fbpx La fine di Atlantide e l'origine dei popoli civilizzati | Scienza in rete

La fine di Atlantide e l'origine dei popoli civilizzati

Primary tabs

Read time: 15 mins

Nell'aprile del 1987 usciva su “Topolino” (n. 1638) la storia Topolino e l’Atlantide continente perduto, scritta da Giorgio Pezzin e disegnata da Massimo De Vita. In questa avventura  Topolino e Pippo, grazie alla macchina del tempo inventata dal professor Zapotec, tornano nel 10.000 a.C. per assistere alla fine, provocata dall'impatto di una cometa con il nostro pianeta, della misteriosa terra descritta da Platone nel Timeo e nel Crizia intorno al 360 a.C. Al ritorno i due amici, raccontando le loro incredibili peripezie al professor Zapotec, si interrogano sul destino degli abitanti di Atlantide: “Dove saranno andati a finire?”, chiede Pippo. “In ogni parte del mondo”, risponde con sicurezza Zapotec, “nel Messico, a fondare la civiltà Maya, sulle Ande a costruire l’impero Inca, e sulle sponde del Mediterraneo, dove hanno posto le fondamenta della civiltà egizia e di quella mesopotamica”. Infatti, “solo così si spiega come miti e leggende del Diluvio e del continente scomparso siano rimasti nella memoria di tutti i popoli, giungendo fino a noi”.
Il mito di Atlantide come origine delle civiltà storiche conosciute, le quali avrebbero conservato il ricordo di quella antica catastrofe nelle loro leggende è un'invenzione della cultura moderna. Vediamo di capire brevemente come si arriva alla costruzione di questa idea.

il mito di Atlantide raccontato da Platone

Nel Timeo, Platone aveva fatto riferimento a “un racconto assai singolare, ma assolutamente vero”, nel quale erano narrate le “antiche gesta” della città di Atene, in seguito “cancellate dal tempo e dalle catastrofi che hanno colpito l’umanità”. Quel racconto era dovuto a Solone, il quale, nel corso di un suo viaggio in Egitto, aveva raggiunto la città di Sais. Discutendo con i sacerdoti locali, Solone aveva iniziato a narrare gli eventi conosciuti dai Greci, “ossia di Foroneo, che si dice sia stato il primo uomo, e di Niobe”, e poi ancora di come Deucalione e Pirra si erano salvati “dopo il diluvio”. Tuttavia, secondo il parere di uno dei sacerdoti interpellati, quelle riferite da Solone erano storie che avevano un’origine molto recente. Era infatti esistito un tempo, “prima del Diluvio più grande”, in cui “quella che è ora la città degli ateniesi” era stata in assoluto “la migliore in guerra e quella dotata dei migliori ordinamenti da ogni punto di vista”; da essa “furono compiute le imprese più belle e che ebbe le più belle istituzioni, fra tutte quelle di cui, sotto il cielo, noi abbiamo avuto notizia”.

