Il nuovo presidente del Brasile, la signora Dilma Rousseff, riceve una ricca eredità scientifica da parte del suo predecessore e mentore, Luis Inacio Lula da Silva. Perché mai la scienza ha vissuto una stagione di sviluppo così rigogliosa, in termini assoluti e in termini relativi, come negli otto anni di presidenza Lula.
Gli investimenti in ricerca e sviluppo sono più che raddoppiati, essendo passati, secondo i dati pubblicati di recente dalla Nature, dagli 11,4 miliardi di dollari del 2003 – pari all’1,26% del Prodotto interno lordo (Pil) – ai 22,5 miliardi di dollari del 2008: una cifra pari all’1,43% del Pil. Un’intensità di ricerca che è ormai prossima a quella dell’Unione europea (1,69% di investimenti in R&S rispetto al Pil).
D’altra parte oggi il Brasile investe in ricerca scientifica e tecnologica più dell’Italia, non solo in termini relativi (la spesa italiana non supera l’1,1% del Pil), ma anche in termini assoluti (gli investimenti italiani ammontano a circa 19 miliardi di dollari).
Da notare che la crescita degli investimenti in ricerca in Brasile è stata superiore alla crescita del Pil, che pure è aumentato a un ritmo elevatissimo, in media del 5 o -6% annuo, in questo periodo.
Inoltre il Brasile può contare su un numero di ricercatori altrettanto significativo: 118.000 nel 2007 secondo i dati dell’UNESCO (l’Italia, secondo la stessa UNESCO, ne ha 88.000). I brasiliani costituiscono l’1,7% del totale dei ricercatori di tutto il mondo. Ma producono oltre il 2% degli articoli scientifici. Sono, dunque, più produttivi della media mondiale.
Gli scienziati brasiliani si sono dimostrati all’altezza delle aspettative: sono diventati più ricchi – le risorse per ricercatore sono superiori a quella dei colleghi cinesi e anche di buona parte dei colleghi europei – ma anche, appunto, più produttivi: il numero di articolo pubblicati in un anno dagli scienziati carioca, infatti, è passato dai 14.237 del 2003 ai 30.415 del 2008. Sono dunque più che raddoppiati in sei anni. Cosicché se nell’anno 2000 la scienza brasiliana esprimeva il 43% di tutte le pubblicazioni con peer-review dell’America latina, oggi esprime il 55%.
Non mancano alcune ombre, naturalmente. La gran parte della ricerca (oltre il 51%) continua a essere finanziata dallo stato, a differenza delle altre grandi economia dove, in genere, il soldi pubblici rappresentano solo un terzo della ricerca scientifica e dello sviluppo economico. Ma questa difficoltà a sviluppare la ricerca nel settore privato non può essere certo ascritto solo al governo.
Un ambito dove gli scienziati hanno dato un aiuto tangibile al presidente è quello ecologico. È anche grazie a loro, infatti, che il tasso di deforestazione dell’Amazzonia è diminuito dell’85% rispetto al picco del 2005.
Il Brasile ha un’antica attitudine per la scienza. Nella costituzione dello stato di San Paolo redatta nel 1947 è previsto, per esempio, che l’1% di tutte le risorse pubbliche siano destinate alla ricerca. Ma il presidente Lula ha dato un contributo personale decisivo. Sia per le sue scelte strategiche: lo sviluppo del Brasile, ha sostenuto con convinzione, deve avvenire nell’ambito dell’economia della conoscenza. Sia per le scelte coerenti degli uomini che devono incarnare questa politica: lo sviluppo della scienza in Brasile ha avuto un’impennata a partire, in particolare, dal 2005, quando Lula ha chiamato al Ministero della ricerca il fisico teorico Sérgio Rezende.
Non capita a tutti i governi di avere un presidente che, mentre è in carica, scrive sullo Scientific American, la più importante rivista di divulgazione del mondo, come ha fatto Lula nel 2008. E di avere un ministro della ricerca che pubblica, mentre è in carica, sulle Physical Review Letters, come ha fatto Rezende con un articolo sulla spin-wave theory.
Pubblicato su Newton, dicembre 2010