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La fantasia propone. I dati decidono

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Troviamo naturale che in alcuni campi del sapere vi siano controversie e disaccordo tra i ricercatori e nella cosiddetta comunità scientifica di riferimento. Succede in climatologia (pensate alle diverse opinioni sul contributo antropico al riscaldamento globale), succede in economia, dove non è difficile trovare scuole di pensiero contrapposte su quali cause producano quali effetti, succede in medicina (e questo a volte ci disturba, soprattutto se ci coinvolge personalmente,per esempio quando siamo alla ricerca di una terapia o di un intervento che ci risolva un problema importante).

Le opinioni contrapposte non ci stupiscono perché capiamo che climatologia, economia e medicina sono sì scienze, ma certo non “esatte”(o perlomeno non ancora). In alcuni ambiti le controversie (quelle in buona fede ovviamente) originano dalla conoscenza incompleta, limitata o approssimata dei fattori determinanti; in altre dalla incapacità di prevedere l’evoluzione di sistemi complessi, a molte variabili, in seguito a determinati stimoli (effetto farfalla).

A pensarci bene, tuttavia, contrapposizioni, controversie e disaccordo sono comuni anche tra le scienze “dure” come la fisica o l’astronomia.

Non penso alla disputa sulla classificazione di Plutone che dopo anni di dibattito fu “retrocesso” a pianeta nano da una decisione presa durante l’assemblea generale dell’Unione Astronomica Internazionale del 2006 a Praga. Molti erano d’accordo, molti altri no. Quella era una questione di terminologia; sulla sua forma, dimensioni e parametri orbitali non vi erano divergenze.

Harlow Shapley e Heber D. Curtis, protagonisti del Great Debate del 1920 sulla natura delle nebulose e sulle dimensioni dell’universo.

I grandi dibattiti dell’astronomia

Penso piuttosto a quelle contrapposizioni di sostanza, in ambito astronomico e fisico, che hanno animato il dibattito scientifico in molte occasioni e spesso per lungo tempo. Vengono in mente: il great debate, “grande dibattito”, sulla natura delle nebulose e sulla dimensione dell’universo – che vide contrapposti Harlow Shapley ed Heber Curtis e i loro rispettivi seguaci; il modello dell’universo di “stato stazionario” (poi diventato quasi-stazionario, nel tentativo di salvarlo, ad opera di Hoyle, Burbidge e Narlikar) verso quello del Big Bang; la diatriba sul valore della costante di Hubble (e dunque sulle dimensioni ed età dell’universo) tra Allan Sandage e Gustav Tamman da una parte e Sidney Van denBerg e Gerard DeVaucouleurs dall’altra; l’interpretazione non cosmologica del redshift sostenuta da Halton Arp e pochi altri contro il resto del mondo (anche da Burbidge, a cui non piaceva il Big Bang, ma piaceva andar controcorrente); o ancora quella della discretizzazione/periodicità del redshift proposta da Bill Tifft (sempre contro il resto del mondo).

Queste controversie appartengono al passato e possono considerarsi risolte, anche se alcuni dei protagonisti sono irriducibili (Tifft ad esempio; Hoyle, Burbidge e Arp ormai sono morti). Come sono state risolte? Con l’acquisizione di evidenze sperimentali (dati di laboratorio, osservazioni astronomiche) che hanno riempito le lacune che avevano permesso analisi viziate da larghe incertezze, da fluttuazioni statistiche e da effetti di selezione.

Edwin Hubble, con la scoperta di Cefeidi nelle nebulose prima e con le misure sistematiche dei loro redshift poi, contribuì a stabilire, con buona pace di Shapley, la loro natura extragalattica; la scoperta della radiazione cosmica di fondo decretò la fine dello “stato stazionario” (che già mostrava segni di crisi a seguito dei conteggi delle radiosorgenti); la cosmologia di precisione, possibile grazie alle misure ottenute con il telescopio Hubble e con i satelliti WMAP e Planck, ha risolto le incertezze sul valore della costante di Hubble e una marea di misure spettroscopiche di galassie e quasar ha permesso una accurata mappatura tridimensionale profonda della distribuzione barionica mettendo la stragrande maggioranza della comunità scientifica nelle condizioni di poter dimenticare interpretazioni non cosmologiche del redshift.