Solone, meravigliato da queste affermazioni, pregò il sacerdote di raccontare tutto nei dettagli. Questi acconsentì alla richiesta di Solone, riferendogli dei suoi concittadini vissuti “novemila anni” prima e della più grande delle loro imprese, la quale pose fine ad “una grande potenza, che avanzava con arroganza su tutta l’Europa e l’Asia insieme, proveniente dall’esterno, dall’oceano Atlantico”: “Infatti, a quel tempo, era possibile attraversare quel mare, perché davanti a quella foce che viene chiamata, come dite, Colonne d’Eracle, c’era un’isola. Tale isola, poi, era più grande della Libia e dell’Asia messe insieme, e a coloro che procedevano da essa si offriva un passaggio alle altre isole, e dalle isole a tutto il continente che stava dalla parte opposta, intorno a quello che è veramente mare. Infatti, queste parti del mare, che stanno dentro alla foce di cui stiamo parlando, sembrano essere un porto che ha una sola entrata stretta. Invece, quello si potrebbe chiamare veramente mare, e la terra che lo circonda si potrebbe chiamare giustamente continente. In questa Isola Atlantide, dunque, si era formata una grande e mirabile potenza di re, che dominava tutta quanta l’isola, e molte altre isole e parti del continente. E, inoltre, dominavano anche su regioni da questa parte dello stretto sulla Libia fino all’Egitto e sull’Europa fino alla Tirrenia”.
Gli abitanti di Atlantide cercarono ad un certo punto di soggiogare l’antica Atene. I greci, tuttavia, nonostante la defezione degli altri popoli che inizialmente avevano partecipato alla guerra, riuscirono a sconfiggere gli invasori e a liberare coloro che abitavano «all’interno delle Colonne d’Ercole». Ma di tutto questo si era ormai persa la memoria. Infatti, “nei tempi che seguirono, a causa di tremendi terremoti e catastrofi naturali, nell’arco di un solo giorno e di una sola notte terribili”, tutto l’esercito ateniese fu inghiottito sotto terra e anche Atlantide scomparve nell’oceano. Ecco perché, ormai, quel mare lontano era “impraticabile e inesplorabile”, a causa del “fango affiorante che l’isola ha prodotto inabissandosi”.

Una controversia scientifica da Colombo a Darwin

Nel corso dell’antichità, eruditi, storici, geografi e filosofi formularono molte congetture intorno al racconto di Platone e all’esistenza di Atlantide, sostanzialmente riassumibili in tre posizioni principali, poi individuabili anche nel dibattito che caratterizzerà l’età moderna e contemporanea: 1) Atlantide è un’invenzione di Platone; 2) Atlantide è esistita realmente e Platone  ha fornito precise informazioni sulla sua posizione geografica, la struttura geologica, la configurazione urbanistica e sociale; 3) l’Atlantide di Platone rappresenta il ricordo impreciso, poi rielaborato e romanzato, di un importante evento geologico avvenuto in un tempo lontano.
Furono i viaggi di esplorazione geografica e, in particolare, la scoperta dell’America, a donare nuova credibilità al racconto di Platone sulle isole e sul continente situato al di là delle Colonne d’Ercole. Inizialmente, le discussioni sull’esistenza e la collocazione di Atlantide furono portate avanti soprattutto da storici ed eruditi preoccupati di stabilire la legittimità dei possedimenti coloniali delle potenze europee e di inserire le popolazioni americane all’interno di una cornice storica e cronologica che non fosse in contraddizione con la Bibbia. Il dibattito cinquecentesco pose le basi per una serie di teorie e speculazioni strettamente legate allo sviluppo del sapere scientifico. Coinvolta progressivamente all’interno di problematiche della massima importanza, come la storia della Terra e dell’umanità, la controversia su Atlantide si sviluppò sostanzialmente lungo due direttrici specifiche, una di ordine geologico, naturalistico e geografico, ed una di natura cronologica. Nel primo caso, la ‘questione Atlantide’ ripercorre da un lato la storia dei dibattiti sulla creazione, la struttura, l’evoluzione del globo terrestre, dall’altro quella delle scoperte geografiche. Nel secondo caso, essa diventa parte integrante delle dispute sui problemi della cronologia, strettamente legate al tema dell’origine dell’uomo e delle civiltà. Tale controversia non riguardò soltanto storici, eruditi e filosofi, ma coinvolse anche autorevoli scienziati e naturalisti come Kircher, Hooke, Stensen, Tournefort, Newton e molti protagonisti dell'Illuminismo. Anche se numerosi interpreti avevano ritenuto che Atlantide dovesse essere identificata con l’America, l’ipotesi più accreditata era quella che collocava Atlantide oltre lo stretto di Gibilterra, ed individuava negli arcipelaghi atlantici i resti di quell’antico continente sprofondato, come era riportato anche nel primo volume (1751) dell’Encyclopédie, alla voce Atlantique ou Isle Atlantique. A questa ipotesi aderirono, in una qualche misura, anche Buffon, Voltaire e d’Holbach. Quando Jules Verne iniziò a pubblicare Vingt mille lieues sous les mers, nel 1869, l’esistenza di una antica terra spazzata via da un “cataclisma”, della quale “Madera e le Azzorre, le Canarie, le isole di Capo Verde” non potevano che rappresentare “le sue cime più alte”, costituiva per molti ancora una plausibile ipotesi scientifica.

