Il Progetto Genoma Personale (PGP), partito nel 2006 per iniziativa del professore di Genetica all'Harvard University George Church, è il primo passo verso la medicina personalizzata. Il progetto mira alla creazione di un database che comprenda la sequenza dei genomi e le informazioni derivanti dalle anamnesi cliniche e familiari dei soggetti partecipanti allo studio. L'obiettivo di lungo termine del PGP è quello di stabilire delle correlazioni significative tra genotipo, fenotipo ed ambiente che permettano quindi di comprendere le cause di malattie multifattoriali come il cancro, le malattie cardiovascolari o neurodegenerative, e di contribuire in maniera rilevante al dibattito filosofico tra 'innato' e 'acquisito'.
La prima fase del progetto, conclusasi nell'ottobre 2008, ha reclutato dieci partecipanti, tra cui lo stesso George Church e altri scienziati. I cosiddetti "PGP-10" hanno accettato che tutte le informazioni riguardanti il loro genoma e la loro storia clinica fossero pubblicate per intero sul sito del progetto (http://www.personalgenomes.org). A tal proposito, la comunità bioetica ha coniato la locuzione 'consenso informato totale', poiché il soggetto acconsente a tutti i possibili utilizzi della propria sequenza, a differenza delle formule di consenso informato tradizionale, che si riferiscono ad usi specifici.
Allo stato attuale delle conoscenze, però, quali informazioni si possono estrapolare dal sequenziamento di un intero genoma personale? Meno di quelle che ci si potrebbe aspettare. Infatti la gran parte dei risultati derivanti dalla sequenza di DNA è di significato incerto. Per il momento, un genoma personale ci fornisce le informazioni equivalenti a decine di screening genetici per malattie monogeniche (come la fibrosi cistica, anemie e talassemie) e per malattie complesse multifattoriali (come cancro, patologie cardiovascolari e neurodegenerative). Per esempio, esistono screening per i geni BRCA1 e BRCA2, che se mutati conferiscono un aumento di 5 volte del rischio relativo di sviluppare il tumore al seno. Il cancro, d'altra parte, è una malattia dall'eziologia multifattoriale. Bisogna sottolineare, quindi, che la presenza delle due mutazioni spiega soltanto la forma familiare della malattia, che rappresenta appena il 5% dei casi totali del tumore nella popolazione, per cui un esito negativo del test non significa una probabilità nulla di sviluppare la neoplasia.
Dopo la conclusione della prima parte del progetto, Steven Pinker, noto psicologo e uno dei primi dieci partecipanti, ha condiviso le proprie impressioni sull'utilità dei risultati con i lettori del New York Times, in un lungo articolo pubblicato nel gennaio del 2009 (http://www.nytimes.com/2009/01/11/magazine/11Genome-t.html ). "Nessun [dato] è particolarmente interessante" , scrive Pinker. Infatti, le uniche due informazioni medicalmente rilevanti riguardano una probabilità del 12,6% di sviluppare il cancro alla prostata prima degli 80 anni (in confronto a un rischio medio del 17.8%) e del 26,8 % di acquisire il diabete di tipo 2 (con un aumento del 5% rispetto alla media). Il resto delle informazioni si discostavano in misura ancora minore dalla norma.
Proprio per la complessità delle patologie prese in considerazione dai test genetici, il campo della genomica personale deve affrontare due priorità. La prima, sviluppare servizi di supporto (consulenza genetica) che consentano agli "utenti" di comprendere correttamente il significato delle loro informazioni genomiche personali. Parallelamente, è necessario incrementare le conoscenze di genetica nella preparazione di medici e operatori sanitari, nonché la consapevolezza dell'esistenza e della rilevanza di questo progetto, che inizierà a breve una seconda fase di reclutamento su scala internazionale.
Una nuova fase della ricerca biomedica è appena iniziata, la misura reale del suo succeso è, però, ancora da valutare.