fbpx La Fase 2 e alcune questioni sul report governativo | Scienza in rete

La Fase 2 e alcune questioni sul report governativo

Primary tabs

Tempo di lettura: 13 mins

Nella conferenza stampa del 25 aprile il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha messo in relazione le misure adottate per la cosiddetta Fase 2 con scenari molto preoccupanti contenuti in un documento “riservato” in possesso del Governo. Dopo l’immediata contestazione dell’opportunità e anche legittimità di fondare restrizioni generalizzate alle libertà dei cittadini su informazioni non trasparenti, il giorno successivo il ministro della Salute Roberto Speranza si è affrettato a negare l’esistenza di dati segreti, assicurando che il documento in questione sarebbe stato inserito fra gli allegati al Dpcm 26 aprile/2020, ma così non è avvenuto.

Tuttavia, un report dal titolo Valutazione di politiche di riapertura utilizzando contatti sociali e rischio di esposizioni professionali (d’ora innanzi per brevità “report”), è incominciato a circolare, in un primo tempo in forma confidenziale tra giornalisti e conoscenti. Il documento, disponibile anche su vari siti web, è privo di intestazione dell’istituzione che lo ha redatto, non riporta i nomi dei ricercatori e del responsabile scientifico, è senza note e non reca neppure la data di stesura, fatto a dir poco straordinario in una pandemia dove il tempo è variabile cruciale. A quanto ci risulta non è rinvenibile nella sua forma ufficiale sui siti dell’istituto o del Ministero della Salute.

Sebbene il Presidente del Consiglio abbia attribuito il report agli esperti dell’Istituto superiore di sanità (ISS), in realtà si è successivamente saputo che esso sarebbe stato predisposto dalla Fondazione Bruno Kessler di Trento e da questa consegnato all’ISS, il quale a sua volta l’avrebbe messo a disposizione del Comitato tecnico scientifico del Ministero della Salute. Quest’ultimo - a quanto è dato di sapere - si sarebbe limitato ad aggiungere in calce una pagina intitolata “Raccomandazioni”, in una veste molto più simile a una nota di appunti informali che non a un documento ufficiale.

Intorno al report si è subito acceso un dibattito vivace, del quale mi preme fare luce soprattutto su due aspetti critici specifici: i dubbi di incostituzionalità del Decreto del presidente del consiglio dei ministri (Dpcm) e i rilievi metodologici ai modelli matematico-statistici applicati dalla Fondazione Kessler. Temi, come vederemo, strettamente collegati.

La questione della incostituzionalità

Il fatto che sulla incostituzionalità dell’operato del governo si siano espressi con punti di vista opposti illustri presidenti emeriti della Corte Costituzionale, come Gustavo Zagrebelsky e Antonio Baldassarre, è indizio che il presidente Conte si sta muovendo su un crinale di costituzionalità molto stretto. Lo stesso Zagrebelsky, in pochi giorni, sul tema ha rilasciato a organi di stampa di primo piano due interviste incoerenti fra di loro. Nella prima, sulle pagine di Repubblica del 29 aprile, sostiene testualmente che i Dpcm hanno “qualcosa di meraviglioso e, al tempo stesso, di patologico nel rapporto tra governo e cittadini. […] Sono testi meravigliosi nel senso etimologico della parola: stupefacenti. Mi riferisco all’idea di base: che le abitudini, le attività e le esigenze materiali e spirituali delle persone siano materia inerte, modellabile come cera fin nei più piccoli dettagli”. Due soli giorni dopo, in un’intervista a Il Fatto Quotidiano dell’1 maggio, ammorbidisce sostanzialmente la propria posizione, affermando: ” […] si tratta di poteri tutt’altro che pieni, essendo limitati dallo scopo: il contenimento della diffusione del virus. Fuori da questa finalità sarebbero illegittimi. […] Il Parlamento dispone in qualunque momento di strumenti per aprire dibattiti e confronti, per modificare ed, eventualmente, anche per togliere al governo ogni potere e riprenderselo. Se vuole e può, lo faccia”. 

