fbpx Investire in conoscenza per dare un futuro al Paese | Scienza in rete

Investire in conoscenza per dare un futuro al Paese

Primary tabs

Tempo di lettura: 3 mins

Il 29 Aprile 2013 scorso, Barack Obama ha lasciato la sua affollata agenda politica per andare a parlare ai membri dell’Accademia delle Scienze Americane (NAS - National Academy of Science) riuniti nella loro assemblea annuale. Ci è andato dopo la sua rielezione per ricordare loro che il Presidente degli Stati Uniti sa bene che la scienza e la tecnologia sono importanti per l’America, e per dare di persona questo messaggio, sottolineando che anche in un momento di serie difficoltà economiche il paese non si può permettere di tagliare gli investimenti in ricerca, perché è l’innovazione che dà energia (powers) all’economia e alla sicurezza di una nazione.

Anche in Italia abbiamo un nuovo governo che, come i precedenti, dovrà affrontare una crisi economica senza pari e chiedere sacrifici agli italiani. Un modo per affrontare con più serenità i sacrifici potrebbe essere quello di garantire ai cittadini che questi servono anche a investire per creare un futuro per il paese, un futuro per i loro figli. L’investimento più importante che un paese moderno può fare per il proprio futuro è, infatti, nell'educazione, nella scienza, nella tecnologia, l'ingegneria, la matematica, in modo da creare l’ambiente giusto per favorire nuove scoperte e creare, ad esempio, prodotti innovativi che possano spingere l’economia e rendere migliore la qualità della vita.

E' ormai chiaro che oggi viviamo in un mondo basato sulla conoscenza, che è, essa stessa, la risorsa strategica necessaria per prosperare, attraverso l'educazione delle persone, nella forma delle loro idee. La competizione globale non è più nell’industria manifatturiera o nel commercio, ma nello sviluppo e reclutamento delle persone migliori, intellettualmente più ricche e brillanti da tutto il mondo. Oggi lo chiamiamo capitale umano.
Nel 21mo secolo, la vera sfida tra i paesi è per i migliori cervelli, per creare ambienti capaci di attrarre queste persone, ambienti in cui si possano esprimere al massimo, in cui possano essere competitivi su scala globale. Purtroppo, il nostro paese sta vivendo un momento tragico perché la grande maggioranza dei giovani laureati nelle nostre università ormai non trova prospettive ed emigra. Allo stesso tempo, non siamo capaci di attrarre nessuno dei cervelli dagli altri paesi. La ragione è la stessa: i giovani italiani se ne vanno e quelli stranieri non vengono in Italia perché da noi non ci sono le condizioni per lavorare bene, per esprimere le proprie capacità e per essere competitivi. Crediamo quindi che l'imperativo per il governo del nostro paese sia quello di creare le condizioni perché i nostri giovani possano in Italia lavorare ad alti livelli e che queste condizioni siano tali per cui anche i giovani talenti di altri paesi siano attratti dal nostro paese.

Un chiaro esempio di questa realtà è l’ENEA, l’ente italiano per la ricerca nel settore dell’energia - da cui sono derivati Fermi e Rubbia - che negli anni 80 aveva un budget di 972 milioni e oggi di 152. Nel frattempo, la nostra scuola ha continuato a formare e generare talenti che però non sono più in Italia. Basta andare a Ginevra al CERN per scoprire che il 20% degli scienziati in posizioni importanti sono italiani, e che la persona che ha annunciato il bosone di Higgs è italiana (Fabiola Gianotti). Intanto in Italia siamo diventati completamente dipendenti dalla energia importata da fuori, spesso generata in paesi stranieri grazie a cervelli italiani, su cui abbiamo investito e che abbiamo educato, senza offrir loro possibilità di carriera. L’esempio dell’ENEA nel settore energetico si ripete in molti altri settori: tipico è quello farmaceutico, dove abbiamo perso la ricerca e adesso importiamo i farmaci, spesso inventati da cervelli italiani che ora lavorano in altri paesi; per non parlare del settore dei materiali, dell’ecologia...

Chiediamo quindi che il nuovo Presidente del Consiglio e il nuovo governo prendano conoscenza che educazione, scienza e tecnologia sono vitali per il futuro del nostro paese e che sono l’unico investimento capace di ripagare nel medio e lungo termine, e che infine siano pronti a investire per creare centri di eccellenza in grado di trattenere e attrarre i talenti, sia italiani sia stranieri.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

La COP29 delude. Ma quanti soldi servono per fermare il cambiamento climatico?

Il presidente della COP 29 di Baku, Mukhtar Babayev, chiude i lavori con applausi più di sollievo che di entusiasmo. Per fortuna è finita. Il tradizionale tour de force che come d'abitudine è terminato in ritardo, disegna un compromesso che scontenta molti. Promette 300 miliardi di dollari all'anno per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare la transizione, rimandando al 2035 la "promessa" di 1.300 miliardi annui richiesti. Passi avanti si sono fatti sull'articolo 6 dell'Accordo di Parigi, che regola il mercato del carbonio, e sul tema della trasparenza. Quella di Baku si conferma come la COP della finanza. Che ha comunque un ruolo importante da giocare, come spiega un report di cui parla questo articolo.

La COP 29 di Baku si è chiusa un giorno in ritardo con un testo variamente criticato, soprattutto dai paesi in via di sviluppo che hanno poca responsabilità ma molti danni derivanti dai cambiamenti climatici in corso. I 300 miliardi di dollari all'anno invece dei 1.300 miliardi considerati necessari per affrontare la transizione sono stati commentati così da Tina Stege, inviata delle Isole Marshall per il clima: «Ce ne andiamo con una piccola parte dei finanziamenti di cui i paesi vulnerabili al clima hanno urgentemente bisogno. Non è neanche lontanamente sufficiente.