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Immagini, parole e musica contro la guerra: riflessioni a margine della notte degli Oscar

La guerra riempie le cronache e assedia i nostri pensieri: partendo da Niente di nuovo sul fronte occidentale, da cui è stato tratto recentemente un film che a marzo ha vinto ben quattro Oscar, Simonetta Pagliani propone una riflessione - ragionando d'immagini, parole e musica contro la guerra. 

Crediti immagine: Duncan Kidd/Unsplash

Tempo di lettura: 8 mins

... pur essendo la guerra una cosa tanto crudele da convenire alle belve più che agli uomini, tanto pazza che anche i poeti hanno immaginato fossero le Furie a scatenarla, così rovinosa da portare con sé la totale corruzione dei costumi, tanto ingiusta da offrire ai peggiori predoni la migliore occasione di affermarsi, tanto empia da non avere nulla in comune con Cristo, tuttavia, trascurando tutto il resto, fanno solo la guerra. [...] Né mancano colti adulatori, pronti a chiamare questa evidente follia zelo, pietà, fortezza, escogitando stratagemmi che permettono d’impugnare il ferro mortale e di immergerlo nelle viscere del fratello senza venir meno a quella suprema carità che secondo il dettato di Cristo un cristiano deve al suo prossimo.

(Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia, 1511)

Il romanzo Niente di nuovo sul fronte occidentale (Im Westen nichts Neues) di Eric Maria Remarque, pubblicato dapprima a puntate sul giornale tedesco Vossische Zeitung e poi in volume nel gennaio del 1929, finì nel primo rogo di libri organizzato dai nazionalsocialisti, perché "antipatriottico"; il suo autore fu privato della cittadinanza tedesca e costretto all'esilio. Nel 1931, Mondadori provò a stamparlo in Italia facendo pressioni su Mussolini che, però, ne consentì solo l’uscita con la stampigliatura «Edizione per l'estero», ma non la distribuzione. Dal romanzo sono stati tratti, nel corso dei decenni, tre film, l'ultimo dei quali, uscito l'anno scorso su Netflix, è stato giudicato miglior film straniero e ha riscosso quattro premi Oscar nella cerimonia del 12 marzo 2023.

Per il critico cinematografico Paolo Mereghetti, che vede nell'attribuzione degli Oscar uno specchio dei tempi e dei sensi di colpa e una sorta di excusatio non petita, i membri dell’Academy sarebbero stati spinti ad attribuire le statuette a Niente di nuovo sul fronte occidentale per «... la voglia di mettersi la coscienza in pace, premiando un film sulla guerra che del massacro e della carneficina sui campi di battaglia fa inquietante oggetto di spettacolo». Di altro parere è il suo collega Mauro Donzelli, secondo cui il film è fedele allo spirito del libro nel mostrare «la follia di un vicolo cieco di violenza alimentata da calcoli e ripicche, falso orgoglio, ostinazioni e principi capaci di convincere giusto nelle sale nobili dei palazzi dei quartier generali, senza alcun interesse per la realtà, fra i soldati e chi rimaneva a casa... Un ritratto disperato e senza speranza, grigio e marrone come il fango, con gli unici tocchi di colore rappresentati dal rosso del sangue» (fotografia e scenografia hanno preso l'Oscar).

Il regista Edward Berger ha girato il film tra marzo e maggio 2022, ma aveva dato mandato allo scenografo Christian Goldbeck di scavare 250 di metri di trincee e ricreare un vastissimo campo di battaglia in un'area della Repubblica Ceca già nel gennaio 2021 e l'incarico di trasporre su schermo il romanzo gli era stata affidata l'anno prima: i tempi erano, quindi, "non sospetti" di alcuna presa di posizione nei confronti della guerra in Ucraina. Ma l'arte ha la caratteristica di parlare dell'attualità, pur senza prenderne le mosse. E questo film la riecheggia fin dalla scelta del suo teatro d'azione, quella linea del fronte occidentale che, dal primo all’ultimo giorno della guerra, si è spostata solo di poche centinaia di metri, per contendersi i quali 20 milioni di soldati (tedeschi, francesi, inglesi, americani e uomini provenienti da colonie) si sono avvicendati in cinque anni di logoramento in trincea, con 4 milioni di morti e 10 milioni di feriti.

