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Giorgio Bignami: io me lo ricordo così

Il 16 marzo è mancato Giorgio Bignami, medico, farmacologo, ricercatore attento e critico dei fondamenti scientifici delle attività cliniche, ma anche intellettuale impegnato e studioso delle ricadute sociali della ricerca scientifica. Persona di ampi interessi, ha contribuito al rinnovamento della medicina e della psichiatria, lavorando con Franca e Franco Basaglia. Si deve a Bignami il primo Progetto nazionale salute mentale, attivato da segretario del “Centro OMS per la ricerca e la formazione nel campo della salute mentale in Italia”. Stefano Cagliano lo ricorda così.

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Lo incontrai la prima volta, non ricordo per quale ragione, perché accanto a quella di medico seguivo l’attività giornalistica, con un occhio al problema farmaci. Avevo iniziato su Paese Sera, poi ero passato ad altri quotidiani, o a settimanali, anche a Rai 3 (un po’ diversa dall’attuale) dove in uno spazio di 40-50 secondi serali, l’Altra Campana, denunciavo farmaci inutili, prima degli eventi Poggiolini&Company (Duilio Poggiolini, direttore generale di quello che allora era il servizio farmaceutico nazionale del Ministero della Sanità, venne arrestato nel 1993 perché coinvolto nell'inchiesta Mani Pulite e condannato in via definitiva nel 2012, ndr).

Racconto queste cose solo perché hanno rappresentato il retroterra politico e culturale sul quale negli Ottanta-Novanta si è sviluppato il rapporto con Giorgio Bignami, una persona tanto colta quanto socialmente motivata. Anche con un accenno di sorriso intelligente sulle labbra.

Giorgio Bignami purtroppo ci ha lasciato il 16 marzo a Roma. Chi lo ha conosciuto, come me, lo ricorda con affetto e un’affettuosa riconoscenza per quanto ha saputo dare e fare per il nostro Paese, per una medicina corretta e per la scienza, due cose che non è semplice tenere insieme.

Con una laurea in medicina e chirurgia e una docenza in farmacologia, Giorgio Bignami si era, per così dire, recluso presto all’Istituto superiore di sanità, come ricercatore dal 1958 al 1998. Lavorava (molto), studiava (tanto), parlava con le persone (in genere piacevolmente). Si poteva occupare di tutto per la preparazione e per la serietà di studio che aveva, ma le sue passioni sono state sempre la psicofarmacologia, la tossicologia comportamentale, la psicologia comparata e la psicobiologia. Argomenti che però sentiva e viveva non solo sulla carta e senza preclusioni ideologiche. Ha lavorato per anni all’ISS con il premio Nobel Daniel Bovet, dopo aver collaborato con Giulio Maccacaro e insieme a lui alla rivista Sapere, di cui Maccacaro è stato direttore dal 1978 con Giovanni Cesareo. Un gruppo di persone attente ai problemi della salute, in particolare quelli connessi allo sfruttamento sul luogo di lavoro.

E così, mentre organizzava il tempo di lavoro all’ISS, Bignami partecipava a incontri interni (per la CGIL) o scriveva articoli scientifici o altri completamente diversi, come "Il merito: talento, impegno e caso", ne La Rivista delle politiche sociali, o faceva fotocopie per i colleghi dell’ISS per diffondere la cultura. Trovava anche il tempo per recensire i libri scientifici per la rivista l’Indice.

Come riuscisse a trovare il tempo non era chiaro, ma scriveva sempre con passione e competenza, impiegando un italiano e una logica diversi a seconda che si trattasse di un incontro CGIL o un articolo scientifico. Poliedrica, la mente di Giorgio viaggiava magnificamente da un continente logico-verbale all’altro, dalle molecole ai diritti delle persone, dai problemi psichiatrici a quelli da usare nella comunicazione con il Nobel Daniel Bovet, dagli articoli alle fotocopie.

Qualche anno più tardi, nel 1993, mentre il grande Luciano Vella dirigeva ancora l’Enciclopedia Medica Italiana, comparve una voce nuova per l’EMI e per la cultura italiana, difficile in termini scientifici: teratologia comportamentale, per dirla semplice “malformazioni del comportamento”. Una voce dove a proposito dell’effetto malformativo del piombo o dell’alcool, cioè della sua potenza, Bignami concludeva che: «Le indagini più accurate sugli effetti del piombo indicano che tali effetti tendono a essere più marcati, a parità di esposizione, nei soggetti già penalizzati da condizioni socio-economiche e culturali sfavorite». Quindi, concludeva occorreva far presto e bene «se non si vuole che ancora una volta sia l’uomo a far da cavia per ciascuna delle nuove esposizioni che lo sviluppo scientifico e tecnico inevitabilmente comporta».

