcobaleno e genera discriminazione. Forse con un pizzico di schizofrenia, nella stessa sentenza del 30 dicembre scorso si può leggere che in ogni caso: «Il nato non è mai un disvalore... non ha colpa della violazione del divieto di surrogazione di maternità ed è bisognoso di tutela come e più di ogni altro». Inoltre la Corte Costituzionale ha stabilito che la tutela dell'interesse del minore passa anche attraverso il riconoscimento giuridico del legame con entrambi i componenti della coppia. Tuttavia, la mancanza di una legge fa sì che le famiglie siano nelle mani dei giudici, delle interpretazioni e delle battaglie politiche.

Un bisogno di maggiori strumenti di tutela intercettato anche dall’Unione Europea che il 30 marzo scorso, in sede di Parlamento europeo ha approvato l'emendamento presentato dal gruppo Renew Europe con il paragrafo 9bis alla Risoluzione sulla "Situazione dello Stato di diritto nell'Unione Europea". L'Unione Europea, recita la versione finale del testo:

  • condanna le istruzioni impartite dal governo italiano al comune di Milano di non registrare più i figli di coppie omogenitoriali
  • ritiene che questa decisione porterà inevitabilmente alla discriminazione non solo delle coppie dello stesso sesso, ma anche e soprattutto dei loro figli
  • ritiene che tale azione costituisca una violazione diretta dei diritti dei minori, quali elencati nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza del 1989
  • esprime preoccupazione per il fatto che tale decisione si iscrive in un più ampio attacco contro la comunità LGBTQI + in Italia
  • invita il governo italiano a revocare immediatamente la sua decisione.

Che le colpe dei padri ricadano sui figli…

«La giovane età della bambina esclude che la modifica del cognome, come richiesto, possa avere ripercussioni sulla sua vita sociale». Così si legge nel ricorso del Procuratore di Padova Valeria Sanzari, con cui richiede al Tribunale Civile di rettificare l'atto di nascita di una bimba di quasi 6 anni, figlia biologica di una donna, e che nell'atto di nascita è registrata anche con il nominativo della compagna di quest'ultima come "secondo genitore".

Davvero possiamo pensare che per la piccola non ci sarà nessun problema se una delle sue mamme sarà di colpo definita pubblicamente meno mamma dell’altra? (Con buona pace di tutte le polemiche che ci sono state sulla adozione del termine secondo genitore). Cancellare la trascrizione dei figli di coppie omogenitoriali rende di fatto illegittima l'indicazione nell'atto di nascita del nominativo del genitore intenzionale e al di là dell’atto formale sappiamo che questo porta con sé molte conseguenze pratiche, quotidiane. Quella che fino al giorno prima era la sua seconda mamma non potrà più andare a prenderla a scuola senza una delega dell’altra mamma, non potrà accompagnarla dal medico o assisterla in ospedale senza esplicite autorizzazioni, sarà difficile viaggiare con lei da sola… Altro che, se la vita sociale di questa bambina subirà un cambiamento, più di tutto il fatto che qualcuno le dovrà spiegare perché sta succedendo tutto questo.

L’Italia, si sa, non è un paese per giovani, ce lo conferma l’inverno demografico e le tante contraddizioni che lo alimentano, tra cui la riluttanza a riconoscere la cittadinanza alle persone nate e cresciute in Italia seppur da genitori stranieri.

Ma sul fronte dei diritti dei bambini arcobaleno, ormai nel nostro paese l’unico strumento per il cosiddetto genitore intenzionale di essere riconosciuto come tale rimane l’adozione in casi particolari, (nell’ambito della legge n.184 del 1983) che tuttavia, come suggerisce il nome, prevede una serie di casi specifici in cui un genitore non biologico può adottare il figlio o la figlia del compagno o della compagna.

Come spiega Alessia Crocini, presidente delle Famiglie arcobaleno e madre adottiva di suo figlio, si tratta di un percorso difficile, lungo e per nulla scontato, poiché il giudice può dare anche un parere negativo. Inoltre, «l'adozione ha un costo che arriva anche a cinquemila euro, mentre la trascrizione è gratuita». E così introduciamo un’altra diseguaglianza in un paese che già ne conta tante.

