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Humphry Davy: una vita tra chimica e scrittura

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Humphry Davy

Un grande chimico, uno dei più presenti sulla tavola periodica; uno scienziato ma anche un poeta, con rapporto stretti ma dai confini incerti tra rivalità e amicizia con molti altri scienziati del suo tempo. Quella di Humphry Davy è una figura affascinante dal punto di vista scientifico, storico e umano: ora potrà emergere dai suoi taccuini, che saranno pubblicati in un archivio digitale grazie a un progetto della Lancaster University.

Immagine: rielaborazione da Portrait of Sir Humphry Davy, 1st Baronet, FRS (1778 – 1829). Crediti: Wellcome Images/Wikimedia Commons. Licenza: Attribution 4.0 International

Nell’estate 2024 la Lancaster University pubblicherà l’archivio digitale dove saranno custoditi tutti i taccuini di Humphry Davy con le relative trascrizioni: è il coronamento di un progetto iniziato nel 2019 che ha permesso la digitalizzazione e la trascrizione di oltre 80 taccuini. I ricercatori hanno ottenuto questi risultati in poco tempo grazie alla citizen science: circa 3.500 persone hanno contribuito a leggere e trascrivere oltre 11.000 pagine di appunti.

Davy è stato uno dei chimici più prolifici della storia e la sua eredità è presente anche sulla tavola periodica: a lui si deve la scoperta, tra il 1805 e il 1824, di molti elementi. Come scienziato di fama mondiale, ha partecipato alla scelta del nome di alcuni elementi e di altri ha ipotizzato l’esistenza ancor prima che i suoi colleghi ed eredi li scoprissero.

Ci ha lasciato una grande mole di testi, composizioni e annotazioni: la sua attività scientifica infatti andava di pari passo con la sua produzione scritta. Annotava di tutto, dalla lista della spesa agli aneddoti che avevano sua moglie come protagonista, e aveva una passione viscerale per la poesia. Mescolava scienza e versi con disarmante naturalezza, persino mentre i suoi esperimenti erano in corso: in alcune pagine la stesura dei dati scientifici si interrompe di netto per lasciare spazio a una poesia e riprende subito dopo.

I taccuini concedono al lettore il lusso di immergersi nel particolare contesto storico in cui Davy ha vissuto: la chimica dell’800 utilizzava metodi e tecniche oggi impensabili, la società inglese era fortemente razzista e cercava la legittimazione di questa posizione nelle parole degli scienziati, la competizione tra i pochi scienziati sparsi tra Europa e Stati Uniti era serratissima. Grazie al progetto guidato dalla professoressa Sharon Ruston, possiamo leggere queste storie direttamente dalla fonte.

La chimica di Davy tra elementi e sostanze esilaranti

Davy conduceva molti esperimenti in casa, con enorme disappunto dei familiari. La sorella si lamentava spesso che le sue sostanze corrosive le distruggessero i vestiti, e gli amici pensavano che l’incorreggibile Davy avrebbe fatto saltare tutti in aria, prima o poi. Grazie a questi esperimenti e alla pazienza dei parenti, scoprì sei elementi: potassio, sodio, bario, stronzio, calcio e magnesio. I suoi appunti su queste scoperte sono costellati di frasi di gioia genuina e quasi fanciullesca insieme a esperimenti scapestrati e rischiosi. Quando isolò il potassio puro grazie all’elettrolisi il 6 ottobre 1807 scrisse: «Non posso chiudere questa nota senza sentirmi grato a Volta, Nicholson e Carlisle, la cui esperienza ha messo in mio potere uno strumento di analisi così meraviglioso e importante».

Dal racconto del cugino Edmund Davy, suo assistente di laboratorio, sappiamo che quando Humphry vide per la prima volta «i minuscoli globuli di potassio esplodere attraverso la crosta di potassio e prendere fuoco mentre entravano nell'atmosfera» si mise a ballare per la stanza, tanto che ci volle un po’ di tempo per ricomporsi. Quando provò a decomporre l’idrossido di sodio allo stesso modo, assistette alla formazione di un metallo lucido sull’elettrodo di platino negativo e decise di chiamarlo sodium, sodio. Per testare la reattività della sua nuova creatura la prese e la lanciò in acqua, riportando nei suoi appunti di «una violenta effervescenza ma nessuna fiamma».

Nel mezzo di queste osservazioni, c’è anche un indirizzo che i ricercatori hanno ricondotto a un sarto: è in pratica una nota per ricordare di acquistare un nuovo abito, probabilmente per celebrare la scoperta di questi nuovi elementi. A fondo di questa pagina più quotidiana, Davy scrisse anche «20 volte più leggero del mercurio», riferimento alla massa del sodio rispetto a quella del mercurio.