LE METAMORFOSI DI ATLANTIDE. STORIE SCIENTIFICHE E IMMAGINARIE

Fino a quel momento, la controversia su Atlantide si era sviluppata all'interno di un quadro cronologico, basato sull'interpretazione delle Sacre Scritture, secondo il quale la creazione del mondo era avvenuta intorno al 4000 a.C. ed il Diluvio universale verso il 2300 a.C.  Per dare una risposta alla delicata questione cronologica sollevata da Platone, che aveva collocato la fine di Atlantide 9000 anni prima del suo tempo, alcuni interpreti avevano affermato che il calendario platonico si basava sul sistema degli Egizi, i quali definivano gli anni in riferimento alla Luna e non al Sole. In sostanza, i 9000 anni dovevano essere calcolati come 9000 mesi, corrispondenti alla rassicurante cifra di 750 anni. Ecco che la fine di Atlantide poteva essere avvenuta, più ragionevolmente, intorno al 1300 a.C. circa.
Il tema dell’origine dell’umanità era da tempo strettamente intrecciato con quello dell’origine delle diverse tradizioni facenti capo ai popoli dell’antichità. A partire dalla fine del Quattrocento alcuni umanisti cristiani, fra cui Marsilio Ficino, avevano tentato di accordare fra di loro le diverse testimonianze religiose e mitologiche, ritenendole derivate da un’unica fonte. Il punto di partenza della storia era naturalmente rappresentato dagli eventi narrati nella Bibbia e accaduti dopo il Diluvio universale. Tuttavia, nel corso dell'Ottocento, i dibattiti sull'origine della Terra, sull'esistenza dei fossili e sulla trasformazione delle specie avevano contribuito a rafforzare la convinzione, ormai presente da almeno un paio di secoli fra i cultori di storia naturale, che la storia dell’universo, del sistema solare e del nostro pianeta dovessero essere spostate all’indietro (e di molto) rispetto alla cronologia tradizionale. Fra gli anni ’50 e ’60 del XIX secolo, le prove dell'esistenza di fossili umani appartenenti ad epoche assai lontane, rispetto a quella in cui si supponeva si fosse verificato il Diluvio universale, divennero sempre più evidenti. Da dove provenivano, dunque, quelle tradizioni a cui vevano fatto riferimento gli imanisti cristiani?
Dopo l’uscita dell’Origine delle specie (1859) di Charles Darwin, molti testi vennero dedicati ad esaminare il tema dell’origine e dell’antichità dell’uomo, questione che Darwin aveva inizialmente escluso dalla sua trattazione. Un numero sempre maggiore di scienziati e uomini di cultura maturò così la convinzione che la comparsa dell’umanità sulla Terra risalisse ad un’epoca assai lontana nel tempo e che l’inizio della civiltà dovesse essere di molto retrodatato rispetto alle stime tradizionali.

