
Il virus dell'influenza aviaria H5N1 sta dimostrando una preoccupante capacità di infettare non solo gli uccelli ma anche diverse specie di mammiferi, inclusi recentemente i bovini negli Stati Uniti. Sebbene il virus non abbia ancora acquisito la capacità di trasmettersi in modo efficace tra gli esseri umani, la sua continua evoluzione e adattamento a nuove specie rappresenta un rischio significativo per una futura pandemia, per la quale il mondo appare poco preparato, nonostante le lezioni apprese durante la pandemia di Covid-19.
Il mondo scientifico aveva previsto già diverse decadi fa la pole position dei virus dell’influenza per l’innesco della prossima pandemia umana, con previsioni catastrofiche soprattutto basate sull’esperienza della famosa pandemia di “spagnola” (almeno in Italia fu chiamata così) del 1918. Ma non sempre le previsioni si avverano: infatti la pandemia più recente e disastrosa è stata causata dal coronavirus Sars-CoV-2 e ci siamo trovati a fronteggiarla con piani pandemici influenzali, anche non aggiornati, ma soprattutto basati su parametri e modalità di contagio inadeguati. Che Covid-19 si sia preso il palcoscenico della pandemia più recente non deve però far pensare che la minaccia dei virus influenzali non sia reale: anzi, a ben guardare l’avvicinamento di nuovi virus influenzali alla nostra specie è continuo e costante.
Influenza aviaria, una minaccia sempre presente
Per fare il punto della situazione è utile ricordare che i virus dell’influenza (famiglia Orthomyxoviridae) sono virus a RNA classificati in diversi generi in base alla composizione delle loro nucleoproteine e nella proteina matrice. I virus del genere A provocano tutte le pandemie di influenza e sono responsabili dalla maggior parte dei casi delle epidemie stagionali; infettano gli umani, i mammiferi e gli uccelli. Sono classificati in base a due grandi glicoproteine che si trovano sulla superficie esterna delle particelle virali: H (emoagglutinina di cui sono stati identificati 18 sottotipi) e N (neuraminidasi, 11 sottotipi). Tutti i sottotipi sono stati identificati tra gli uccelli, che quindi vengono indicati come il serbatoio naturale delle infezioni.
Perché specie diverse vengano infettate è necessario che specifici ceppi virali producano emoagglutinine in grado di legarsi ai recettori specie-specifici delle cellule dell’ospite. Purtroppo i virus dell’influenza sono dei grandi trasformisti e, a causa di un genoma segmentato, il rimescolamento genico e quindi la produzione di continue varianti virali, con nuove proteine anche di superficie, è continuo. Il fenomeno avviene con i virus stagionali adattati all’essere umano, per cui in ogni autunno si preparano vaccini mirati alle varianti che si prevede avranno maggiore circolazione, ma avviene anche tra i virus che infettano gli uccelli e altri animali. La maggior parte dei vaccini per l’essere umano è preparata mediante colture virali su uova di pollo.
Il salto di specie che fa emergere un nuovo sottotipo che dagli uccelli è in grado di infettare e trasmettersi tra le persone non avviene all’improvviso, ma attraverso passaggi in specie animali biologicamente sempre più affini a noi. Monitorare le infezioni tra gli animali selvatici, tra quelli domestici e di allevamento fornisce la misura dell’avvicinamento all’umano di nuovi sottotipi potenzialmente molto pericolosi, perché completamente nuovi.
Estese epidemie di influenza aviaria decimano gli allevamenti di polli e tacchini in tutto il mondo e il loro controllo è basato sull’abbattimento di tutti gli animali, con gravi perdite economiche. I diversi sottotipi più pericolosi per gli uccelli sono denominati ad alta patogenicità (High Pathogenic Avian Influenza, HPAI). Nell'Unione europea, il Regolamento 2016/429 prevede, oltre all’abbattimento di tutti gli animali, il vuoto sanitario con pulizia e disinfezione e l’istituzione di zone di restrizione. Nel caso di HPAI, le zone sono una di protezione (3 km di raggio dall’azienda infetta) e una di sorveglianza (10 km di raggio dall’azienda). I virus a bassa patogenicità (Low Pathogenic Avian Influenza, LPAI) non sono meno pericolosi, perché non uccidono gli uccelli ma sostengono la circolazione virale tra gli animali e possono facilmente ricombinarsi in virus ad alta patogenicità.
