fbpx Formidabili quegli anni! | Scienza in rete

Formidabili quegli anni!

Primary tabs

Tempo di lettura: 7 mins

Nonostante il perdurare, ormai da diversi anni, di una profonda crisi economica che morde sempre di più e che, nel nostro Paese, ha portato a continui tagli ai finanziamenti della ricerca scientifica e dell’istruzione e alla riduzione delle risorse materiali e umane da destinare alla scienza e alla cultura in generale, di tanto in tanto ci si imbatte in un titolo di giornale e in un articolo che ci spiega come questo sia un periodo d’oro per l’astronomia, oppure per la fisica, o per altre scienze. L’affermazione è indubbiamente vera e si riferisce al fatto che strumenti d’indagine sempre più potenti vengono messi a disposizione della comunità scientifica (o vengono progettati per un utilizzo futuro) e che, continuamente, nuove e importanti scoperte contribuiscono ad arricchire il nostro sapere.
Gli “orizzonti” si vanno allargando sempre più e spesso in maniera accelerata. A volte il richiamo al periodo d’oro viene un poco enfatizzato allo scopo di dimostrare che i denari pubblici investiti nella ricerca sono stati ben spesi (quando si pubblicizzano i risultati ottenuti) o che saranno ben spesi (quando si propone la costruzione di nuova strumentazione). L’espressione è tuttavia legittima e giustificata: se ci concentriamo su questo inizio di secolo ne troviamo conferma ricordando la scoperta del bosone di Higgs (la cui caccia si era aperta cinquant’anni fa) (v. “le Stelle” n. 109, pp. 4-5), il completamento della mappatura del genoma umano, la scoperta di una miriade di pianeti extrasolari sempre più simili alla Terra (v. “le Stelle” n. 100, pp. 20-21 e “le Stelle” n. 121, pp. 20-22) e poi ancora il completamento, ad opera del satellite Planck di ESA, della più nitida fotografia dell’intero Universo così com’era 13 e passa miliardi di anni fa (v. “le Stelle” n. 118, pp. 4-5) e la cosmologia di precisione.
Potrei continuare ricordando che è stato da poco ufficialmente inaugurato ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array), che già sta producendo risultati eccezionali; che la costruzione del James Webb Space Telescope (JWST, il successore dello Hubble Space Telescope) è a buon punto; che proseguono i progetti per realizzare telescopi ottici di oltre trenta metri di apertura, lo SKA (SquareKilometer Array) e il CTA (Cerenkov Telescope Array).

In questo primo scorcio di secolo l’astrofisica ha anche raccolto tre premi Nobel. Nel 2002 con Giacconi (astronomia X) e con Davis e Koshiba (neutrini cosmici); nel 2006 con Mather e Smooth (radiazione cosmica di fondo) e nel 2011 con Perlmutter, Schmidt e Riess (espansione accelerata dell’Universo, v. “le Stelle” n. 101, pp. 4-5). Se è vero che i premi sono stati assegnati in questo secolo, è altrettanto vero che le ricerche e le scoperte premiate avvenivano però nella seconda metà del secolo scorso, che pure era stato giustamente definito un periodo d’oro per l’astronomia.
Dovrebbero bastare la nascita e lo sviluppo della meccanica quantistica e della relatività generale per capire come il 1900 sia stato un secolo formidabile per tutte le scienze e, in particolare, per la fisica. Per quanto riguarda più strettamente l’astronomia, il ‘900 non è stato da meno. È iniziato con la misura dei primi redshift delle galassie, la formulazione della legge di Hubble e la descrizione di un Universo in espansione che doveva dunque aver avuto un inizio con il Big Bang.
Un cambiamento di paradigma che ricorda quello avvenuto con l’affermazione del sistema copernicano.
È nel secolo scorso che ci siamo resi conto che l’Universo è miliardi di volte più grande di quanto fino ad allora creduto e che contiene miliardi di galassie simili alla nostra. Un aggiornamento non da poco.
È nel secolo scorso che sono nate le “nuove” astronomie, dalla radioastronomia all’astronomia a raggi gamma; che sono stati scoperti i raggi cosmici, i buchi neri, le pulsar e la materia oscura e che è iniziata l’esplorazione “in situ” dei pianeti del nostro Sistema solare. Impossibile dunque non definirlo un periodo d’oro! Già, ma il secolo precedente?
Il 1800 inizia con la scoperta della radiazione infrarossa, immediatamente seguita da quella della radiazione ultravioletta. Un nuovo pianeta del Sistema solare, Nettuno, viene prima previsto – a seguito di studi delle perturbazioni orbitali di Urano – e successivamente scoperto. È il trionfo della meccanica celeste newtoniana! Sempre nel XIX secolo viene misurata con successo la prima parallasse stellare, di fondamentale importanza per la misura delle distanze astronomiche; Maxwell pubblica la sua teoria dell’elettromagnetismo. Inizia l’utilizzo delle pellicole e delle lastre fotografiche, come ricettori della flebile luce stellare in sostituzione della retina, che permetteranno all’astronomia un salto qualitativo paragonabile a quello ottenuto due secoli prima con il passaggio dal cristallino alle lenti (e poi agli specchi) dei telescopi. Il secolo si chiude in bellezza con la scoperta della radioattività naturale che porterà allo sviluppo della fisica nucleare.
E il 1700 allora? Il secolo dell’Illuminismo, un’età d’oro per le scienze per antonomasia! È il secolo in cui fioriscono i cataloghi astronomici, i censimenti stellari e gli studi sistematici che diventano possibili grazie allo sviluppo dei telescopi e alla costruzione di numerosi Osservatori Astronomici (in Italia vengono fondati gli osservatori di Bologna, Brera, Padova, Palermo e Torino).
William Herschel si mette a costruire telescopi e a contare le stelle per ricavare dalla loro distribuzione la struttura della via Lattea; Messier, nel frattempo, aveva compilato e pubblicato il primo catalogo di oggetti celesti non stellari. È il secolo dei cacciatori di comete e Halley capisce che le comete viste nel 1531, nel 1607, e nel 1682 sono lo stesso oggetto e ne prevede il ritorno per il 1759. Ci azzecca, e la cometa prenderà il suo nome.

