fbpx Infezione e infiammazione nei malati di fibrosi cistica | Scienza in rete

Infezione e infiammazione nei malati di fibrosi cistica

Primary tabs

Gli attori Laurence Leboeuf e Max Thierot in una scena del film "Foreverland" (2011). Il protagonista, Will Rankin, è un ragazzo malato di fibrosi cistica a cui un amico, scomparso per la stessa malattia, affida il compito di spargere le proprie ceneri in Messico. Insieme alla sorella dell’amico, Will intraprende un avventuroso viaggio lungo la Pacific Coast Highway attraverso il deserto di Baja, dove incontra una memorabile serie di personaggi. Il regista, Max McGuire, affetto a sua volta da fibrosi cistica, racconta l’esperienza di chi soffre di questa grave malattia con la volontà di dare un messaggio universale di speranza. 

Tempo di lettura: 4 mins

Cercando in rete ci si può imbattere in un toccante film diretto da un regista canadese, affetto da fibrosi cistica (FC), di nome Max McGuire. Il film si intitola Foreverland ed è la storia di un viaggio simbolico e di un amore che nasce tra un ragazzo anch’egli affetto da fibrosi cistica e una giovane amica che ha perso il fratello per la stessa malattia. Ad un certo punto del viaggio il protagonista parla di FC come di una malattia “sfigata”, se confrontata ad altre malattie genetiche come la Distrofia Muscolare o la Sindrome di Down, oppure patologie quali l’AIDS che sono più “famose”. Questo è tristemente vero, la FC non è famosa perché non si vede, pur non essendo meno insidiosa e drammatica delle altre patologie “visibili”. Un fatto confermato da qualche sondaggio amatoriale in cui gli intervistati, a cui veniva chiesto cosa fosse la FC, rispondevano che aveva a che fare con i muscoli e che servivano sedie a rotelle per i malati.

La realtà è che i malati di FC all’apparenza sono “normalissimi”, anche se conducono una vita difficile, fatta di lunghe terapie giornaliere e frequenti ricoveri ospedalieri. Ma di aspetti fenotipici rilevanti non ne hanno e, se osservati in contesto sociale, possono dare l’idea di non soffrire poi così tanto.

Una malattia che toglie il fiato

Eppure è una malattia da togliere il fiato, letteralmente, visto che uno degli organi maggiormente colpiti è il polmone. Il sito della Fondazione Italiana Per la Ricerca sulla Fibrosi Cistica ha una sua sezione, molto frequentata, chiamata “domande e risposte”. Scorrendole si riescono a cogliere tutti gli aspetti più nascosti della FC. Uno dei moltissimi esempi che si possono fare è una domanda posta in data 17 luglio 2017 da una malata:

Prendere freddo potrebbe essere causa di infezioni respiratorie in soggetti FC? Sono praticamente terrorizzata dal freddo e dal vento, anche ora che siamo in estate. Ho notato che mi basta prenderne un po’ e subito, appena torno a casa, ho febbre ed emottisi e mi ritrovo a fare il ciclo di antibiotico (mi è successo qualche giorno fa dopo 4 giorni che avevo finito 14 giorni di endovena con Zyvoxid e Amikacina). Tutto per una serata tra amici. Il problema è effettivamente il freddo o alla base ci potrebbe essere qualche batterio particolare? Fungo? O cose del genere? So che può sembrare una domanda bizzarra, ma voglio capirci meglio: mi sembra esagerata questa reazione da parte del mio corpo che, lo ammetto, nell’ultimo periodo è diventato molto più vulnerabile (mi riferisco alla situazione polmonare). Grazie dottori.