Dopo una frequentazione episodica di qualche anno, ma almeno per me piena di significato, nel 1998 mi propose un incontro scientifico all’Accademia Lancisiana di Roma. Incontro nel quale si dimostrò, ancora una volta, scientificamente misericordioso con me come lo era con gli altri. Felice della mia scelta per il titolo: "Farmaco tra bisogno e rito", io parlai de "I farmaci: oltre l’età dello spreco", mentre Giorgio Bignami scelse "Fattori culturali nell’interazione medico-paziente e bisogno di farmaci". L’incontro andò bene, ma fui colpito, in particolare, dall’attenzione con la quale le persone seguivano Giorgio, dal suo eloquio tranquillo e documentato, il pubblico sembrava catturato non solo da ciò che diceva, ma dal modo convincente con cui lo presentava. Con un’immagine eccessiva potrei dire che era come se la sua sola figura fosse già capace di riassumere le cose.

Cose, però, che Bignami faceva sul serio. L’incontro di quel giorno, in ogni caso, si concluse con la visione dei vetrini originali dell’infezione malarica dell’ospedale Santo Spirito dove nel 1898, Amico Bignami, nonno di Giorgio, era riuscito a dimostrare «con metodo sperimentale che la malaria viene trasmessa all’uomo per puntura di zanzara Anophele». Nel leggere le carte del pacco voluminoso conservato presso l’Archivio Amico Bignami che si occupa di storia della medicina, il nipote Giorgio è incappato, tra l’altro, in «alcuni esempi delle pubblicità dei prodotti della ditta fondata da uno dei più accaniti centravanti della squadra anti-Marchiafava, il professor Achille Sclavo». Una pubblicità in particolare «riguarda un prodotto antianemico Adrenofer, che oltre al ferro conteneva manganese ed estratto di capsule surrenali. (Sempre lo stesso trucco di aggiungere “coadiuvanti” inutili e costosi a un principio attivo, onde aumentare il prezzo della specialità)» aggiungeva Giorgio Bignami.

Per una palingenesi antica ma non logica dei termini aggiungerei oggi che «l’uso degli integratori è in costante aumento, ma […] non sono disponibili […] fonti d’informazione a supporto […] della sicurezza d’impiego di tali prodotti, in particolare per quelli acquistati […] tramite internet». Ma ancora nel 2011, nella relazione Il farmaco nei 150 anni dall’Unità d’Italia, dopo la pensione, non aveva dimenticato vecchi nemici: «Per esempio appare sempre più vistosa l’escalation dei conflitti d’interesse […] Marcia Angell, medico e ricercatrice di notevole statura, anni fa dovette lasciare la direzione di una delle più autorevoli riviste, il The New England Journal of Medicine per disaccordi con la proprietà […] Questa infatti non poteva rinunciare ai consistenti introiti per pubblicità che facevano a pugni con i contenuti della rivista».

Su una sponda tutta diversa, ma nella stessa sede, Bignami ricorda (e per i moltissimi che non lo sanno illumina) quanto accaduto «sul brevetto e sul nome di marchio dell’Aspirina [controversie] che ci interessano direttamente in quanto testimoniano dello scarso peso contrattuale del nostro Stato, vaso di coccio tra vasi di ferro, [corsivo mio, sono passati appena 14 anni dalla scrittura di queste pagine] ancora molto tempo dopo la sua fondazione». Infatti, racconta Bignami che con il trattato di pace del 1919, facendo parte della Germania sconfitta, la Bayer «deve rinunciare all’esclusività del suo nome di marchio in Francia, Russia, Gran Bretagna e Stati Uniti d’America» e così Aspirin può diventare nome del farmaco generico. Ma la vicenda prosegue, perché mentre otto Paesi riescono nell’operazione (dall’India all’Irlanda o a Giamaica) per altri 80 il percorso è più difficile.

Purtroppo non c’è più speranza d’imparare qualcos’altro dalle sue parole. I suoi scritti però continuano a lavorare per lui tra noi.

 


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