Diatribe storiche e problemi aperti

Dati, esperimenti, osservazioni: sono questi gli strumenti fondamentali che permettono di “falsificare” (in senso popperiano) una teoria e rafforzarne un’altra, di risolvere una controversia. “Dopo” è sempre facile capire qual è la soluzione giusta. “Prima”, ma anche “durante”, le argomentazioni contrapposte hanno punti di forza e debolezze e presentano scenari possibili. Anche la fisica annovera dibattiti famosi, come quelli che videro contrapposti Einstein e Bohr sulla natura della meccanica quantistica e più recentemente Hawking e Susskind sulla sorte dell’informazione (persa o conservata?) nei buchi neri.

Tornando all’astronomia possiamo ricordare diversi problemi tuttora aperti che attendono una spiegazione che raccolga il consenso della grande maggioranza della comunità scientifica. La MOND (MOdified Newtonian Dynamics), ad esempio, ha da tempo perso appeal come spiegazione delle curve di rotazione delle galassie in alternativa alla presenza di materia oscura.

Tuttavia, la perdurante ignoranza sulla natura di quest’ultima permette di mantenere vive varie ipotesi contrastanti, in attesa di un esperimento o di un’osservazione (astronomica) risolutiva. Il cammino della conoscenza procede non solo in modo ora organizzato, ora casuale, ma anche con continue interpretazioni alternative, talvolta incompatibili, dei fenomeni che si vanno via via scoprendo. E la ricerca consiste anche nel trovare modo di distinguere tra le alternative e capire quale sia quella giusta.

Peter Higgs, che teorizzò il bosone scoperto quarant’anni dopo al CERN di Ginevra.

La fantasia dei fisici teorici è spesso sconfinata e basta un nuovo dato interessante (e non importa se non ancora confermato) per stimolarli a immaginare possibili spiegazioni da cui possono avere origine controversie. Succede così che vengano prodotte decine di articoli scientifici per spiegare come mai i neutrini, con buona pace della relatività generale, viaggino ad una velocità superiore a quella della luce; per spiegare le implicazioni delle impronte che le onde gravitazionali hanno lasciato sulla radiazione cosmica di fondo o, più recentemente, generati dal suggerimento che un nuovo bosone – dopo quello di Higgs – sia stato trovato al CERN nei dati prodotti dal Large Hadron Collider e metta in difficoltà l’estensione supersimmetrica del modello standard. Quando il dato viene poi smentito (come è successo nei primi due dei tre casi appena menzionati, per il terzo – recentissimo – occorre attendere) il problema si risolve da sé e le teorie prodotte rimangono a testimonianza di un esercizio intellettuale, talvolta imbarazzante ma comunque interessante.

Se invece è confermato, le teorie spesso contrapposte si consolidano e si apre la caccia a nuovi esperimenti od osservazioni che permettano di capire quale sia quella giusta. Perché questo è il punto chiave: la verifica. Una teoria, per avere validità scientifica, deve poter essere verificabile. Deve permettere, cioè, previsioni che possano essere confermate o smentite. È la base del metodo scientifico.

Super stringhe e multiversi: teorie non "falsificabili"?

Ecco perché una larga parte della comunità è particolarmente critica nei confronti della teoria delle stringhe (e di quelle da essa derivate) e ancor più nei confronti dei modelli cosmologici che contemplano l’esistenza di molti universi.

L’allarme, nei confronti di un atteggiamento, sempre più dichiarato, di alcuni fisici teorici che sostengono che una teoria sufficientemente elegante e in grado di spiegare molti fenomeni non abbia bisogno di verifiche sperimentali, l’hanno lanciato Richard Ellis e Joe Silk con un articolo pubblicato su Nature in cui criticano appunto la teoria delle stringhe e quella dei multiversi. Se la teoria delle stringhe, nata quasi mezzo secolo fa per superare l’incompatibilità tra meccanica quantistica e relatività generale, non è verificabile oggi, (nel senso che la tecnologia attuale non lo permette), non è detto però che non lo possa essere in un futuro. Se così fosse potrebbe essere ancora considerata una teoria “scientifica” in quanto falsificabile in linea di principio anche se non di fatto. Diversa è la situazione nel caso dei modelli cosmologici che contemplano l’esistenza di molti universi, in quanto questi (i molti universi “paralleli”) non dovrebbero poter essere osservabili nemmeno in linea di principio. Dunque non dovrebbero essere considerati “scienza”.

Richard Ellis (a sinistra) e Joseph Silk (a destra) hanno stimolato di recente un dibattito sulla validità scientifica di teorie fisiche e cosmologiche che sfuggono alle verifiche sperimentali.

Altrimenti, sostengono Ellis e Silk, viene meno il metodo scientifico. Il dibattito, molto animato, è in corso e sta coinvolgendo, oltre ai fisici e cosmologi, anche i filosofi della scienza.

Pubblicato su Le Stelle n. 152 


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