Nel primo decennio del secolo XX l’inquinamento da carbone si faceva sentire un po’ ovunque, come dimostrato anche da studi recenti (Science, 2007) sui depositi nevosi della Groenlandia, laddove si è osservato un impennarsi della concentrazione di fuliggine proprio in quel periodo. Oggi molti si chiedono con preoccupazione come ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, come contenerne i danni e come passare alle energie rinnovabili. Ebbene, proprio cento anni fa, il chimico Giacomo Ciamician (Trieste, 1857- Bologna, 1922) denunciò in sede internazionale la “crescente avidità e spensierata prodigalità" con cui allora si ricorreva al carbone. Era il 1912 e a New York si svolgeva l’VIII Congresso Internazionale di Chimica Applicata. Le quattro lingue ufficiali erano francese, tedesco, italiano (altri tempi…) e inglese. Giacomo Ciamician faceva parte del ristretto gruppo di relatori invitati a rappresentare le nazioni delle quattro lingue ufficiali. Ciamician parlò nel pomeriggio di mercoledì 11 settembre. Durante la sua conferenza "La fotochimica dell'avvenire” formulò ipotesi ardite, enunciando profezie che sembrarono sogni. Riferendo il suo intervento, il Journal of Industrial and Enginneering Chemistry scrisse:
"This lecture, delivered in Italian, was of great practical importance on account of the suggestions it contained in regard to the better utilization of radiant energy".
Il testo fu tradotto in più lingue e pubblicato subito dopo (27 settembre) da Science . Quando il New York Times scrisse del Congresso, non mancò di aggiungere il sottotitolo "Italian scientist predicts that black and nervous civilization will yield to quiet one". Partendo dalla constatazione che, all'epoca, ci si serviva del carbon fossile "con crescente avidità e spensierata prodigalità", Ciamician faceva notare che i giacimenti non erano inesauribili e che occorreva domandarsi se l'energia solare fossile era la sola che potesse giovare alla civiltà moderna. La risposta partiva dalla constatazione che la maggior parte dell'energia che la terra riceve dal sole va in gran parte sprecata.
La soluzione di Ciamician
Quali i rimedi? Innanzitutto aumentare notevolmente la produzione di materia organica vegetale, migliorare le rese delle industrie di trasformazione ed estendere l’impiego dei materiali di origine vegetale. In secondo luogo, trasformare le piante in combustibile gassoso. In terzo luogo, valorizzare la capacità delle piante di produrre sostanze preziose per l’industria (alcaloidi, glucosidi, essenze, gomme e coloranti) che, altrimenti, dovevano essere ricavate per sintesi dai derivati del catrame. D’altronde, ricordava Ciamician: “Negli ultimi tempi alcune industrie organiche si sono sviluppate rigogliosamente all’infuori dell’anello benzolico del catrame”. Poi, citando i risultati ottenuti nel suo laboratorio di Bologna, ricordava che “si può intervenire direttamente nella vita delle piante e modificare in un certo senso i processi chimici che in esse si compiono”.
L’ultimo suggerimento riguardava la fotochimica industriale. Secondo Ciamician il problema principale dal punto di vista tecnico era quello di fissare con opportune reazioni fotochimiche l’energia solare. Occorreva imitare il processo di assimilazione delle piante e immaginare pile a base di processi fotochimici. Riferendosi anche alle sue ricerche, immaginava applicazioni industriali degli effetti chimici della luce (polimerizzazioni, isomerizzazioni, idrolisi, ossido-riduzioni ecc…). Citava anche la fotochimica delle materie coloranti e le sue applicazioni in tintoria, suggerendo di trattare le stoffe con sostanze fototrope. Osservò infatti: "Il vestito di una signora che fosse similmente preparato, cambierebbe di colore a seconda dell'intensità della luce….le dernier cri de la mode à venir".
Nella sua geografia fotochimica, Ciamician riservava alle zone temperate i processi basati sulle piante e ai deserti le applicazioni della fotochimica industriale, in apposite “colonie industriali” con serre e tubi trasparenti. Sulla terra, scriveva Ciamician,
"v’è largamente posto per tutto e per tutti… quando le colture sieno debitamente perfezionate ed intensificate ed adattate razionalmente alle condizioni del clima e del suolo".
Affidarsi alla fotochimica voleva dire, secondo lui, costruire una società più tranquilla, meno frettolosa e più felice. Siamo sulla strada giusta?