L’anno successivo, nel 1808, Davy riuscì a isolare il bario, scoperto da Carl Wilhelm Scheele pochi anni prima, e a seguire isolò allo stesso modo calcio, stronzio e magnesio, che in un primo momento aveva chiamato magnium. La scoperta del boro fu controversa: sembra che sia stata fatta prima dai colleghi francesi, ma che sia loro sia Davy abbiano ottenuto un campione puro solo al 50%.

La principale passione chimica di Davy era il protossido di azoto, che oggi ha tanti nomi comuni, a seconda del contesto: i fan della serie cinematografica di Fast&Furious lo conoscono come NOS, per dentisti e medici è un anestetico e analgesico, per un’ampia fetta di pubblico è noto come gas esilarante. Molti meriti della sua ampia diffusione spettano a Humphry Davy: come spesso accadeva nel XIX secolo, i chimici sperimentavano su stessi le sostanze prodotte in laboratorio andando anche incontro a rischi di avvelenamento. Davy non era da meno: aveva intuito le potenzialità del protossido di azoto e le ha dimostrate con test che ha annotato in molte pagine dei suoi taccuini.

Nei primi esperimenti ha mantenuto un certo contegno: respirava dosi di gas necessarie a raggiungere stati di euforia e dissociazione dimostrandone anche il potenziale analgesico e facendosi quindi promotore di un suo utilizzo farmaceutico. Un passo dei taccuini dice «La sensazione prodotta respirando circa 7 quarti di ossido nitroso miscelato a 7 quarti di aria atmosferica è stata molto gratificante». Poco sopra a questo passo, troviamo anche una scritta a caratteri cubitali: Davy&Newton, a riprova del suo effettivo stato di euforia. Con il passare del tempo, però, Davy diventava sempre più curioso e, soprattutto, sempre più assuefatto: testava gli effetti del gas anche in combinazione con altre sostanze, come l’alcol, e aumentava in continuazione le dosi che assumeva. In un’altra nota, infatti, possiamo leggere «Ho bevuto un’intera bottiglia di vino, quindi ho preso sei quarti di ossido nitroso» e per la sorpresa di… nessuno la frase si conclude con un laconico «Quindi mi sono sentito male». La dipendenza aveva assunto livelli tali che James Watt, il noto inventore e ingegnere scozzese, gli aveva costruito una camera a gas portatile per facilitare l'inalazione del protossido di azoto: probabilmente qualche dizionario dei sinonimi alla voce “abuso di sostanze” riporta il nome “Humphry Davy”.

Il rapporto con gli altri scienziati: tra rivalità e amicizia

I danni alle vie respiratorie arrivarono presto, ma questo non impedì a Davy di testare su sé stesso altri gas: in un tentativo di inalare grosse quantità di monossido di carbonio, che lui chiamava idrocarbonato puro, rischiò seriamente la morte. Esperienze estreme, incidenti ed esplosioni non lo hanno mai davvero fermato: lavorando con il tricloruro di azoto, una sostanza che oggi nessun chimico assennato vorrebbe maneggiare, si rovinò la vista in modo permanente. Questa disavventura lo indusse ad assumere, per gestire appunti, registri e taccuini, l’allora ventenne Michael Faraday. Il rapporto tra questi due giganti della scienza è stato un’altalena di sentimenti tra ammirazione, rispetto, stima, sfruttamento, diffidenza e odio: hanno condotto insieme esperimenti sul cloro, un gas che oggi possiamo usare solo dopo rilascio di un patentino, e in generale Faraday ha imparato chimica e fisica sperimentali grazie a Davy.

La stima tra i due è dimostrata anche dall’assunzione di Faraday come assistente chimico alla Royal Institution, avvenuta su indicazione dello stesso Davy nel 1813. Davy comunque non aveva una personalità adatta al ruolo di mentore: il suo ego e la sua autostima erano tali che provava sentimenti forti verso coloro che riteneva rivali. Il principale motivo di risentimento verso Faraday era legato alla fama: Davy era un chimico di grande spessore e una personalità del suo tempo, ma Faraday ha lasciato segni indelebili nella storia della scienza. L’allievo aveva superato il maestro e questo era già evidente quando entrambi erano in vita. Davy non ha mai accettato la situazione e, se covava astio verso uno dei più grandi, possiamo immaginare cosa succedesse quando persone meno influenti intervenivano nel suo stesso campo di studi. I taccuini sono molto più eloquenti di qualsiasi descrizione.