Al contrario, Antonio Baldassarre ritiene che i Dpcm che impongono il lockdown in tutto il territorio nazionale siano costituzionalmente illegittimi perché non autorizzati dal decreto legge numero 6 del 23 febbraio, e inoltre che "al premier si possa imputare anche la violazione dell'articolo 120 della Costituzione perché, intervenendo in via sussidiaria, non ha rispettato il principio di 'leale collaborazione'". Peraltro, anche la quinta carica dello Stato, la presidente della Consulta Marta Cartabia, pur con la prudenza che deve caratterizzare il suo ruolo, ha sentito il bisogno di ammonire che solo nella Costituzione deve essere trovata “la bussola necessaria per navigare nell’alto mare aperto della emergenza”.

Da un punto di vista socio-giuridico, si può osservare che fra la garanzia del diritto alla salute individuale e la sua tutela nell’interesse della collettività, richiamati dall’articolo 32 della Costituzione [1], non c’è coerenza necessaria e automatica. In ogni caso sia la salute individuale sia quella di interesse della collettività sono costrutti sociali e necessitano pertanto di definizione e scelta politica. Nell’articolo 16 [2], infine, i “motivi di sanità”, che giustificherebbero misure generalizzate di limitazione della circolazione sul territorio nazionale, devono essere intesi come fuori dall’ordinario e non affrontabili efficacemente con misure alternative. 

Ciò considerato, la valutazione della straordinarietà degli scenari epidemici del report Kessler, cui il Governo sostiene di essersi (af)fidato, non può essere data acriticamente per scontata né tantomeno trattata come riservata, proprio perché fondante la legittimità costituzionale del Dpcm 26 aprile/2020. Il Governo, pertanto, è tenuto a fornire prove consistenti che i motivi di sanità pubblica invocati siano commisurati alle misure assunte, eccezionali dal punto di vista costituzionale, ancor più perché prorogate per tempi non definiti. Sia Zagrebelsky [3] sia Baldassarri nelle loro dichiarazioni danno implicitamente per scontate le ragioni di sanità pubblica e, invece, a parer mio è proprio questo il nocciolo della questione. Non può essere sufficiente, infatti, la dichiarazione di sussistenza di problemi di sanità perché sia costituzionalmente legittimo restringere le libertà dei cittadini. Di quei problemi di sanità il legislatore deve dimostrare di avere una consapevolezza competente e fornire prove robuste e comprensibili, da comunicare altrettanto efficacemente.

E’ necessario chiarire genesi e motivazioni alla base del report affidato alla Fondazione Kessler

Dunque, è importante che sia dissipata l’opacità intorno al report della Fondazione Kessler assunto dal Governo come base per le politiche della Fase 2, fornendo tempestivi chiarimenti su alcune questioni cruciali. Da quale istituzione sia stato commissionato il report (l’ISS? il Ministro della salute?). Per quali ragioni sia stata scelta la Fondazione Kessler. Come era composto il gruppo dei ricercatori e chi ne è il responsabile scientifico. Con quali tempi lo studio sia stato compiuto. Sembra lecito chiedersi anche come mai un’istituzione prestigiosa come l’ISS non abbia ritenuto di trovare al proprio interno le competenze adeguate, avvalendosi, se necessario, della collaborazione del Comitato tecnico scientifico e del Consiglio superiore di sanità [4]. Queste informazioni, a parer mio, sono imprescindibili per la comprensione del processo cognitivo e decisionale da cui è scaturito il Dpcm 26 aprile/2020 e quindi per attribuirvi legittimità, oltreché costituzionale, anche morale.

