Messina allunga la lista dei danni da alluvioni che si sono succedute nel mese di novembre, e che ha colpito prima le Cinque terre e la Lunigiana e poi Genova. Resta la domanda di sempre: è possibile intercettare questi eventi in modo da prepararsi adeguatamnte prima che sia troppo tardi? A che livello sono le nostre capacità previsionali meteo, e come queste si relazionano alla macchina della Protezione civile e dei piani di intervento? Ne parliamo con Carlo Cacciamani, direttore del servizio Idro-meteo-clima dell'Arpa Emilia Romagna.
I terremoti, ci dicono, non sono prevedibili. E alluvioni e nubifragi?
Per rispondere a questa domanda
bisogna prima chiedersi cosa si intenda per “previsione del fenomeno”. Se la
richiesta è una previsione (a 24 ore, a 48 ore) puntuale e dettagliata nel
"tempo e nello spazio" di eventi molto intensi e localizzati su
piccole aree (qualche decina di chilometri quadrati), allora è bene dire subito
che siamo un po’ lontani da questo obiettivo.
Se si parla invece di
previsione di nowcasting (1/2 ora, 1 ora prima) allora forse è possibile
ma si sta parlando di una cosa diversa. Resta poi da capire se con 1 ora di
anticipo il sistema di protezione civile è in grado di muoversi.
Che modelli usate per fare previsioni?
Oggi per fare le previsioni
meteo dettagliate (e quantitative di pioggia) si usano i modelli ad area limitata (LAM: Limited Area
Model) ad alta risoluzione, in modalità deterministica e/o di ensemble.
Attualmente siamo in grado di far girare
questi modelli a risoluzione di 5-10 Km, con qualche esperienza anche a
2 Km. Noi a Bologna all’ARPA-SIMC, ad esempio, usiamo il modello COSMO (www.cosmo-model.org) che nella versione italiana ha il nome di LAMI
(Limited Area Model Italy) a 7 Km e a 2,8 Km, che è il modello di riferimento
nazionale, in uso alla Protezione Civile e presso il Servizio Meteo nazionale
(leggi: direttiva
del presidente del consiglio dei ministri 27 febbraio 2004)
Con questi modelli non si
riesce ad avere un quadro preciso prima di eventi catastrofici?
La cosa non è così semplice. Il
problema principale di tutti questi modelli ad area limitata è che
l'esatta localizzazione, con ad esempio 24 ore di anticipo, di un evento molto
intenso ma anche molto piccolo è molto difficile da ottenere (un temporale
organizzato ha una dimensione di 10*10=100 Km2 e una durata
temporale di 1-2 ore). Una linea temporalesca è più grande e dura di più, ma ha
una dinamica estremamente complessa e non sempre la "fisica" che ci
vuole per descriverla è descritta "bene" dentro un LAM ad altissima
risoluzione. E' comunque più facile prevedere una linea temporalesca
organizzata di un temporale singolo, ma l'incertezza è comunque alta. In
sostanza questi LAM sono in grado di prevedere intensità di precipitazioni
molto elevate (anche 300-400 mm in 12 ore o più) ma non è possibile giurare
sulla localizzazione spazio-temporale dei massimi che producono. In sostanza il
rischio del "falso allarme" o del "mancato allarme" è
ancora notevole.
Da
cosa dipendono questi errori di localizzazione spazio/temporali?
Da
tante ragioni: una non realistica descrizione della microfisica all’interno dei
modelli; la caratterizzazione corretta delle condizioni iniziali e al contorno;
eccetera. Sono tutte incertezze ancora esistenti a cui la ricerca
scientifica sta cercando di dare risposte.
C'è
un modo per ridurre queste incertezze previsionali?
Stante
queste incertezze, sta prendendo sempre più campo la modellistica “di
ensemble” (http://en.wikipedia.org/wiki/Ensemble_forecasting ) che fornisce, ad esempio,
tra i suoi prodotti anche la probabilità di occorrenza di eventi elevati in una
data area. Questo si fa "correndo" non un solo LAM ma tanti LAM
partendo da condizioni iniziali leggermente diverse (ma tutte equiprobabili),
oppure modificando alcuni coefficienti della "fisica" in maniera
essenzialmente stocastica. In sintesi, allo stato attuale quello che oggi si
può fare è fornire una previsione del genere: "si prevede sulla regione X,
nella sua parte a est, una probabilità di precipitazione molto intensa (es:
superiore a 100 mm/ora) del 40%.
E' già qualcosa di inimmaginabile
nei decenni scorsi. Ma sono sufficienti previsioni del genere per allertare un
territorio?
