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Giuseppe O. Longo: la scienza va a teatro

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Giuseppe O. Longo durante il seminario 'Il Post Umano' al Festival Mimesis 2014.

Tempo di lettura: 5 mins

Professore emerito di Teoria dell’informazione presso l’Università di Trieste, cibernetico, epistemologo, autore di illuminanti saggi sulla teoria dell’informazione, Giuseppe O. Longo è noto al grande pubblico soprattutto per la sua infaticabile attività di divulgatore scientifico, narratore, drammaturgo e anche attore. A un ricchissimo catalogo di lavori scientifici si accosta dunque un altrettanto cospicuo numero di opere narrative e drammatiche attraverso le quali l’autore propone non solo storie avvincenti, ma soprattutto scrive di scienza divulgandone, in modo del tutto originale, le problematiche e le emozioni che essa suscita.

Giuseppe O. Longo: tra palcoscenico e scienza 

Uno dei risultati più originali in questo ambito, Longo lo offre attraverso un lavoro di recente pubblicazione, il volume La scienza va a teatro (Eut - Edizioni Università di Trieste, €. 16,00, pp. 432): si tratta di una raccolta di pièces dedicate, appunto, al rapporto tra il palcoscenico e la scienza, ove viene sondata la possibilità di proporre a un pubblico di non addetti ai lavori temi, anche complessi, che riguardano il mondo scientifico.

“Non credo che il teatro sia un mezzo adatto a trasmettere la scienza - sostiene Longo -, credo invece che esso possa e debba concentrarsi sugli scienziati, sulle loro vicende, sull’entusiasmo della scoperta, sulle delusioni e sulle speranze”. In altre parole sul palcoscenico non va rappresentata la teoria scientifica, che rischierebbe di rimanere oscura per gran parte della platea, quanto piuttosto l’aspetto profondamente umano della ricerca. La sfida è dunque narrare emozioni, sentimenti, storie di uomini posti di fronte a rivelazioni sensazionali, ma talora caratterizzate da risvolti imprevedibili. Ma anche far riflettere lo spettatore su tematiche di ordine morale, nel tentativo di chiarire quale sia il ruolo della scienza e soprattutto quali i limiti che essa non deve superare.

Il teatro-scienza, da Eschilo a Molière, da Brecht a Dürrenmatt

Il teatro-scienza è divenuto oggi un vero e proprio genere a sé. Le numerose pièces scritte negli ultimi decenni, se da un lato hanno rivelato un intento scientifico-divulgativo, dall’altro hanno saputo recuperare uno dei ruoli più antichi e più veri del teatro: quello di intervenire sulla società, ponendo in discussione i grandi temi, rivelandone le mostruosità, denunciandone i pericoli, suggerendo possibili vie d’uscita.

Il rapporto tra il teatro e la scienza è tuttavia molto antico: taluni infatti ritengono che già in un testo classico quale il Prometeo di Eschilo, sia da rintracciare il primo esempio in cui la scienza compare all’interno di un dramma. Il protagonista infatti, portando agli uomini il dono del fuoco, apre loro la strada verso la civilizzazione, la conoscenza e il progresso. Ma la scienza è stata più volte chiamata in causa dai drammaturghi con intenti polemici: dal Candelaio di Giordano Bruno (1582), al Il malato immaginario di Molière (1673), sino a quella Vita di Galileo di Bertolt Brecht (1938-56) che costituisce uno degli esempi drammaturgicamente più alti sulla riflessione dei rapporti tra scienza e potere. In tempi più recenti devono essere ricordate per lo meno I fisici di Dürrenmatt (1961), il “docudrama” Sul caso Oppenheimer di Heinar Kipphard (1964) e il più recente Copenaghen di Michael Frayn (1998) in cui si cerca di ricostruire l’incontro, avvenuto nel 1941, tra Niels Bohr e Werner Heisenberg.

Una raccolta di 13 testi teatrali di Giuseppe O. Longo

Il volume di Giuseppe O. Longo contiene una raccolta di tredici testi drammatici, alcuni dei quali inediti. In essi si alternano stili e tecniche differenti, dal monologo alla pièce a più voci, dal ritratto di celebri scienziati alla commedia grottesca, dalla ricostruzione storica alle riflessioni sul significato, per la società contemporanea, del progresso tecnologico. Apre la raccolta un gruppo di atti unici riunito sotto il titolo Le orme del sapere, che va a costituire un percorso in quattro tappe attraverso l’evocazione - in ordine cronologico - di altrettante figure di scienziati: Lucrezio, Pascal, Babbage, Einstein. Ciascuno di loro è colto di fronte a una sorta di bivio intellettuale che induce a riflettere sul rapporto scienza-etica, tramite prospettive e problematiche di volta in volta differenti.

Il cervello nudo, pièce più volte messa in scena, pone la drammatica e inquietante ipotesi di una macchina talmente sofisticata, da essere addirittura capace di provare dei sentimenti.

Di ordine completamente diverso è Un trapianto molto particolare, in cui Longo, dando sfogo al suo aspetto ironico, ci pone il problema - assolutamente non frivolo - di quali conseguenze potrebbe portare con sé il trapianto del cervello umano da un corpo all’altro.

Un altro modo di affrontare la scienza è quello proposto in Farm Hall 45: vi è rievocato un fatto storico, la detenzione, in una villa della campagna inglese, di dieci scienziati tedeschi che, a loro insaputa, nel 1945 vennero spiati attraverso registrazioni audio, per verificarne le eventuali compromissioni con il nazismo. Partendo delle trascrizioni di quelle registrazioni, Longo costruisce, in piena libertà, un dramma in cui prevalgono non tanto le ipotesi scientifiche, quanto le paure, le aspirazioni, le speranze, i pettegolezzi e le invidie dei dieci scienziati.

Con Il crepuscolo dei simbionti siamo trasportati in un angosciante mondo del futuro ove si sta consumando l’ultima battaglia tra una civiltà che ha cercato nella scienza la sua estrema emancipazione e un popolo rude e primitivo che è riuscito ad avere il sopravvento sul progresso tecnologico.

Il carattere tragicomico di Longo emerge nuovamente in Evoluzione di un matrimonio, ove le peripezie coniugali vengono ripercorse e analizzate, con comico rigore scientifico, attraverso un percorso che parte dal primo giorno di nozze e si conclude in modo inaspettato vent’anni dopo.

La raccolta termina con una serie di quattro atti unici dalla forma del tutto particolare, in cui teatro, scienza, filosofia, teoria dell’informazione e procedimenti conoscitivi trovano un’imprevedibile forma di convivenza. Si tratta dei “metàloghi”, ossia dialoghi attorno ad argomenti problematici. È la rielaborazione di una forma drammaturgica introdotta negli anni Settanta del Novecento dall’antropologo e sociologo britannico Gregory Bateson (1904 - 1980), di cui Longo ha tradotto in italiano le opere. Ancora un modo sorprendente di affrontare il rapporto tra teatro e scienza perché, come sostiene l’autore: “La scienza è fatta dagli umani e anche le discipline più astratte, come la matematica, hanno carattere sociale e culturale. È vero che la loro sistemazione, che prescinde dallo sviluppo storico, dà l’impressione di assolutezza e di impassibilità, ma nel loro farsi tutte le scienze sono soggette a vicende alterne, alle passioni e alle vicissitudini umane. Quando si fa ricerca non si può non riconoscere che razionalità ed emozione sono strettamente intrecciate. Ecco, a me interessa portare sulla scena questo groviglio inestricabile di passione e di logica”.

 


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