Sensazionali scoperte archeologiche, come le favolose città dei Maya nello Yucatan, individuate da John Lloyd Stephens e Frederick Catherwood, il quale realizzò splendidi disegni di Copán, Palenque, Uxmal e Chichén Itzá (1839-41), e della mitica Troia da parte di Heinrich Schliemann (1868), stavano inoltre a dimostrare come nel passato potessero celarsi ancora numerosi segreti, che riguardavano la storia dell'uomo e che non potevano non rimandare al mito dell'antica sapienza (già sviluppato a partire dal Quatrocento, ma all'interno della cronologia biblica), cioé all'idea che in un passato remoto gli uomini avessero raggiunto un livello di conoscenza superiore a quello attuale.
La scoperta di Schliemann, in particolare, ebbe sull’immaginario collettivo un impatto senza precedenti, dando un impulso straordinario alla ricerca archeologica sul campo e alla ricerca delle civiltà perdute e dimenticate; inoltre, i successi dell’avventuriero tedesco rafforzarono la convinzione che in questa materia i dilettanti avessero da dire molte più cose interessanti ed importanti di quanto non potessero fare gli esponenti della cultura ufficiale. La nascita delle riviste di divulgazione scientifica, favorendo la circolazione di tematiche talvolta estranee ai veri e propri obiettivi della scienza accademica, contribuì indubbiamente allo sviluppo di questa convinzione, unitamente alla progressiva specializzazione delle discipline, sia scientifiche che umanistiche, caratterizzate sempre più da un linguaggio di non facile accesso ai non specialisti.

ATLANTIDE FU LA PRIMA AREA DEL MONDO DOVE L’UOMO PASSÒ DALLA BARBARIE ALLA CIVILTÀ

In questo contesto, Atlantide iniziò ad assumere un significato ben diverso da quello che gli era stato attribuito dopo la scoperta dell'America. E non deve sorprendere che, negli ultimi decenni dell'Ottocento, sia stato un altro personaggio 'non accademico' a fornire al dibattito sull’esistenza di Atlantide una nuova, straordinaria popolarità: Ignatius Donnelly, uomo politico (fu, tra l'altro, vice governatore del Minnesota e membro della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti) e cultore di storia antica (al pari del celebre collega inglese William Ewart Gladstone). Fu grazie a Donnelly se le discussioni su Atlantide cominciarono ad uscire dalle stanze degli specialisti per diventare uno dei terreni privilegiati di azione di appassionati e non professionisti. Nel 1882 Donnelly pubblicò l’opera dal titolo Atlantis: The Antediluvian World, nella quale veniva presentata una personale e disinvolta rielaborazione di tutte le tipiche tematiche che avevano attraversato il dibattito sull’esistenza di Atlantide nei due secoli precedenti, attraverso l'enunciazione di  tredici affermazioni fondamentali:

1. Un tempo nell’oceano Atlantico, di fronte alle Colonne d’Ercole, esisteva un’isola immensa, che era quanto restava di un continente noto nell’antichità con il nome di Atlantide.

2. La descrizione di tale isola fornita da Platone non era – contrariamente a quanto si era a lungo ritenuto – frutto di fantasia, ma un autentico resoconto storico.

3. Atlantide fu la prima area del mondo dove l’uomo passò dalla barbarie alla civiltà.

4. Nel corso del tempo Atlantide divenne una nazione popolosa e potente, dalle cui migrazioni le coste del Golfo del Messico, del fiume Mississippi, del Rio delle Amazzoni, della costa pacifica del Sud America, del Mediterraneo, delle coste occidentali di Europa e Africa, del Baltico, del Mar Nero e del Mar Caspio furono colonizzate, sviluppando a loro volta popolazioni locali civilizzate.

5. Si trattava del vero mondo Antidiluviano, ossia del Giardino dell’Eden, del Giardino delle Esperidi, dei Campi Elisi, del Giardino di Alcinoo, del Mesomphalos, dell’Olimpo, dell’Asgard delle storie degli antichi popoli, a rappresentanza della memoria universale di una grande terra, popolata a lungo da un’umanità arcaica, pacifica e prospera.

6. Gli dei e le dee degli antichi Greci, dei Fenici, degli Indù e degli Scandinavi non erano altro che re, regine ed eroi di Atlantide, e le azioni attribuite loro nella mitologia sono un insieme confuso di eventi storicamente accaduti.

7. Le mitologie di Egitto e Perù ritraevano la religione originaria di Atlantide, veneratrice del sole.

8. La colonia più antica degli Atlantidei fu probabilmente in Egitto, la cui civiltà riproduceva quella dell’isola originaria.

9. I manufatti dell’Età del Bronzo europea avevano avuto origine in Atlantide; furono gli Atlantidei a lavorare per primi il ferro.

