fbpx La scienza oltre i sovranismi | Scienza in rete

IUPAC, la scienza oltre i sovranismi

Primary tabs

Crediti: Rodolfo Clix/Pexels. Licenza: Pexels License

Tempo di lettura: 5 mins

Dal 5 al 12 luglio 2019 a Parigi, presso il Palazzo dei Congressi di Place de la Porte Maillot, sono in programma due importanti eventi rivolti in primo luogo ai chimici di tutte le Nazioni ma destinati anche a suscitare un interesse più generale per le ripercussioni che i temi trattati potranno avere in campo socio-economico. L’alto patrocinio del Presidente della Repubblica Francese fa ben sperare in proposito. Il primo evento riguarda la 50ma Assemblea Generale della IUPAC (International Union of Pure and Applied Chemistry) mentre il secondo è il 47° Congresso Mondiale di Chimica IUPAC. Il tema di quest’ultimo è “Frontiere in chimica: creiamo il nostro futuro! Cent’anni con la IUPAC”. Il sito web allestito dalla IUPAC riporta tutte le informazioni necessarie, compreso il programma.

La particolare rilevanza dell’Assemblea Generale e del Congresso 2019 è anche dovuta alla coincidenza con le celebrazioni del centenario IUPAC. La multiforme e benemerita attività dell’Unione si esplica specialmente nel campo della nomenclatura chimica, ove opera fin dalla sua fondazione per creare un linguaggio comune a livello sovranazionale, in quello del controllo e affidabilità dei dati, pesi atomici inclusi, nonché nella standardizzazione dei metodi di misurazione.

La nascita della IUPAC fu abbastanza laboriosa. Preceduta da una serie di iniziative che, a partire dal 1892, con il Congresso di Ginevra volto a porre le basi di un nuovo sistema di nomenclatura in chimica organica, proseguirono con la proposta del francese Albin Haller (1849-1925) di creare un'associazione internazionale fra le società chimiche , subirono una battuta d’arresto con il Primo Conflitto Mondiale. Terminato questo, lo sforzo proseguì e giunse a buon fine nel 1919, con il decisivo contributo non solo dei chimici “puri” ma anche degli industriali e delle loro associazioni.

Nel periodo storico che stiamo vivendo, agitato da derive nazionalistiche più o meno cruente e sovranismi scalpitanti, il riconoscimento dei meriti dei nostri antenati assume un particolare valore simbolico. Ci sembra di andare controcorrente ricordando che l’Italia fu tra i cinque Paesi fondatori, insieme a Belgio, Francia, Regno Unito e Stati Uniti d’America. Ricordiamo anche che l’Italia ospitò a Roma, nel 1920, nell’ambito della Prima Conferenza Internazionale di Chimica, il Primo Meeting IUPAC sotto la presidenza del chimico organico francese Charles Moureu (1863-1829), che presiedette poi la stessa IUPAC dal 1920 al 1922. La spinta propulsiva che venne da Francia e UK nella fondazione della IUPAC, rende ragione del particolare risalto che il centenario sta avendo nei due Paesi. .

Charles Moureu, presidente IUPAC dal 1920 al 1922

Nel Regno Unito, la celebrazione si è svolta lo scorso 14 marzo a Burlington House, nella prestigiosa sede londinese della Royal Society of Chemistry, situata nel cuore di Piccadilly. Il meeting “Celebrating the Centenary of IUPAC”, organizzato dall’Historical Group della Società, al quale aderisce anche l’autore di questo articolo, è stato all’altezza delle aspettative.

Burlington House, sede della Royal Society of Chemistry londinese, che ha ospitato la celebrazione per il centenario della IUPAC. Crediti: Rept0n1x/Wikimedia Commons. Licenza: CC BY-SA 3.0

Il primo intervento, intitolato “IUPAC – 100, How it all began”, l’ha svolto Fred Parrett (Parrett Technical Developments), il quale ricopre anche la carica di tesoriere del Gruppo Londinese della Society of Chemical Industry. La relazione di Parrett è stata chiara e completa, con qualche gustosa espressione nel tipico humor britannico, che all’orecchio di noi partecipanti d’Oltremanica, abituati al sussiego continentale, l’ha resa assai godibile. Un punto che si prestava a questo era la data di nascita non ufficiale della IUPAC, che qualcuno fa risalire a una discussione avvenuta nel novembre 1918, fra Paul Kestner e Henry Louis presso il ristorante londinese “Le Coq d’Or”. Il primo era Presidente della Société de Chimie Industrielle francese e l’altro della britannica Society of Chemical Industry.
Altrettanto interessante la relazione di Robert Fox, storico della scienza di fama internazionale, afferente all’Università di Oxford. Egli ha, per così dire, proseguito il racconto e l’analisi di Parrett parlando dell’evoluzione della IUPAC, discutendo di “Internationalism on trial: IUPAC and the International Research Council, 1919-1931”.