Nella colonna sonora (premiata con l'Oscar), Volker Bertelmann distilla tutto quest'orrore in tre sole note che sembrano emesse dai cingoli di un carro armato. Pur con i debiti distinguo, è enorme il salto concettuale e formale rispetto al vortice di accordi (e di parole) che, nel 1962, Benjamin Britten volle opporre ai suoni apocalittici della Sonata al chiaro di luna, nome in codice del bombardamento a tappeto protratto per undici ore con cui, l’8 novembre del 1940, la Luftwaffe rase al suolo Coventry.

Come scrive W.G. Sebald in Storia naturale della distruzione (Adelphi 2001): «Il fuoco, levandosi nel cielo in vampe alte duemila metri, attirava a sé l'ossigeno con una violenza tale che le correnti d'aria raggiunsero la forza di uragani e rintronarono come poderosi organi nei quali fossero stati tirati all'unisono tutti i registri».

Dell’antica cattedrale gotica resistettero alcune mura e un pinnacolo, che vennero incorporati nella nuova architettura di Basil Spence, a perpetuo monito. Nell'imponente messa da requiem (da poco eseguita all'Auditorium di Milano) che scrisse per la consacrazione della ricostruita cattedrale, Britten alternò i versi latini della tradizione liturgica con quelli scritti in trincea da Wilfred Owen (qui riportati in appendice). Il giovane poeta inglese aveva combattuto nella Prima guerra mondiale, contro i ragazzi di Remarque. Seppur congedato nel 1917 per "shock da granata" (era rimasto bloccato per tre giorni in una buca durante la battaglia della Somme), dopo un periodo in ospedale Owen volle tornare nel Nordest della Francia, per riunirsi ai compagni, e il 4 novembre 1918 vi fu ucciso; la notizia raggiunse i suoi genitori una settimana dopo, mentre tutta l’Inghilterra stava festeggiando l’armistizio. Tra gli effetti personali restituiti c'era un taccuino fitto di poesie (pubblicate nel 1931 in edizione completa), la cui crudezza è pari a quella della sceneggiatura del film di Berger.

Soprattutto colpisce, nei versi inseriti da Britten nell'Offertorio, come contrappunto al testo latino sed signifer sanctus Michael repraesentet eas in lucem sanctam: quam olim Abrahae promisisti et semini ejus, la condanna di chi ha portato i giovani al massacro: Abramo, che sta levando il coltello sul figlio Isacco all'altare del sacrificio, anche se il messaggero di Dio gli dà il permesso di uccidere al suo posto un ariete, non si ferma.

But the old man would not so,
but slew his son,
And half the seed of Europe,
one by one

(Ma il vecchio non volle fare così,
ma scannò suo figlio e metà del seme d'Europa,
a uno a uno)

 

Appendice | The Next War

Là fuori, amichevolmente abbiamo camminato incontro alla Morte;
Ci siamo seduti e abbiamo mangiato con lei, fredda e mite, –
Le abbiamo perdonato di averci rovesciato la gavetta sulle mani.
Abbiamo annusato il verde odore denso del suo fiato, –
Gli occhi nostri piansero, ma il coraggio non ebbe un fremito.
Ci ha sputato addosso pallottole, e ha tossito Shrapnel.
Ci unimmo in coro quando cantava a gola spiegata
E fischiammo mentre ci radeva con la falce.
Oh, la Morte non è mai stata nostra nemica!
Ridevamo di lei, ci alleammo contro di lei, vecchia conoscenza,
Nessun soldato è pagato per prendere a calci la sua potenza.
Ridevamo, sapendo che uomini migliori sarebbero arrivati
E guerre più grandi, quando ogni combattente si vanta fiero
Di lottare contro la Morte - per la Vita - e non contro gli uomini - per le bandiere.