La solidità scientifica del report

Veniamo alla questione della affidabilità scientifica dei modelli previsionali elaborati dalla Fondazione Kessler. Nel sottotitolo del report si legge che “il documento presenta la valutazione dei rischi di diffusione epidemica per la malattia Covid-19 associata a diversi scenari di rilascio del lockdown introdotto l’11 marzo sul territorio nazionale”. E’ strano che non sia indicata alcuna data di inizio dell’allentamento del lockdown alla quale gli scenari dovrebbero temporalmente riferirsi.
Gli (anonimi) autori dichiarano di simulare la diffusione epidemica sulla base di un modello SIR stocastico [5], molto consolidato negli studi epidemiologici e ben illustrato nelle dispense per gli studenti di corsi di laurea triennale [6]. In realtà nel report si replica uno specifico modello epidemico di diffusione delle malattie influenzali stagionali tratto dalla ricerca europea POLYMOD [7]. In tale ricerca - tramite diari giornalieri autocompilati da 7.290 soggetti residenti in otto diversi paesi europei (Belgio, Germania, Finlandia, Gran Bretagna, Italia, Lussemburgo, Olanda e Polonia) – si conta il numero di contatti vis a vis che i soggetti hanno intrattenuto in sei diversi contesti di interazione (casa, scuola, lavoro, trasporti, tempo libero, altre attività). Il numero medio dei contatti nelle diverse classi di età e nei diversi contesti relazionali viene usato per simulare la propagazione dei contagi influenzali. I dati sono stati rilevati nel 2005-2006 ed elaborati nel 2007. 

Dati vecchi sull’influenza alla base degli scenari

Nel report Kessler, come numero medio dei contatti interpersonali che influenzerebbero la propagazione del virus in caso di allentamento del lockdown, si usano quegli stessi valori misurati nella ricerca POLYMOD, senza porsi alcun interrogativo sulla loro attendibilità dopo un lasso di tempo di quindici anni. Eppure, fra le altre, almeno due ragioni forti avrebbero dovuto sconsigliare questa operazione di riesumazione di una ricerca datata. La prima riguarda i cambiamenti nel mondo in cui viviamo. Nel 2005, quando i dati sono stati raccolti, le relazioni sociali comportavano maggiore compresenza fisica rispetto a quelle attuali, poiché non esistevano ancora gli smartphone e i social. Analogamente, anche le tecnologie e l’organizzazione dei sistemi di lavoro nel frattempo hanno subito profonde innovazioni nei sistemi produttivi e distributivi, basti pensare all’e-commerce, alla comunicazione prevalentemente via web fra gli uffici, eccetera. 

La seconda ragione di cautela metodologica riguarda invece le modalità di propagazione del virus nei due casi in questione, l’influenza stagionale nella ricerca di quindici anni fa, l’infezione Covid-19 oggi. Nel report il problema non viene posto e l’adeguatezza dei vecchi modelli è data per scontata, assumendo tacitamente che il nuovo contagio si diffonda in modo uniforme nella popolazione e sia determinato soltanto dalla vicinanza fisica, così come avviene per il virus influenzale. E’ possibile, ma non provato, che questo valga per i contagi Covid-19 asintomatici, tuttavia i dati accumulati in questi mesi mostrano che le modalità di propagazione sono affatto peculiari nei casi, per lo più sintomatici, diagnosticati con il test. Secondo l’ISS [8, 8bis], infatti, tra l’80% e il 90% dei contagi accertati fino a ora è avvenuto tra degenti molto anziani nelle RSA e negli ospedali, medici e infermieri e i loro famigliari. Analogamente gli esiti letali hanno riguardato persone molto anziane con età media 79 anni (mediana 80), già ricoverate in strutture sanitarie od ospedaliere e che per l’80% avevano più di tre patologie gravi preesistenti. Sembra inoltre esserci accordo fra gli studiosi che le infezioni in forma severa siano connesse ai valori elevati della carica virale negli ambienti chiusi, dove sono presenti persone malate e dove il contatto anche fisico con i sani non è episodico, ma ripetuto più volte per una durata di almeno 14 minuti [9]. Queste specificità nella propagazione delle due epidemie avrebbe dovuto consigliare un adeguamento del modello o, almeno, una nota metodologica in evidenza.

Eppure, i dati contenuti nella la tabella numero 1 del report, titolata “Numero medio di contatti sociali per classe di età, totale e disaggregato per contesto sociale in cui avviene il contatto” sono ripresi integralmente dalla ricerca datata POLYMOD, oltretutto rilevati su un campione di popolazione piccolo e con un basso grado di rappresentatività statistica. Essi sono quindi usati per calcolare gli scenari di contagio.

