fbpx La globalizzazione fa bene alla salute? | Scienza in rete

La globalizzazione fa bene alla salute?

Primary tabs

Tempo di lettura: 4 mins

È possibile istituire un parallelo tra i fenomeni economici e quelli sanitari? Certamente i paralleli sono molti, soprattutto se esaminiamo gli andamenti nel tempo in diverse aree del mondo.
Se per esempio consideriamo la crescita dell’aspettativa di vita in relazione al reddito pro capite, osserviamo una sequenza di fenomeni che coincidono approssimativamente con gli andamenti economici:
a) dal 1800 al 2011 c’è stato un progressivo aumento del reddito pro capite e, parallelamente, dell’aspettativa di vita, ma in modo molto diversificato e con un divario crescente, in particolare tra l’Africa e il resto del mondo;
b) dal 1950 c’è stata una grande accelerazione dell’aspettativa di vita in Europa e Nord-America, che ha poi subito (negli anni Settanta-Ottanta) un rallentamento;
c) nel 1950 la Cina e l’India erano ancora allineate con l’Africa sia per l’aspettativa di vita sia per il reddito; dal 1977 in entrambi i paesi si è manifestata una crescita dell’aspettativa di vita totalmente disgiunta dal reddito, mentre dal 1985 i due indicatori hanno cominciato a crescere insieme.
Questi fenomeni possono essere osservati nel grafico interattivo di Gapminder. In particolare il lettore può fermare lo scorrere del tempo nelle quattro fasi critiche del 1900, 1950, 1977 e 1985 e infine studiare l’evoluzione fino al 2012, per constatare i cambiamenti appena descritti.

(…) La globalizzazione ha migliorato o può migliorare la salute delle popolazioni del mondo? Se è vero che la salute dipende in larga parte dalla ricchezza dei paesi, la globalizzazione dovrebbe contribuire alla crescita economica, a una riduzione almeno parziale della povertà e alla liberazione di risorse e fattori produttivi nei settori della salute e dell’istruzione.

(…)Anche ammesso che la globalizzazione favorisca la produzione complessiva di ricchezza, la crescita non si è tradotta in una redistribuzione, e per contro la globalizzazione ha avuto concreti svantaggi. Un denominatore comune di molte politiche a favore della globalizzazione e della liberalizzazione (il cosiddetto Washington consensus) è il contenimento della spesa sociale e la promozione dei consumi privati anche in sanità: la cosiddetta mercificazione (commodification) dei bisogni essenziali.
L’enfasi posta sul rientro della spesa pubblica, sul ripianamento del debito pubblico, sul pieno recupero dei costi attraverso un contributo alla spesa da parte degli utenti ecc., comporta un’implicita o esplicita negazione dell’obiettivo di mantenere in vita i sistemi di welfare istituiti nel dopoguerra, inclusi i servizi sanitari universali. A questo si accompagna uno spostamento dell’enfasi dalla responsabilità collettiva (e della promozione della salute di tutti) alle responsabilità individuali. La Dichiarazione di Alma Ata nel 1978 aveva sancito il diritto universale alla protezione e promozione della salute e del benessere; ma nel 2013 la riforma dello storico e glorioso NHS (National Health Service) inglese da parte del governo conservatore ha portato ad abolire dal suo statuto la frase secondo cui il Ministero della Sanità è tenuto a fornire l’assistenza sanitaria ai cittadini attraverso il servizio pubblico: oggi in Inghilterra solo l’individuo è responsabile della propria salute.

(…) Vi sono altri meccanismi attraverso cui la globalizzazione può avere conseguenze negative, soprattutto per i più poveri. Diderichsen e colleghi (2001) hanno individuato quattro meccanismi principali attraverso cui la globalizzazione genera disuguaglianze nella salute: una crescente stratificazione sociale e un crescente differenziale nell’esposizione a fattori di rischio, nella suscettibilità, e nelle conseguenze della malattia. In altri termini, la globalizzazione amplifica la stratificazione tra chi riesce a beneficiarne e chi no, e al contempo crea differenze sociali nell’esposizione a fattori di rischio – dal fumo al junk food – e aumenta la suscettibilità alle malattie attraverso danni ripetuti e cumulativi. Infine la parabola discendente si amplifica a livello individuale per la ridotta capacità lavorativa, le difficoltà nell’ottenere un’assicurazione, l’aumento dei premi assicurativi e così via.
Uno dei principali problemi associati ai cambiamenti economici è che gli effetti positivi si manifestano per lo più sul lungo periodo, mentre quelli negativi si manifestano in tempi brevi, spesso con spirali catastrofiche per gli individui più vulnerabili. I grandi cambiamenti che nell’Ottocento avevano portato a un miglioramento delle condizioni igieniche nelle città inglesi e tedesche hanno prodotto benefici per la salute dopo più di mezzo secolo, mentre gli effetti negativi per la salute della crisi economica sono spesso immediati: i casi della Grecia e di Nauru che abbiamo descritto sono emblematici.

Tratto da "Salute senza confini", Codice Edizioni

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

La COP29 delude. Ma quanti soldi servono per fermare il cambiamento climatico?

Il presidente della COP 29 di Baku, Mukhtar Babayev, chiude i lavori con applausi più di sollievo che di entusiasmo. Per fortuna è finita. Il tradizionale tour de force che come d'abitudine è terminato in ritardo, disegna un compromesso che scontenta molti. Promette 300 miliardi di dollari all'anno per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare la transizione, rimandando al 2035 la "promessa" di 1.300 miliardi annui richiesti. Passi avanti si sono fatti sull'articolo 6 dell'Accordo di Parigi, che regola il mercato del carbonio, e sul tema della trasparenza. Quella di Baku si conferma come la COP della finanza. Che ha comunque un ruolo importante da giocare, come spiega un report di cui parla questo articolo.

La COP 29 di Baku si è chiusa un giorno in ritardo con un testo variamente criticato, soprattutto dai paesi in via di sviluppo che hanno poca responsabilità ma molti danni derivanti dai cambiamenti climatici in corso. I 300 miliardi di dollari all'anno invece dei 1.300 miliardi considerati necessari per affrontare la transizione sono stati commentati così da Tina Stege, inviata delle Isole Marshall per il clima: «Ce ne andiamo con una piccola parte dei finanziamenti di cui i paesi vulnerabili al clima hanno urgentemente bisogno. Non è neanche lontanamente sufficiente.