Nonostante le precauzioni, i virus dell’influenza aviaria continuano a circolare, veicolati soprattutto dagli animali selvatici come gli uccelli migratori, in grado di spostarsi per migliaia di chilometri. Sporadiche e occasionali infezioni sono state identificate anche in persone a stretto contatto con pollame infetto.
Il percorso verso i mammiferi di H5N1
Dal 1997, però, virus dell’influenza aviaria del genere H5N1 sono stati identificati in infezioni tra mammiferi e anche come causa di locali focolai tra persone, mettendo in allarme la sanità mondiale. Dall’inizio del 2003, H5N1 ha effettuato una serie di salti di specie, acquisendo la capacità di contagiare anche mammiferi. L’allarme ha indotto gli organismi sovranazionali a promuovere la redazione di piani di preparazione e risposta a un'eventuale pandemia e a la realizzazione di sistemi per mettere a punto nuovi vaccini efficaci in popolazioni completamente suscettibili. Tra i vari problemi previsti, la necessità di grandi quantitativi di uova di pollo per le colture virali è stata considerata come uno dei fattori limitanti a ingenti produzioni di vaccini.
Dalla fine del 2021 al 2022 il virus predominante a livello mondiale, causa di influenza dei polli, è stato H5N1 ad alta patogenicità, ceppo 2.3.4.4b. A febbraio 2022 in Perù, un’estesa epidemia di H5N1 è stata la causa di morte di centinaia di leoni marini, indicando la capacità di circolazione tra i mammiferi. Nell’ottobre dello stesso anno, lo stesso ceppo virale, probabilmente veicolato da anatre selvatiche infette, è stato identificato in un'epidemia in un allevamento di visoni in Spagna. Tra novembre e dicembre 2022, infezioni da H5N1 sono state identificate in orsi in Alaska, Nebraska e Montana. Nel frattempo, casi di infezioni, apparentemente isolate, in persone sono state registrate in Inghilterra, USA, Vietnam, Cina e Spagna. A dicembre del 2023 lo stesso virus è stato identificato come la causa della morte di un orso polare nell’Artide. Nello stesso mese l’infezione è stata identificata anche in un elefante marino e nella pelliccia di foche in Antartide, dimostrando come questo ceppo sia in grado di raggiungere ogni angolo del mondo e abbia raggiunto entrambi i poli. Nel marzo 2024 per la prima volta l’infezione da HPAI H5N1è stata identificata in una capra di una fattoria in USA in cui erano stati trovati polli infetti.
Negli USA i provvedimenti di abbattimento del pollame hanno coinvolto 153.866.301 animali in 1.536 focolai epidemici registrati in più di 630 contee; ne è conseguito anche un aumento del prezzo delle uova, che potrebbe essere la ragione del bizzarro furto di 100.000 uova fresche, recentemente segnalato in Pennsylvania. In Italia, il centro di riferimento nazionale per l’influenza aviaria riporta 56 focolai in altrettanti allevamenti dall’inizio del 2024.