Non vorrei farmi prendere la mano, ma mi sembra inevitabile riconoscere come anche il 1600 sia stato un periodo d’oro per l’astronomia. Nei primi anni di quel secolo gli astri vengono osservati per la prima volta con l’ausilio di un telescopio. Nasce l’astronomia moderna, si afferma il modello copernicano, si comprende la natura della Via Lattea che viene risolta in una miriade di stelle troppo deboli per essere viste individualmente ad occhio nudo e viene pubblicato uno dei più importanti – se non il più importante – libro di astronomia: il Sidereus Nuncius. L’astronomia era allora praticata da pochi adepti ma i cieli erano ovunque ancora bui: disponendo di un piccolo telescopio, si potevano ancora fare osservazioni e scoperte importanti dai tetti di casa.
Nonostante sia un secolo che comincia male (con il rogo di Giordano Bruno a Campo de’ Fiori), viene illuminato da ben due supernovae galattiche, la prima visibile a occhio nudo – quella del 1604 detta anche di Keplero – e l’altra, quella che ha dato origine al remnant Cas A, di cui stranamente non sembrano esistere annotazioni sicure e che è fatta risalire probabilmente al 1680. È il secolo in cui vengono registrati da Keplero il passaggio e il moto della cometa che verrà successivamente riconosciuta come periodica da Halley, che vede lo sviluppo e i successi della meccanica celeste, dalle leggi di Keplero alla pubblicazione dei Philosophiæ Naturalis Principia Mathematica di Newton e della sua legge di gravitazione universale. È il secolo che ha visto le ultime osservazioni professionali a occhio nudo, lo sviluppo di diversi tipi di telescopi rifrattori e il primo riflettore, ancora ad opera di Newton. Ha visto anche concludersi, dopo secoli, il dibattito sulla velocità della luce: finita piuttosto che infinita. Galileo, con l’esperimento delle lanterne, fu tra i primi a cercare di misurarne sperimentalmente la velocità; non ci riuscì – avrebbe dovuto es- sere in grado di rilevare, a occhio, un ritardo di una decina di microsecondi!
Ci riuscì invece un altro astronomo, Rømer, nel 1676, con delle ingegnose osservazioni di Io, il più interno dei satelliti di Giove scoperti però proprio da Galileo. Rømer stabilì che la luce impiegava 22 minuti a percorrere il diametro dell’orbita di rivoluzione terrestre (che all’epoca non era ancora noto). Una volta misuratolo, si ricavò per la luce la velocità di circa 230.000 km/s, circa il 25% più bassa del valore corrente.

Mi fermo, ma non dobbiamo dimenticare che il 1500 è stato il secolo di Copernico, di Tycho Brahe e dell’Osservatorio di Uraniborg...

Formidabili, dunque, quegli anni. Sì, ma quali? Tutti! È sempre un periodo d’oro per l’astronomia e per chi ci si dedica e l’impressione, guardando il crescendo di scoperte e le domande alle quali cerchiamo di dare risposta, è che il bello debba ancora venire! E se qualcuno pensa che le domande più interessanti, quelle sull’inizio (e su prima dell’inizio) e sulla fine dell’Universo, su cosa succeda dentro un buco nero o sulla nostra apparente solitudine cosmica siano sempre lì e sempre in attesa di risposta, allora si dimentica di tutte quelle altre domande che una risposta l’hanno avuta, dalla natura delle nebulose dentro o fuori dalla Via Lattea al fatto che l’Universo fosse o meno stazionario, dal meccanismo che permette alle stelle di brillare così a lungo alla produzione degli elementi della tavola periodica, dalla natura delle quasar a quella dei lampi gamma, e molte altre ancora.
Possiamo dunque dire che questo è un periodo d’oro per l’astronomia? Certamente! E dura da (almeno) quattrocento anni.

Tratto da Le Stelle n°124


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Di latticini, biotecnologie e latte sintetico

La produzione di formaggio è tradizionalmente legata all’allevamento bovino, ma l’uso di batteri geneticamente modificati per produrre caglio ha ridotto in modo significativo la necessità di sacrificare vitelli. Le mucche, però, devono comunque essere ingravidate per la produzione di latte, con conseguente nascita dei vitelli: come si può ovviare? Una risposta è il latte "sintetico" (non propriamente coltivato), che, al di là dei vantaggi etici, ha anche un minor costo ambientale.

Per fare il formaggio ci vuole il latte (e il caglio). Per fare sia il latte che il caglio servono le vacche (e i vitelli). Cioè ci vuole una vitella di razza lattifera, allevata fino a raggiungere l’età riproduttiva, inseminata artificialmente appena possibile con il seme di un toro selezionato e successivamente “forzata”, cioè con periodi brevissimi tra una gravidanza e la successiva e tra una lattazione e l’altra, in modo da produrre più latte possibile per il maggior tempo possibile nell’arco dell’anno.