We have copper that will not disperse in the sea. The patent secures it quite from decay And make it in voyages bright as the day, But every one knows who is not an ass That the work of this copper depends upon brass

Abbiamo rame che non si disperderà in mare. Il brevetto ne assicura la durata e lo fa splendere durante i viaggi Ma tutti quelli che non sono ottusi* sanno che il lavoro di questo rame si basa sull’ottone

Questi versi, scritti sullo stile del Don Giovanni di Lord Byron ed esempio di dissing ottocentesco, esprimono tutto l’astio di Davy nei confronti di Robert Mushet**, un ufficiale della Zecca Reale il cui fratello David era un noto metallurgista. La storia dietro a questa poesia inizia a metà ‘700, quando la Royal Navy decise di attaccare piastre di rame agli scafi per proteggerli dai teredinidi, molluschi che si nutrono di legno. L’espediente aveva avuto successo, ma l’acqua salata corrodeva il metallo e la marina era costretta a montare sulle navi nuovo rame periodicamente: chiese quindi aiuto a Davy per trovare una strategia che allungasse la vita alle piastre anti-molluschi. Da pioniere dell’elettrochimica, propose di aggiungere pezzi di ferro e zinco che si sarebbero corrosi al posto del rame: era appena nata la tecnica della protezione catodica, ancora oggi usata quando dei metalli devono stare a contatto con l’acqua marina. L’idea di Davy era troppo perfetta: il rame rimaneva intatto ma così lo scafo diventava terreno di proliferazione per alghe e altri esseri viventi marini che, ancorandosi al timone, rendevano ingovernabile la nave. La soluzione aveva generato un problema più grande di quello che aveva risolto: nel giro di un paio d’anni, la marina abbandonò l’idea e Davy perse prestigio e popolarità. Il lavoro di Mushet si inserisce in questo contesto: nello stesso periodo aveva depositato un brevetto in cui descrive una tecnica per proteggere il rame usando una combinazione di zinco, stagno, antimonio e arsenico. La poesia di Davy sbeffeggia la selezione di elementi proposta da Mushet, ritenendo inutili tutti gli elementi diversi dallo zinco, l’unico capace di svolgere la protezione catodica: il chimico non aveva colto che gli altri elementi hanno potenziale biocida e quindi possono tenere lontani tutti gli esseri viventi non graditi.

Non c’era solo invidia e risentimento nella vita di Davy: aveva stretto un rapporto di amicizia con Ampere e Gay-Lussac, cui Napoleone in persona aveva regalato una pila galvanica con la speranza che eguagliassero l’inglese nella scoperta di nuovi elementi e portassero lustro alla Francia. Spoiler: furono vane speranze. L’imperatore francese lo invitò anche in terra gallica, nonostante nel 1813 la guerra con l’Inghilterra fosse al suo culmine; Napoleone lo considerava esente dalle ostilità riservate al resto degli inglesi, tanto da invitarlo personalmente in Francia per ritirare un premio in onore delle sue recenti scoperte di sodio e potassio. Davy, nonostante fosse un patriota incallito con una spiccata antipatia per i francesi, pensava fosse importante andarci, sperando che «l'intervento degli uomini di scienza potesse smorzare l'aspra guerra nazionale».

Non fu una vacanza da sogno: le guardie incaricate di scortali perquisirono Faraday, Davy e la sua novella sposa fino alle mutande e li trattarono con la stessa delicatezza riservata ai criminali. Per aggiungere un tocco di classe, furono persino fatti viaggiare su una nave che trasportava prigionieri di guerra: non proprio una luna di miele da sogno. Anche la signora Davy non se la passò bene: durante una passeggiata a Parigi, il suo piccolo cappello suscitò l'ilarità delle parigine, che la circondarono deridendo senza pietà le sue scelte di moda. I Davy e Faraday, in tutta risposta, non mancarono di esprimere il loro disprezzo per i francesi, Napoleone e la cucina locale. Anche il rapporto con Gay-Lussac fu burrascoso a tratti: dopo la scoperta dello iodio da parte di Bernard Courtois, Davy suggerì il nome e tentò il colpo gobbo. Inviò una lettera alla Royal Society di Londra affermando di aver individuato un nuovo elemento e nel mentre Gay-Lussac, dopo aver parlato con Davy, si attribuiva allo stesso modo la parternità della scoperta. Ci furono quindi molteplici discussioni tra i due su chi avesse identificato per primo lo iodio, ma alla fine entrambi arrivarono a riconoscere Courtois come il primo a isolare l'elemento. Gli scienziati avevano e hanno ancora un modo tutto loro di intendere l’amicizia.