Strange meeting

Mi parve di esser sfuggito alla battaglia
In una profonda galleria buia, scavata molto tempo fa
Tra massi di granito sezionati da guerre di titani.
Ma anche lì dormienti ammassati gemevano
Troppo svelti nel pensiero o nella morte per farsi scuotere.
Poi, mentre li tastavo, uno balzò su, e mi fissò
Riconoscendomi afflitto negli occhi sbarrati,
Le mani levate in penosi gesti quasi benedicenti.
E dal suo sorriso riconobbi quel luogo tetro,
Dal suo sorriso morto seppi che ci trovavamo all’Inferno.
Da mille dolori era segnato il volto di quell’ombra,
Ma dalla terra di sopra là non scorreva sangue,
Né armi sparavano sorde, o ululavano lungo i cunicoli.
“Strano amico”, dissi, “non c’è di che piangere qui”.
“No”, disse l’altro, “Solo gli anni disfatti,
Lo scoramento. La speranza che fu tua
Anche per me fu vita; andai sfrenato a caccia
Della più sfrenata bellezza del mondo,
Che non vive in occhi calmi o nei capelli intrecciati,
Ma irride il fermo scorrere delle ore.
E se soffre, soffre in modo più ricco che qui.
Perché la mia allegria avrebbe potuto allietare molti,
E del mio pianto qualcosa sarebbe rimasto
Che adesso deve morire.
Intendo la verità non detta,
La pietà della guerra, la pietà distillata dalla guerra.
Ora gli uomini si contenteranno di quanto abbiamo devastato,
Oppure, scontenti, il loro sangue ribollirà fino a traboccarne.
Saranno fulminei come fulminea è la tigre.
Nessuno romperà i ranghi, mentre compatte le nazioni deraglieranno dal progresso.
Il coraggio era mio, e il mistero,
La conoscenza era mia, e la maestria:
Per evitare la marcia di un mondo in ritirata
Mi diressi a cittadelle vane e senza mura.
Poi, quando molto sangue avesse inceppato le ruote dei loro carri,
Sarei corso a lavarle con l’acqua di dolci fonti,
Anche con verità troppo profonde per essere contaminate.
Senza limiti avrei versato il mio spirito
Ma non con ferite; non con l’abominio della guerra.
Fronti di uomini han sanguinato dove non c’era ferita.
Io sono il nemico che uccidesti, amico mio.
Ti ho riconosciuto in questo buio: così mi guardavi accigliato
Ieri mentre mi attraversavi con il pugnale e mi uccidevi.
Ti schivai, ma con riluttanti e fredde mani.
Ora dormiamo…

Dulce et decorum est

Piegati in due, come vecchi sotto dei sacchi,
Con le ginocchia che si toccano, tossendo come streghe, noi lanciavamo maledizioni nel fango,
Fino ai bagliori improvvisi [dove] ci voltavamo e prendevamo a trascinarci verso il nostro accampamento.
Gli uomini marciavano addormentati. Molti avevano perso gli stivali
Ma tiravano avanti, con il sangue come scarpe.
Tutti procedevano zoppi; tutti ciechi;
Ubriachi di fatica; sordi perfino al sibilo delle stanche lontane Five-Nines che cadevano dietro.
Gas! GAS! Veloci, ragazzi!—Una frenesia di armeggi
Mentre indossiamo i goffi elmetti appena in tempo;
Ma qualcuno stava ancora urlando e inciampando,
E dibattendo come un uomo nel fuoco o nella calce viva...
Pallidi, attraverso gli annebbiati riquadri [delle maschere] e la densa luce verde,
Come sotto a un mare verde, io l'ho visto annegare. In tutti i miei sogni, davanti al mio sguardo impotente,
Si tuffa verso di me, barcollando, soffocando, annegando.
Se, in alcuni sogni affannosi, tu potessi camminare
Dietro al vagone in cui noi lo gettammo
E osservare gli occhi contorcerglisi nel suo viso,
Il suo viso rimanere appeso, come un diavolo stanco di peccare;
Se tu potessi sentire, per ogni colpo, il sangue uscire sgorgando dai polmoni rovinati dalla schiuma
Ripugnante come un cancro, amaro come il bolo delle vili, incurabili piaghe su lingue d'innocenti,—
Amico mio, tu non racconteresti con un simile entusiasmo ai bambini ardenti per un po' di gloria disperata, l'antica Menzogna: Dulce et decorum est
Pro patria mori.

Wilfred Owen


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