10. L’alfabeto fenicio, progenitore di tutti gli alfabeti europei, derivava da quello di Atlantide, che fu trasmesso ai Maya dell’America centrale.

11. Atlantide fu l’originaria dimora del gruppo dei popoli Ariani o Indo-Europei, così come dei popoli Semitici e probabilmente anche dei Turanidi.

12. Atlantide perì a seguito di un terribile disastro naturale, in cui l’intera isola sprofondò nell’oceano, trascinando con sé quasi tutti i suoi abitanti.

13. Solo alcuni scamparono a bordo di navi e zattere e, ovunque approdarono, narrarono la spaventosa catastrofe; quelle storie sono giunte a noi in forma di leggende su inondazioni e diluvi avvenuti in diverse zone del mondo antico e moderno.

Donnelly utilizzò molte delle più recenti acquisizioni scientifiche per corroborare la bontà delle sue speculazioni. Si appoggiò, ad esempio, ai risultati delle spedizioni che, in quegli anni, dettero inizio alla moderna oceanografia, fra cui quella fondamentale del Challenger (1872-1876). John Murray, uno dei padri di questa nuova scienza e tra i più importanti membri del Challenger, dubitava (siamo nel 1913) che gli scandagli effettuati dalle spedizioni oceanografiche dimostrassero, come riteneva Donnelly, l’esistenza di un antico continente collocato nell’Atlantico: “Si è supposto che le montagne occidentali dell’Europa e le montagne orientali degli Stati Uniti altro non siano che i resti delle grandi catene montane dell’Atlantide, ora seppellita sotto il fondo del Nord Atlantico; si è supposto inoltre che parti del Sud America, dell’Africa e dell’India siano i resti di un continente ora sepolto sotto i piani sommersi del grande Oceano del Sud; ma lo studio delle profondità oceaniche e dei sedimenti rocciosi non pare diano ragione all’ipotesi che una terra continentale abbia potuto sparire sotto il fondo del mare nel modo testé indicato”. Queste affermazioni, tuttavia, non avevano ancora la forza per essere decisive.

un legame tra Machu Picchu e ATLANTIDE?

Nel 1911 il ritrovamento di Machu Picchu, la città perduta degli Inca, ad opera di Hiram Bingham, destò un’enorme sensazione nell’opinione pubblica, grazie anche alle foto diffuse dalla celebre rivista «National Geographic». Negli anni successivi Bigham tornò varie volte a Machu Picchu, contribuendo a rendere l’archeologia sempre più popolare. In breve tempo anche la città degli Inca sarebbe stata messa in collegamento alla storia di Atlantide e all’esistenza di un antichissimo popolo che aveva diffuso la civiltà in tutto il mondo.

Datazioni tutte da definire, remote culture, mondi perduti, sorprendenti scoperte e fantastici miti, contribuivano a rendere ancora molto incerto il quadro degli studi archeologici e antropologici. In una guida turistica dell’Egitto, pubblicata all’indomani della scoperta della tomba di Tutankhamon, ufficialmente aperta il 29 novembre 1922, si poteva leggere: “La Sfinge resta ai nostri giorni il grande 'enigma della sabbia' degli egittologi. Le è attribuita un’antichità molto grande. Sembra essere esistita molto tempo prima della costruzione della Grande Piramide di Cheope, vecchia 5700 anni, e rappresentare l’unica testimonianza di una civiltà molto remota esistita prima dell’era della costruzione delle piramidi”. Fu proprio l’Egitto, in quegli anni, a stimolare lo sviluppo del cosiddetto “diffusionismo” (la concezione secondo la quale è impossibile che un’invenzione o un'innovazione possano realizzarsi in maniera autonoma in popoli situati in luoghi diversi e lontani fra loro), contribuendo a rendere plausibili le ipotesi relative ad Atlantide come punto di origine della civiltà: bastava semplicemente sostituire Atlantide con Egitto e il gioco era fatto.