L’adozione in casi particolari, a differenza dell’adozione legittimante, non rappresenta infatti una genitorialità piena, e richiede una procedura giudiziaria. Nel caso di una coppia di mamme lesbiche, per esempio, la madre che non ha partorito deve fare un’istanza al Tribunale per i minorenni per veder riconosciuto il legame con il figlio che è nato e del quale è madre, perché lo ha voluto fare nascere con il consenso alla fecondazione eterologa e se ne è presa cura prima che venisse al mondo.

Il Tribunale deve vagliare il rapporto tra la madre e suo figlio, delegando agli assistenti sociali la verifica della sua idoneità genitoriale. La madre intenzionale deve dimostrare di avere i requisiti emotivi e patrimoniali per prendersene cura, mentre quella che ha partorito deve dare il consenso all’adozione e per portarla a termine ci vogliono mesi e spesso anni. E per tutto questo percorso il bambino o la bambina ha giuridicamente un genitore solo. La situazione per i papà di bambini o bambine arrivati al mondo tramite la gestazione per altre persone è simile, ma oggi nel nostro paese sconta probabilmente uno stigma in più.

E intanto che si ragiona di disuguaglianze ce n’è un’altra che rimane sotto traccia e riguarda i bambini e le bambine della gestazione per altre persone nelle coppie eterosessuali. Sappiamo che sono soprattutto le coppie etero a ricorrervi e il loro percorso di riconoscimento è più facile di quello dei figli di coppie omogenitoriali.

Insomma, in Italia rimane un vuoto normativo grave per quanto riguarda il riconoscimento dei figli nati al di fuori delle famiglie tradizionali. Nel 2021 la Corte Costituzionale ha ribadito con una sentenza la sua critica al parlamento, sottolineando che non è «più tollerabile il protrarsi dell’inerzia legislativa» e ha chiesto alla politica di riconoscere la genitorialità sociale, anche quando non coincide con quella biologica, perché i legami di questa natura sono un requisito da prendere in considerazione in una famiglia. La Corte ha insistito che il «parlamento debba al più presto colmare il vuoto di tutela, a fronte di incomprimibili diritti dei minorenni e auspicato una disciplina della materia che individui le modalità di riconoscimento dei legami affettivi stabili del minorenne, nato da procreazione medicalmente assistita praticata da coppie dello stesso sesso, nei confronti anche della madre intenzionale».

Nello stesso anno, parlando della gestazione per altre persone, la Corte Costituzionale ha scritto in una sentenza che «il compito di adeguare il diritto vigente alle esigenze di tutela degli interessi dei bambini nati da maternità surrogata […] non può che spettare, in prima battuta, al legislatore, al quale deve essere riconosciuto un significativo margine di manovra nell’individuare una soluzione che si faccia carico di tutti i diritti e i principi in gioco».

A tutt’oggi il parlamento non si è attivato, negando il diritto a una genitorialità volta a rispondere in modo appropriato ai bisogni dei figli e delle figlie durante il loro sviluppo fisico, psicologico e civico. Un diritto non basato su regole biologiche né morali, ma etiche.

 

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Un ricordo del coraggio visionario di Vittorio Silvestrini

Vittorio Silvestrini è stato uno dei principali promotori della Città della Scienza, progetto nato negli anni ’90 con l'obiettivo di creare un modello di sviluppo innovativo nel Sud Italia. La sua visione andava oltre le politiche tradizionali e, nonostante le difficoltà incontrate e l'incomprensione della politica e dell’accademia, il suo contributo rimane un esempio di coraggio e lungimiranza per il futuro del Mezzogiorno e dell’Italia. Lo ricorda Luigi Amodio.

Nell'immagine di copertina: rielaborazione della foto di Vittorio Silvestrini alla Città della Scienza (1996)

Il fisico Vittorio Silvestrini è scomparso, dopo una lunga malattia, lo scorso 30 agosto, all’età di quasi 90 anni. “Vittorio”, lo chiamerò semplicemente per nome, in ragione della nostra lunga e stretta collaborazione, durata quasi trent'anni. Da quel giugno 1990, in cui cominciai a lavorare con lui e con Vincenzo Lipardi, l’altro vero protagonista della realizzazione di Città della Scienza, fino alla fine del 2017, quando i nostri rapporti si interruppero, soprattutto a causa del peggioramento delle sue condizioni di salute.