Devo anche segnalare che nei modelli non è inclusa l’informazione sul sesso/genere dei soggetti, sebbene tutti i parametri impiegati siano gender biased. E' in primo luogo l’infezione Covid-19 a essere influenzata dal sesso dei pazienti, sia nelle probabilità di contagio, sia soprattutto nel tasso di letalità, dal momento che le donne contagiate, rispetto agli uomini, hanno un quarto delle probabilità di decesso fra chi ha meno di 60 anni di età e circa la metà fra i più anziani [10]. Analogamente differenziate per genere sono le altre variabili del modello, contatti sociali e stili relazionali e i settori occupazionali. Ciononostante nel report si fa riferimento a inesistenti soggetti MF.

Passerò ora ad aspetti più tecnici. A parer mio, sembra problematico anche il metodo usato per il calcolo delle probabilità di ricovero in terapia intensiva in caso di contagio. Nel report, a pag. 2, si legge che tale probabilità “è stata calcolata come il rapporto fra il numero di morti e terapie intensive in Lombardia in una determinata fascia di età e le infezioni per quella stessa fascia di età, stimate in Lombardia usando un tasso di letalità per infezione (IFR) di 0,657%”, sulla base dei dati della Protezione Civile aggiornati al 31 marzo 2020 (corsivo mio). Dunque, per stimare la necessità di posti in terapia intensiva nei diversi scenari nazionali possibili della Fase 2 dopo il 4 maggio, nel rapporto Kessler si usano dati relativi alla Lombardia, epicentro dell’epidemia, rilevati al 31 marzo. Con scelta a dir poco strabiliante, si assume, quindi, che la situazione di tutte le regioni italiane, a epidemia molto rallentata a inizio maggio, sia uguale a quella drammatica di Brescia o Bergamo nei momenti di massima espansione del contagio, a fine marzo. Da tali assunti non poteva che discendere una sovrastima di proporzioni enormi.  

Come non bastasse, si assume un tasso di letalità per infezione pari a 0,657%, senza fornirne alcuna giustificazione scientifica. Sebbene probabilmente la maggior parte dei lettori del report, privi di competenze statistiche e metodologiche, non ne abbia consapevolezza, da questo numero discendono conseguenze matematiche vistose sugli scenari calcolati. La scelta di un parametro diverso, per esempio 0,320, avrebbe portato a scenari completamente differenti, che non avrebbero arrecato alcuna preoccupazione ai decisori politici. Gli estensori avranno forse avuto buone ragioni per questa scelta, ma era loro responsabilità renderne conto meticolosamente. In assenza di consenso su quelle ragioni, al Governo non è stato possibile prendere decisioni consapevoli.

Non entrando nel merito dell’intervento di Stefano Merler della Fondazione Kessler alla conferenza stampa dell’ISS del 30 aprile, mi limito a sottolineare che chi ha avvallato dal punto di vista scientifico tale rapporto nei confronti dei decisori politici non si è dimostrato però in grado di rispondere in modo rigoroso e convincente a quei ricercatori che denunciano addirittura errori formali nei calcoli matematici sviluppati nel report, a causa dei quali la stima dei posti necessari in terapia intensiva nei diversi scenari di rilascio del lockdown risulterebbe artificiosamente moltiplicata per dieci [11]. 

Incredibilmente, un documento così discutibile dal punto di vista metodologico è stato accettato nella disattenzione dei numerosi esperti di cui il Governo è dotato proprio per poter decidere in modo competente in questo momento emergenziale. Questo stesso documento è ora il fondamento delle politiche che costringeranno le nostre vite private e il funzionamento del paese nei prossimi mesi, con conseguenze di anni sulla salute fisica e psicologica dei singoli, sulla formazione dei ragazzi, sul sistema economico e più in generale su quello sociale. Siamo di fronte a un trade-off di dimensioni enormi fra generazioni e fra classi sociali, una frattura profonda nella struttura delle disuguaglianze. Eppure, paradossalmente, non esiste alcuna prova che il contenimento del contagio lo richiedesse e di certo non era il report Kessler che lo poteva giustificare. Come è potuto accadere?