Soltanto dopo la Seconda Guerra Mondiale, lo sviluppo delle ricerche scientifiche sarà in grado di mostrare con certezza, sulla base di nuove prove e documenti, l’inconsistenza delle affermazioni di Donnelly, prima fra tutte quella relativa all’esistenza di un antico continente nell’oceano Atlantico. Tali prove, tuttavia, hanno fatto fatica a imporsi al grande pubblico e hanno continuato ad essere ben presenti sia in ambito pseudoscientifico sia in quello del cinema, della letteratura e dei fumetti. Come ci dimostrata l'esempio iniziale di “Topolino”, l'idea che Atlantide abbia rappresentato il luogo di origine della prima civiltà umana, poi cancellata da una catastrofe, è stata ampiamente presente nella cultura popolare della seconda metà del Novecento, e continua ad esserlo tutt'oggi.

Nel 1956, nel suo Altmexikanische Kulturen (Civiltà dell’antico Messico) Walter Krickeberg presentava le più recenti scoperte archeologiche relative ai popoli dell’antico Messico, che smentivano l’esistenza di una relazione fra le antiche civiltà del Vecchio e Nuovo Mondo e, conseguentemente, buona parte dell'impianto di Donnelly: “questa ipotesi ebbe un’apparenza di verità soltanto fintantoché furono malamente note le antiche civiltà americane, e perciò si poteva credere giusto giungere a tale conclusione sui rapporti fra esse e le civiltà mediterranee o europee basandosi su vaghe somiglianze”. Due anni dopo, Peter Kolosimo, il noto divulgatore di misteri, ribaltava tranquillamente queste conclusioni nel suo primo libro, Il pianeta sconosciuto (più volte aggiornato in numerose edizioni): “Troppi sono, infatti, i misteriosi legami che paiono unire la cultura egizia a quella dei preistorici abitanti d’America, dalla mitologia all’arte, all’architettura (è sotto il comune segno delle piramidi che fioriscono le due lontanissime civiltà), al folclore, al simbolismo, alla stessa scrittura, che presenta elementi di straordinaria affinità, persino caratteri geroglifici del tutto simili”. Nel marzo 2015, la rivista Archeo Misteri Magazine, ha dedicato un articolo ad Atlantide (I Re di Atlantide diventarono gli dei), riproducendo un estratto dell'opera di Donnelly, che viene presentata in questo modo: “a oltre 120 anni di distanza, le sue argomentazioni non hanno minimamente perso la propria attualità”. Forse per i fumetti e il fantasy; non certamente per la ricerca scientifica. 

Bibliografia:
M. Ciarei, Atlantide. Una controversia scientifica da Colombo a Darwin, Roma, Carocci, 2002; Id.,
Le metamorfosi di Atlantide. Storie scientifiche e immaginarie da Platone a Walt Disney, Roma, Carocci, 2011; Id.
Galileo e Harry Potter. La magia può aiutare la scienza?, Roma, Carocci, 2014.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Perché ridiamo: capire la risata tra neuroscienze ed etologia

leone marino che si rotola

La risata ha origini antiche e un ruolo complesso, che il neuroscienziato Fausto Caruana e l’etologa Elisabetta Palagi esplorano, tra studi ed esperimenti, nel loro saggio Perché ridiamo. Alle origini del cervello sociale. Per formulare una teoria che, facendo chiarezza sugli errori di partenza dei tentativi passati di spiegare il riso, lo vede al centro della socialità, nostra e di altre specie

Ridere è un comportamento che mettiamo in atto ogni giorno, siano risate “di pancia” o sorrisi più o meno lievi. È anche un comportamento che ne ha attirato, di interesse: da parte di psicologi, linguisti, filosofi, antropologi, tutti a interrogarsi sul ruolo e sulle origini della risata. Ma, avvertono il neuroscienziato Fausto Caruana e l’etologa Elisabetta Palagi fin dalle prime pagine del loro libro, Perché ridiamo. Alle origini del cervello sociale (il Mulino, 2024):