fbpx Jon Gao: meglio mascherine per tutti | Scienza in rete

George Gao: meglio mascherine per tutti

Primary tabs

"Human Family", di Harry Greb.

Tempo di lettura: 4 mins

Finora non aveva rilasciato dichiarazioni a giornalisti di paesi occidentali, ma qualche giorno fa George Gao ha risposto alle domande di Jon Cohen e la sua intervista è uscita su Science. Gao è il direttore generale del Center for Disease Control and Prevention cinese. Veterinario di formazione, ha preso un dottorato in biochimica a Oxford, è poi passato per Harvard dove si è specializzato in immunologia e virologia, per tornare nel 2004 nel suo paese. Quando SARS-CoV-2 ha cominciato a colpire in Cina, Gao era lì e faceva parte del team che a gennaio scorso ha isolato e sequenziato il virus. È coautore dei due articoli pubblicati sul New England Journal of Medicine (1, 2) che hanno fornito i primi dati epidemiologici e le prime caratteristiche cliniche della malattia COVID-19 e ha poi pubblicato altri 3 articoli sull’argomento su The Lancet (1, 2, 3).  Insomma si potrebbe dire che Gao è insieme un ricercatore e un uomo di sanità pubblica. La sua opinione su come la Cina ha affrontato l’epidemia, su quello che possiamo imparare e sui nostri errori può essere interessante. Vediamo quindi cosa ha da dirci.

Distanziamento sociale

In primo luogo, dice lo scienziato, quello che gli altri Paesi possono imparare dalla lezione della Cina è che il distanziamento sociale è una strategia essenziale per il controllo delle malattie infettive. La dobbiamo usare anche perché non abbiamo al momento alcun farmaco né vaccino contro questo virus. Perché sia efficace però bisogna: 1) assicurarsi che tutti i casi siano isolati, 2) mettere in quarantena tutti i contatti diretti di una persona contagiata, 3) sospendere i raduni pubblici, 4) mettere in atto la restrizione dei movimenti. Per attuare queste misure c’è bisogno di  “comprensione e consenso” da parte della popolazione. Ci vuole una forte leadership a livello locale e nazionale, dice Gao. I supervisori e i coordinatori devono lavorare a stretto contatto con la popolazione perché devono conoscere i casi sospetti e poter ricostruire i loro contatti. La lezione principale è che “Le persone contagiate devono essere isolate. COVID-19 si  può controllare solo se si rimuove la fonte del contagio, ecco perché in Cina abbiamo costruito ospedali e trasformato interi stadi in ospedali”. 

Troppo poche mascherine

Alla domanda quali siano gli errori che stanno facendo gli altri paesi, Gao risponde che l’errore principale che vede in Europa e negli Stati Uniti è che poche persone stanno mettendo le mascherine. “Questo virus – spiega Gao – si trasmette attraverso le goccioline e il contatto stretto tra le persone. Le goccioline in particolare giocano un ruolo fondamentale”. Quando noi parliamo, dalla nostra bocca escono in continuazione goccioline, è per questo – dice Gao – che dobbiamo indossare la mascherina: “Molte persone hanno infezioni asintomatiche o sono in una fase presintomatica della malattia, se indossano una mascherina possono prevenire che le goccioline che escono dalla loro bocca e che comunque portano il virus infettino altre persone”.  L’uso della mascherina serve quindi non tanto per la protezione di chi la indossa, ma di chi gli sta intorno. Ma, se tutti la indossano, la catena del contagio può essere interrotta più facilmente. Qui in Italia la questione mascherine è controversa, per il Ministero della Salute, ad esempio si deve “usare la mascherina solo se si sospetta di essere malati o se si presta assistenza a persone malate”. Ma soprattutto le mascherine sono di difficile reperibilità: sembra davvero difficile fornirle a tutta la popolazione. 

L’ambiente

Un altro strumento di controllo utilizzato molto in Cina è il termometro. La temperatura viene misurata all’ingresso di negozi, edifici, stazioni. È una misura importante, dice Gao, perché ci rende sicuri che chiunque abbia la febbre, che è un sintomo dell’infezione, rimanga fuori in modo da evitare che contagi altre persone. Un’altra questione importante sollevata dallo scienziato cinese è quanto sia stabile il virus nell’ambiente. Poiché si tratta di un virus con pericapside si tende a pensare che sia fragile e particolarmente sensibile alle temperature superficiali e all’umidità, ma da studi cinesi e americani “sembra sia molto resistente alla distruzione, almeno su alcune superfici”. E’ importante quindi trovare risposte scientificamente certe su questa questione”. 

Passato e futuro

Su come sia nata la pandemia ancora si deve fare chiarezza. È possibile però secondo Gao che il mercato di Wuhan non sia stato il luogo in cui il virus si è originato, come si è pensato all’inizio, ma il luogo in cui il virus si è amplificato.  Cioè, il virus avrebbe fatto il salto di specie dall’animale all’uomo in un altro luogo e in un tempo (di poco) anteriore, ma poi nel mercato avrebbe trovato il modo di diffondersi e far partire l’epidemia. Per quanto riguarda il futuro, Gao è sicuro del fatto che la Cina ancora non abbia l’immunità di gregge, ma si aspettano i test sugli anticorpi per capire quante persone siano state realmente state infettate. Intanto si lavora a farmaci e vaccino, come nel resto del mondo.  

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

COP16: l'ennesima occasione persa per la biodiversità

uno scatto della cop16

La COP16 si è conclusa senza accordi concreti sui finanziamenti per la biodiversità, lasciando in sospeso obiettivi cruciali per proteggere la natura. Mentre i progressi sulla gestione delle risorse genetiche e sul coinvolgimento delle comunità indigene sono incoraggianti, l'assenza di un piano finanziario chiaro rende incerto il futuro della biodiversità globale.

Crediti foto: UN Biodiversity CC BY 2.0

La COP16 si è conclusa rimandando a prossimi appuntamenti i risultati concreti che si dovevano portare a casa nei dieci giorni di consesso, in primis con un niente di fatto sulla questione dei finanziamenti a favore della biodiversità.