La risposta alla domanda è di Gianni Mastella, direttore scientifico della Fondazione:

La domanda non è bizzarra, ma pone correttamente il problema delle facili esacerbazioni respiratorie in una persona con FC con infezione broncopolmonare cronica. Non è il freddo né il vento, né la stagione, né forse batteri particolari, ma è il fatto che nell’infezione broncopolmonare cronica c’è in questa malattia una risposta infiammatoria cronica, inizialmente finalizzata a difendere l’organismo contro l’infezione. Con il tempo l’infiammazione diventa eccessiva e i suoi effetti si rivolgono non solo contro i batteri infettanti ma anche contro l’organismo stesso e in particolare contro i polmoni, innescando così ogni tanto, e talora frequentemente, l’esacerbazione infettivo-infiammatoria lamentata nella domanda. Nel corso della malattia FC, specie nelle fasi avanzate, ci sono periodi di instabilità e fragilità del tipo descritto nella domanda. Non è detto che situazioni come queste non possano avere un recupero: dipende dallo stato di danno polmonare raggiunto. Certamente queste situazioni richiedono da parte del paziente capacità di tenuta, supportata dalle attenzioni e dagli aggiustamenti terapeutici che il Centro FC può fare tempestivamente.

Una risposta "esagerata" all'infezione

In buona sostanza uno - non certo l’unico - dei maggiori problemi a cui vanno incontro i malati di FC, anche bambini molto piccoli, è una esagerata risposta infiammatoria a una “normale” infezione. Le infezioni determinano nel corpo di chiunque di noi dei meccanismi di difesa immunitaria che portano all’infiammazione, ad esempio un febbrone che però poi passa. Nei malati di FC la risposta infiammatoria all’infezione è, per qualche motivo, assolutamente esagerata, portando progressivamente a un importante danno polmonare, principale causa di decesso. I ricercatori lavorano da anni a questo problema, che sembra estremamente complicato.

James Chmiel, pediatra specialista delle malattie polmonari, ricercatore di fama internazionale, coinvolto in molti clinical trials sull’asma pediatrica e sulla FC, nonché direttore del LeRoy W. Matthews Cystic Fibrosis Center di Cleveland (US) diceva nel 2016:

L’infiammazione in FC lascia molto perplessi. Sappiamo che avviene in maniera molto intensa, sappiamo che danneggia progressivamente il polmone, ma non sappiamo perché avviene e perché sembra che sia superiore di quanto sia necessario per controllare l’infezione. Non conosciamo la relazione tra il difetto genetico e questa esagerata risposta infiammatoria, e questo è un campo di ricerca aperto. […] La mia opinione è che non c’è abbastanza ricerca sull’infiammazione e quella che c’è rimane solo in superficie. È come la parabola degli uomini ciechi e dell’elefante: un uomo tocca la coda e pensa che l’elefante sia un serpente; uno tocca le orecchie e pensa che sia un ventaglio e così via. Ogni ricercatore vede una cosa diversa, parziale. Bisognerebbe riuscire a mettere insieme tutti i diversi punti di vista.

I progetti di ricerca, in Italia e all’estero, che affrontano il problema sono molti. Bisogna continuare a cercare e ad investire in ricerca.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Perché ridiamo: capire la risata tra neuroscienze ed etologia

leone marino che si rotola

La risata ha origini antiche e un ruolo complesso, che il neuroscienziato Fausto Caruana e l’etologa Elisabetta Palagi esplorano, tra studi ed esperimenti, nel loro saggio Perché ridiamo. Alle origini del cervello sociale. Per formulare una teoria che, facendo chiarezza sugli errori di partenza dei tentativi passati di spiegare il riso, lo vede al centro della socialità, nostra e di altre specie

Ridere è un comportamento che mettiamo in atto ogni giorno, siano risate “di pancia” o sorrisi più o meno lievi. È anche un comportamento che ne ha attirato, di interesse: da parte di psicologi, linguisti, filosofi, antropologi, tutti a interrogarsi sul ruolo e sulle origini della risata. Ma, avvertono il neuroscienziato Fausto Caruana e l’etologa Elisabetta Palagi fin dalle prime pagine del loro libro, Perché ridiamo. Alle origini del cervello sociale (il Mulino, 2024):