La seconda sessione, iniziata nel pomeriggio, era ripartita tra i diversi settori disciplinari, nell’ordine: chimica fisica, inorganica, analitica e organica. Per primo è intervenuto Jeremy Frey (Università di Southampton), il quale ha parlato dell’attività della IUPAC riguardante i dati d’interesse chimico, un campo per così dire “delicato” trattato con linearità. È stata poi la volta di Jeff Leigh (Università del Sussex) che affrontando il tema “IUPAC, the Periodic Table and the Commission for the Nomenclature of Inorganic Chemistry” non ha potuto evitare qualche misurato e utile commento sull’attribuzione dei nomi ai nuovi elementi, fonte talvolta di polemiche un po’ partigiane. Duncan Thorburn-Burns (Queen’s University, Belfast), che l’autore di questo scritto conosce e stima da anni, ha parlato per la Chimica Analitica. Duncan (May 30, 1934 Wolverhampton) è apparso in ottima forma e il suo intervento quanto mai preciso. La sua abituale cura dei dati si è manifestata ancora una volta quando ha distribuito agli astanti un elenco di ben ventisette riferimenti bibliografici che temo (ahimé) non tutti consulteranno. La seconda sessione si è chiusa con la relazione di Gerry Moss (Queen Mary University of London) che ha parlato di “Organic Chemical Nomenclature and IUPAC”.

Un momento del convegno. Foto di Marco Taddia

La terza e ultima sessione ha visto gli interventi di Phil Hodge (University of Manchester) su “Polymers and IUPAC”, seguito da Richard Kidd (RSC, Tesoriere IUPAC International Chemical Identifier Trust) sul tema “20 years of InChI – where next?” Le osservazioni finali di Gerry Moss (QMUL) hanno concluso una riunione organizzata con cura, in ambiente accogliente e, per quanto attiene ai contenuti, assai fruttuosa per gli studi storici.

A mio parere essa è destinata a lasciare un’impronta significativa nella storiografia della IUPAC, basata per ora sull’opera di Roger Fennell “History of IUPAC 1919-1987” (Blackwell, 1994), nonché su alcuni contributi sparsi in letteratura, bisognosi di trovare una nuova sintesi che arrivi ai giorni nostri. Oltre a questo, mi sembra che specialmente adesso che agli organismi sovranazionali e in particolare a quelli non governativi si guarda talvolta con sospetto, l’esempio di una ONG come la IUPAC, cui aderiscono ben 59 nazioni sparse in tutto il globo, dedita da cent’anni non solo a regolare importanti aspetti tecnici ma anche a favorire il libero scambio di informazioni e uno sviluppo sostenibile per l’umanità, dovrebbe essere istruttivo per molti.

 

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Di latticini, biotecnologie e latte sintetico

La produzione di formaggio è tradizionalmente legata all’allevamento bovino, ma l’uso di batteri geneticamente modificati per produrre caglio ha ridotto in modo significativo la necessità di sacrificare vitelli. Le mucche, però, devono comunque essere ingravidate per la produzione di latte, con conseguente nascita dei vitelli: come si può ovviare? Una risposta è il latte "sintetico" (non propriamente coltivato), che, al di là dei vantaggi etici, ha anche un minor costo ambientale.

Per fare il formaggio ci vuole il latte (e il caglio). Per fare sia il latte che il caglio servono le vacche (e i vitelli). Cioè ci vuole una vitella di razza lattifera, allevata fino a raggiungere l’età riproduttiva, inseminata artificialmente appena possibile con il seme di un toro selezionato e successivamente “forzata”, cioè con periodi brevissimi tra una gravidanza e la successiva e tra una lattazione e l’altra, in modo da produrre più latte possibile per il maggior tempo possibile nell’arco dell’anno.