Nello stesso mese l’infezione è stata identificata tra i bovini da latte in fattorie in Kansas e Texas. L’infezione sembra essersi propagata attraverso il latte e i focolai, che sembravano poter essere facilmente circoscritti, sono aumentati progressivamente. Attualmente più di 900 allevamenti sono stati infettati. La notizia più preoccupante è che negli USA dall’inizio del 2024 sono state identificate almeno 67 infezioni (di cui una fatale) in persone, un numero molto maggiore rispetto ai casi isolati osservati precedentemente. La seconda informazione importante è che in Idaho sono stati confermati casi di re-infezioni, con sintomi più lievi, nel bestiame già infettato mesi prima. L’osservazione di reinfezioni poco o niente sintomatiche in mammiferi indica che H5N1 può continuare a circolare anche inosservato: e se questa può essere una buona notizia per gli allevatori, è invece una pessima notizia per chi la legge come lo scenario ideale per ulteriori riassortimenti virali, con l’emersione di varianti capaci di infettare e trasmettersi tra le persone.
Quale rischio di pandemia umana?
Finora la barriera biologica per l’instaurarsi di una pandemia è la ridotta capacità dell’emoagglutinina (HA) di legarsi ai recettori delle nostre cellule delle prime vie aeree. Più precisamente, per il momento l'HA dell’influenza aviaria riconosce i recettori di membrana cellulare con acido sialico con una specifica conformazione (α2-3 linkage Neu5Acα2-3Gal); invece i virus in grado di circolare tra le persone riconoscono recettori con acido sialico con diversa conformazione (α2-6 linkage Neu5Acα2-6Gal), abbondantemente presente nelle nostre vie aeree superiori. Storicamente l’infezione da H5N1 nell’essere umano è stata caratterizzata da una letalità del 30% e sono stati condotti studi genetici e strutturali sui virus identificati e sulle mutazioni che possono rendere la trasmissione inter-umana più efficiente. Una singola sostituzione dell’aminoacido glutammina in leucina nella posizione 266 dell’emoagglutinina può aumentare il rischio di trasmissione estesa nella specie umana.
Le ultime notizie dagli USA riportano di un episodio in cui un gatto avrebbe contagiato un altro gatto e un adolescente con una trasmissione intrafamiliare. In un secondo episodio, una persona che si è infettata in una fattoria sembra che abbia contagiato il proprio gatto. Il condizionale è ancora d’obbligo perché la notizia pubblicata in una tabella è rimasta poi non chiarita per la sospensione del bollettino MMWR (Morbidity and Mortality Weekly Report), bloccato per la prima volta nei sessant'anni della sua esistenza dall’ordine esecutivo del Presidente USA di congelamento dei fondi federali.
Insomma, una pandemia non è ancora inevitabile, ma certamente il rischio non è molto remoto.
Non possiamo certo affermare di non essere stati avvisati. La domanda cruciale allora è: siamo preparati all’eventualità peggiore? I segnali sulla nostra capacità di reazione e risposta non sono molto rassicuranti. L’incapacità di arginare l’epidemia negli allevamenti di bovini in un paese industrializzato come gli Stati Uniti ci dà una misura delle difficoltà di intervento quando si passa dai polli ai mammiferi. Alcuni osservatori hanno identificato, come ostacoli a una risposta efficace, la difficoltà di effettuare i test diagnostici, i ritardi di comunicazioni, le linee guida inadeguate; tutti fattori che richiamano alla memoria i problemi della risposta a Covid-19. Questa volta non avremmo la scusa delle scarse conoscenze scientifiche sull’agente eziologico, studiato da secoli e osservato speciale da decadi, ma abbiamo costruito altri ostacoli agli interventi tempestivi.
Dalla pandemia di Covid-19 è aumentata (paradossalmente) la sfiducia nella vaccinazione ed è crollata la fiducia nelle istituzioni che dovrebbero orchestrare le risposte, il servizio sanitario è in grave affanno e i piani pandemici circolano solo nelle stanze dei pochissimi addetti ai lavori. Anche l’allarmismo continuo sui media, sollevato per qualsiasi virus circolante, contribuisce alla nostra assuefazione alle brutte notizie, che per sopravvivere siamo tentati di accantonare. Veicolare conoscenza e ristabilire la fiducia sono gli ingredienti essenziali per una risposta efficace alla pandemia prossima ventura.