Nessun processo per Ilaria Capua. La virologa è stata prosciolta dalle imputazioni di associazione a delinquere, epidemia e tentata epidemia. Il gip di Verona ha decretato il 5 luglio il non luogo a procedere "perché il fatto non sussiste". (ndr.)
Il 5 luglio la procura di Verona ha quindi deciso di prosciogliere la ricercatrice italiana da accuse pesantissime. La decennale inchiesta della magistratura romana sul “traffico di virus” che ha coinvolto, fra gli altri, Ilaria Capua, ha finalmente concluso le udienze preliminari. mettendo la parola fine a un lungo incubo. Già il 30 maggio in un editoriale sul Corriere della sera, Paolo Mieli ha ricostruito la vicenda per certi versi surreale, in cui gli inquirenti hanno contestato alla Capua addirittura il reato di cagionata epidemia, che un tempo sarebbe stato punito con la pena di morte, e oggi è passibile di ergastolo. Già due anni fa, quando un’inchiesta del settimanale L’Espresso aveva rilanciato le accuse filtrate dagli ambienti investigativi, sorgevano alcuni dubbi.
Il primo: se la magistratura pensava davvero di trovarsi davanti a una persona senza scrupoli disposta a mettere gravemente a repentaglio la salute pubblica per il proprio tornaconto perché non l’ha fermata subito, assicurandola cautelativamente alla giustizia? Come mai 10 anni per chiudere le indagini? Difficile, inoltre, far rientrare il personaggio della Capua - che nel 2006 si era battuta per l’open access ai genomi virali, e che coerentemente non ha mai voluto brevettare le “preziose” sequenze genetiche dei virus influenzali aviari, - nei panni di una bieca affarista. Doctor Jekyll e Mister Hyde? Aveva, la magistratura, cognizione di chi fosse Ilaria Capua e di quali battaglie stesse combattendo per la condivisione dei dati scientifici, che le avevano peraltro fruttato la qualifica di “Revolutionary Mind” da parte della rivista americana Seed? Le carte segrete passate a L’Espresso erano da brivido, tant’è il settimanale ci costruì sopra un servizio da copertina in cui si denunciava un “traffico internazionale di virus, scambiati da ricercatori senza scrupoli e dirigenti di industrie farmaceutiche, tutti pronti ad accumulare soldi e fama grazie alla paura delle epidemie”. I “trafficanti” sarebbero stati disposti “a pagare decine di migliaia di euro pur di impadronirsi degli agenti patogeni: averli prima permette di sviluppare i vaccini battendo la concorrenza”. Si era in presenza, insomma di un “business delle epidemie” riconducibile a una “cinica strategia commerciale”: gli accusati avrebbero amplificato “il pericolo di diffusione e i rischi, spingendo le autorità sanitarie ad adottare provvedimenti d’urgenza che si trasformano in un affare da centinaia di milioni di euro per le industrie”.
A queste accuse Capua aveva ribattuto immediatamente che gli investigatori avevano confuso i ceppi virali, e che l'epidemia di cui era stata accusata non c'era mai stata, perché il ceppo H7N3 Pakistan aveva circolato solo in Pakistan e mai in Italia o in Europa.
Inoltre, come mai l’azienda che sarebbe stata danneggiata dal presunto cartello messo in piedi per controllare le vendite di vaccino (Intervet, oggi MSD), non si è costituita parte civile e non ha fatto causa alle altre aziende farmaceutiche dopo le rivelazioni de L’Espresso? La risposta è nella documentazione: Intervet ha venduto in quel periodo più di tutte le altre aziende, oltre 90 milioni di dosi di vaccino. Dall’inchiesta si legge anche che la virologa avrebbe costituito una società segreta - in codice "444" - nella quale metteva i proventi dei suoi traffici. Ma come ha chiarito Capua, il “444” è un centro di costo che afferisce al suo laboratorio presso l’Istituto zooprofilattico delle Venezie, dove i fondi introitati dal suo centro venivano utilizzati per pagare personale, reagenti e altri materiali. “Le conversazioni intercettate sul “444”, se interpretate con obiettività” commenta la scienziata “sono chiarissime in questo senso. E poi bastava chiedere il bilancio all’Istituto”. Le conseguenze di un’indagine e dei rumors della stampa possono essere molto pesanti per una persona. “Ho passato momenti molto bui sia nella mia sfera personale che in quella professionale” continua la virologa. Forse una delle conseguenze peggiori è quella di rendere poco credibile l’indagato e quindi di privarlo della possibilità di presentare le proprie opinioni senza essere attaccato e respinto in maniera strumentale. “Il fatto che si sia aspettato a far emergere le accuse quando ero parlamentare mi ha peraltro impedito di esercitare la mia funzione politica”.
La ricercatrice ne sarebbe uscita definitivamente sfregiata se dall’estero non fossero arrivati, anche dopo le rivelazioni giornalistiche, attestati di stima. Nel 2014 le è stato assegnato l’Excellence Award dell’ESCMID; la massima autorità epidemiologica europea (ECDC) l’ha invitata a tenere due lectio magistralis a Stoccolma; l’ESPID (European Society for Pediatric Infectious Diseases) l’ha invitata a tenere la opening lecture del loro congresso annuale a Lipsia nel 2015, e poi ancora l’European Public Health Association (EUPHA) l’ha chiamata a tenere lo speech più importante all’ultimo Convegno internazionale di Milano.Infine l’Università della Florida a Gainesville le ha offerto una full professorship e la direzione del centro di eccellenza su “One Health”. Ilaria Capua nel frattempo si è dimessa da parlamentare e ha lasciato l’Italia alla volta degli States, per iniziare una nuova carriera, una nuova vita. Un cervello in fuga da una brutta storia, che speriamo di non perdere definitivamente. E forse qualcuno, come sottolinea Paolo Mieli in un nuovo editoriale, dovrebbe pure chiedere scusa.