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Gould si è sbagliato su Morton?

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Nel suo libro The Mismeasure of Man, del 1981 (tradotto in italiano da Il Saggiatore nel 1998 con il titolo Intelligenza e pregiudizio), Stephen Jay Gould aveva sostenuto che la misura della capacità cranica, che fornisce la dimensione scheletrica e quindi indiretta del volume del cervello, effettuata da Samuel George Morton nel decennio compreso tra il 1839 e il 1849 sulla sua collezione di alcune centinaia di crani umani provenienti da popolazioni di tutto in mondo era involontariamente errata, perché lo studioso era inconsciamente viziato dall’idea che i popoli di origine europea fossero più intelligenti e ciò sarebbe stato dimostrato dal maggior volume del loro cervello. E infatti Morton aveva assegnato il valore medio maggiore agli europei e via via minore agli altri gruppi. L’errata convinzione che legava l’intelligenza alla grandezza del cervello era diffusa all’epoca in cui Morton ha lavorato e non si dimentichi che c’era chi sosteneva, come il nostro Cesare Lombroso, che le degenerazioni comportamentali, i vizi e quelle che erano considerate condotte sociali disdicevoli avrebbero trovato la loro spiegazione in conformazioni particolari del cervello. Oggi tutto ciò è superato. O forse è più corretto dire spostato, perché c’è chi si ostina a considerare il QI una misura dell’intelligenza, invece di una misura del successo scolastico o lavorativo. Morton e gli altri antropologi erano inoltre convinti che l’umanità fosse suddivisa in razze e si servivano della supposta concordanza tra volume cerebrale e intelligenza per stabilire la gerarchia tra esse e addirittura se esse non fossero state create indipendentemente le une dalle altre. Cioè, se la nostra specie fosse stata il risultato di un’unica creazione (monogenismo) o di creazioni successive (poligenismo).

Allora, le scienze naturali erano ancora dominate dal creazionismo, che sarà dimostrato falso da Charles Robert Darwin solo dieci anni dopo l’ultimo lavoro di Morton. L’evoluzionismo infatti si affermerà nel 1859 con la pubblicazione dell’Origine delle specie.

Ma Gould, sempre partendo da Morton, è andato oltre e ha affermato che il lavoro degli scienziati non può essere scevro dai condizionamenti culturali in cui si trovano a operare.

Nel numero di giugno di PLoS Biology, un gruppo di ricercatori guidati da Jason Lewis ha pubblicato un articolo (The Mismeasure of Science: Stephen Jay Gould versus Samuel George Morton on Skulls and Bias) per sostenere che la critica di Gould a Morton era errata. Gli autori non hanno negato la visione razzista di Morton e la sua convinzione che le razze umane fossero realtà biologiche ben definite e definibili, ma hanno sostenuto che i suoi dati erano corretti. E per dimostrarlo hanno riesaminato 308 dei 670 crani già studiati da Morton. Poiché i loro valori sono risultati praticamente sovrapponibili a quelli di Morton e gli scostamenti non hanno interessato in modo particolare una popolazione rispetto a un’altra, gli studiosi hanno concluso che Gould abbia distorto il lavoro di Morton per poterlo accusare, come paradigma eccellente, di essere affetto dal pregiudizio che gli europei erano più intelligenti degli altri.

Per Lewis e i suoi colleghi si tratterebbe di distorsione, in quanto tutte le osservazioni di Morton sarebbero ben evidenti nei suoi libri e non parrebbe ammissibile che Gould possa non essersene accorto. Unitamente alla critica su questo specifico punto, tuttavia, è da notare che gli stessi ricercatori hanno dichiarano il loro assoluto apprezzamento per tutto il resto del lavoro di Gould.

Non vi è dubbio che è buona norma nel lavoro scientifico riesaminare i risultati delle ricerche e ciò è tanto più vero in un ambito come quello antropologico che fino a tempi recentissimi poteva basarsi esclusivamente su esami morfologici, che per loro natura hanno un margine intrinseco di soggettività nell’indagine compiuta dal ricercatore. Ma per dimostrare definitivamente che Gould per essere politicamente corretto nella sua azione contro il razzismo era stato scientificamente scorretto, sarebbe stato bene sottoporre al riesame l’intero campione di crani su cui aveva lavorato Morton e non solo la metà di essi.

Che poi in antropologia ci siano evidenze di errori dovuti a condizionamenti culturali, come a ragione ha rilevato Gould, è davvero più che noto. Basti ricordare che per lungo tempo si è ritenuto che i neandertaliani non avessero una perfetta stazione eretta, dal momento che Marcellin Boule si era convinto che il foro occipitale del neandertaliano di La Chapelle-aux-Saints, trovato nel 1908, fosse più arretrato rispetto al nostro. E solo nei successivi anni trenta Sergio Sergi ha potuto dimostrare l’errore di Boule e ha restituito ai neandertaliani una postura identica alla nostra. E ancora che la storia dell’antropologia è costellata di nomi di specie che il tempo ha cancellato. E infine che molti studiosi sono convinti che il linguaggio articolato e l’etica siano esclusivi della nostra specie, eppure abbiamo evidenze morfologiche e molecolari nel primo caso ed etologiche nel secondo che le loro radici ci abbiano preceduto. La natura esclusivamente evoluzionistica della base della morale, come sostenuto da Darwin, dovrebbe essere ormai accettata come un fatto acquisito: ma così ancora non è.


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