Davy e la società: tra femminismo e razzismo

Il prestigio e la fama portavano oneri e onori: le conferenze di Davy erano molto popolari, soprattutto tra le donne. Incoraggiava la presenza femminile nel mondo scientifico e, complici i suoi modi eleganti, il suo abbigliamento ricercato e il suo bell'aspetto, aveva un folto seguito femminile alle sue lezioni pubbliche. Questo fatto fu utilizzato dai suoi detrattori che sussurravano di come i suoi modi frivoli fossero un chiaro segno di omosessualità. Un aneddoto in particolare fu considerato segno di scarsa virilità: durante una visita al Louvre avrebbe guardato con «poco desiderio» la Venere de Medici, segno chiaro e inequivocabile del suo essere “contro natura”, mentre aveva guardato con interesse la statua di Antinoo, amante dell’imperatore Adriano. La satira usava la figura del Dandy, inteso come uomo che si pavoneggia di fronte a un pubblico femminile e che aveva perso il modo di fare ai tempi riconosciuto come maschile, per denigrarlo. Le accuse e gli attacchi sarebbero stati supportati, secondo chi mormorava contro di lui, anche dalle sue poesie sul mondo naturale e dal rapporto che aveva con la moglie, una donna con un carattere capace di plagiare il marito.

Non sappiamo se la presenza di Jane Kerr abbia condizionato il carattere di Humphry; sappiamo invece che il matrimonio ha portato Davy a conoscere da vicino la tratta degli schiavi. Kerr era figlia di un uomo d’affari che aveva fatto fortuna nel Mar dei Caraibi trattando bottini di guerra e schiavi fino al 1807, quando il parlamento inglese rese illegale la compravendita di esseri umani con lo Slave Trade Act. Davy ha quindi vissuto un periodo di diffuso razzismo e di profondi cambiamenti sociali: in questo senso, i taccuini scritti in giovane età ci mostrano un uomo allineato al pensiero di molti esponenti dell’alta società. In un passo si legge una riflessione molto eloquente: «Le nazioni tra i tropici non si distinguono solo per la loro peculiare fisionomia ma anche per l'indolenza e i modi barbari. Non hanno mai fatto il minimo sforzo verso la civiltà e sembrano quasi incapaci di miglioramento».

Un’altra pagina scritta molto fitta riporta una serie di ragionamenti in voga nel periodo: molte persone cercavano legittimazione del razzismo con ragionamenti quasi-scientifici o adducendo cause naturali come il clima e l’ambiente. Davy appoggiava questa visione esponendo una tesi secondo cui un clima mite e variabile rende la mente più attiva e pronta a indagare mentre una mente che vive in uno stato di perenne caldo o freddo è più propensa al torpore. Anche tra i suoi colleghi esistevano posizioni molto variabili: alcuni appoggiavano lo Slave Trade Act, mentre altri svolgevano esperimenti disumani per sbiancare la pelle. Non abbiamo prove che Davy partecipasse a simili operazioni, ma sappiamo che in molti cercavano il suo punto di vista e lo consideravano un esperto sulla pigmentazione della pelle. In ogni caso le sue riflessioni sulle razze umane non sono mai arrivate al grande pubblico: Davy si è sempre mantenuto silenzioso e distaccato sul tema, probabilmente a causa del conflitto tra i cambiamenti sociali del periodo e la dote di sua moglie e del contesto scientifico poco chiaro.

Grazie al lavoro della ricercatrice Eleanor Bird, avremo presto una visione più chiara di questi lati oscuri di un uomo che ha scritto la storia della chimica. La Lancaster University ci fornirà così tanto materiale da leggere e approfondire che le sorprese non mancheranno: la curiosità è tanta, anche se condita da un filo di paura

PS: Alla morte di Davy, nel 1829, la moglie decise di donare ogni suo bene alla Royal Society of Chemistry di Londra. Ogni cosa tranne la medaglia di Napoleone che, con grande teatralità e senza alcun rancore, prese e gettò da una scogliera a Mount's Bay, sulla costa meridionale della Cornovaglia. Se per caso vi venisse voglia di fare una gita di recupero, la Royal Society è disposta a pagare 1.800 sterline chiunque riesca a ritrovare il cimelio.

*lasciamo ai lettori il piacere di trovare una parola più adatta che traduca ass e faccia rima con ottone.

**da non confondere con Robert Forrester Mushet, di cui il Robert qui citato era zio.

 


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