Note
[1] Art. 32 “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
[2] Art. 16 “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche”.
[3] Gustavo Zagrebelsky ha infatti dichiarato: “I decreti legge sono equivalenti alle leggi, che servono, secondo Costituzione, a fronteggiare i “casi straordinari di necessità e urgenza. Credo che nessuno dubiti che si sia in uno di questi casi”. «Coronavirus e decreti, Zagrebelsky: “Chi dice Costituzione violata non sa di cosa sta parlando”». Il Fatto quotidiano, 1 maggio 2020.
[4] Oppure ci si può domandare se invece il report sia frutto di un esercizio matematico-statistico condotto autonomamente dalla Fondazione Kessler per altre sue finalità private, offerto poi all’ISS che l’ha fatto proprio. E se così fosse, ritengo che sarebbe ancora più urgente ottenere dal Ministro della Salute e dal Presidente del Consiglio rassicurazioni documentabili circa la loro capacità di comprendere gli assunti e la matematica alla base dei modelli, indispensabili per prendere decisioni adeguate e competenti
[5] I modelli SIR sono stati introdotti da William Kermack e Anderson McKendrick nel 1927. 
[6] SIR è acronimo di Susceptible, persone non infette che possono contrarre la malattia, Infected, persone infette in circolazione, con o senza sintomi, le quali possono diffondere il contagio, e Recovered, i pazienti in isolamento perché infetti conclamati, oppure guariti o, ancora, deceduti
[7] Mossong, J. Et al., Social Contacts and Missing Patterns Relevant to the Spread of Infectious Diseases, published Marc 25, 2008 https://doi.org/10.1371/journal.pmed.0050074
[8] Bianco, M.L., Il punto sul Covid-19, per progettare bene il domaniSbilanciamoci, 19 aprile 2020. 
[8 bis] ISS. Epidemia Covid-19. Aggiornamento nazionale. 7 maggio 2020.
[9] Yonghong Xiao, Mili Estee Torok, Taking the Right Measures to Control Covid-19. The Lancet, Vol 20, Maggio 2020.
[10] Bianco, M.L.,(2020), COVID-19. Perché la sociologia può essere utile anche di fronte a un’epidemia: storia di una scoperta, in «Cambio. Rivista sulle trasformazioni sociali», OpenLab on Covid-19. DOI: 10.13128/cambio-8684
ISS, Epidemia Covid-19. Aggiornamento nazionale, 7 Maggio 2020
[11] Errore rosso. I calcoli del Comitato tecnico Scientifico sono sbagliati. Linkiesta, 29 aprile 2020. In realtà l’autore del rapporto Stefano Merler, ha risposto ai critici su questo punto: "Il Comitato tecnico scientifico “dà i numeri”: uno studio rivela che i loro calcoli sono sbagliati", Il Paragone, 30 aprile 2020.

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Siamo troppi o troppo pochi? Dalla sovrappopolazione all'Age of Depopulation

persone che attraversano la strada

Rivoluzione verde e miglioramenti nella gestione delle risorse hanno indebolito i timori legati alla sovrappopolazione che si erano diffusi a partire dagli anni '60. Oggi, il problema è opposto e siamo forse entrati nell’“Age of Depopulation,” un nuovo contesto solleva domande sull’impatto ambientale: un numero minore di persone potrebbe ridurre le risorse disponibili per la conservazione della natura e la gestione degli ecosistemi.

Nel 1962, John Calhoun, un giovane biologo statunitense, pubblicò su Scientific American un articolo concernente un suo esperimento. Calhoun aveva constatato che i topi immessi all’interno di un ampio granaio si riproducevano rapidamente ma, giunti a un certo punto, la popolazione si stabilizzava: i topi più anziani morivano perché era loro precluso dai più giovani l’accesso al cibo, mentre la maggior parte dei nuovi nati erano eliminati.