La
risposta è sì! Però è necessario far
conoscere l'uso di queste previsioni ai decisori (al sindaco, ad esempio) che
deve avere comunque uno "spettro" di azioni da compiere a fronte di
una previsione "incerta" di un evento estremo. Ovviamente il
“politico” dovrà farsi una valutazione del rapporto costo/beneficio della sua
azione. In sostanza ha due opzioni: dar seguito o no a una data azione (di mitigazione,
ad esempio). Se decide di procedere avrà un costo certo, ma forse eviterà un
danno... Se invece decide di non attuare l’azione, non avrà un costo ma forse
potrà subire un danno. La conoscenza del rapporto costo/beneficio, composta con
l’informazione della probabilità di occorrenza dell’evento, determina il
“valore” della previsione meteo, concetto questo molto diverso dalla “qualità”
della previsione meteo. (vedi qui ad esempio: http://www.climateaudit.info/pdf/others/thornes2001.pdf)
Come è composta la catena di
protezione civile, cosa andrebbe più “oliato”?
Il primo passo è sicuramente l’allertamento. In Italia
questo viene eseguito dal sistema dei centri funzionali (CF) a supporto della protezione
civile, definiti ai sensi di quanto previsto dalla Direttiva 27/2/2004 sopra
citata. Lo scopo principale del centro funzionale è dunque quello di valutare,
attraverso un complesso sistema di gestione e utilizzazione dei dati
meteorologici e idrologici, il livello di criticità idro-geologica che può
raggiungersi a seguito dell’occorrenza di una determinata condizione di tempo
meteorologico avverso. Tale valutazione tecnica si concretizza nella
realizzazione di:
- un avviso meteo, che è prerogativa del centro funzionale nazionale presso il DPCN e/o delle regioni a cui è stata riconosciuta questa funzione, sulla base di riconosciute competenze meteorologiche;
- un avviso di criticità che è prerogativa delle regioni, in cui viene esposta una generale valutazione della criticità degli effetti al suolo, innescati da una situazione meteorologica avversa. Tale valutazione è fondata sul raggiungimento, da parte di alcuni indicatori meteo-idro-geologici, di un livello di criticità minimo e sull’avvicinamento e superamento dei livelli di criticità successivi.
L’adozione degli avvisi è di competenza del presidente della giunta regionale o del soggetto da lui a tal fine delegato, sulla base della legislazione regionale cogente in materia.
E dopo l'allertamento, che si fa?
Può avere inizio la fase di definizione delle allerte del
sistema della protezione civile da parte delle regioni, e quindi di attivazione
delle diverse fasi dei piani provinciali e comunali di emergenza. Ad esempio, in Emilia-Romagna questo compito viene svolto
dall’Agenzia di protezione civile regionale, la quale ha stabilito i
disciplinari di attuazione di queste funzioni in diversi atti di giunta in cui vengono approvate Linee
guida regionali per la pianificazione di emergenza in materia di protezione civile
La figura rappresenta l’attività che viene svolta presso la Sala Operativa meteo del Servizio IdroMeteoClima dell’Arpa della regione Emilia-Romagna (ARPA-SIMC). I previsori meteo interpretano i dati osservati da diverse reti di monitoraggio al suolo (A), Radar (B), nonché le previsioni numeriche fornite da diverse catene modellistiche meteorologiche ad area limitata. Nella figura sono mostrati alcuni tipi di visualizzazione di previsioni numeriche fornite dalle catene modellistiche meteorologiche in uso presso ARPA-SIMC: precipitazioni previste aggregate in sotto-aree all’interno della regione, meteogrammi previsti su località, previsioni di pressione e pioggia su area europea e di temperatura in Emilia-Romagna
Se ben capisco questi avvisi sono i punti nevralgici
nella catena della gestione dell'emergenza
Esatto. La realizzazione degli “avvisi meteo” e degli
“avvisi di criticità idrogeologica” risultano il cardine delle attività del
centro funzionale, su cui si basa il sistema di allertamento della protezione civile,
e si attua in due fasi operative, una di previsione e una di monitoraggio, e
definite in:
- fase previsionale, costituita dalla previsione della situazione meteorologica, nivologica, idrologica, idraulica e geomorfologica;
- fase di monitoraggio e sorveglianza, caratterizzata dalla osservazione dell’evento meteoidrologico e idrogeologico in atto, dalla previsione a breve dei relativi effetti attraverso il nowcasting meteorologico e l’uso di un'adeguata modellistica idrologica, idraulica e idro-geologica nonché di misure raccolte in tempo reale.
Lo svolgimento di queste fasi deve essere definito in maniera molto chiara da dettagliate procedure operative, all’interno delle quali devono essere descritti anche dei disciplinari di allertamento del personale per garantire, quando necessario nelle situazioni di crisi ideologico-idraulica-idrogeologica, anche una attività di presidio continuativo sulle ventiquattro ore di personale tecnico, necessario per aggiornare le informazioni/previsioni utili al sistema di protezione civile nazionale, regionale sub-regionale e a quello della difesa del suolo.
E quando le allerte sono arrivate sul territorio?
Vengono coinvolti prefetture, province, sindaci e tanti
altri (vigili del fuoco, capitanerie di porto ecc…). A questo punto, l’autorità locale che riceve una allerta di protezione civile mette in atto il suo piano
di emergenza. Quest'ultimo aspetto della “catena dell’allertamento” è
fondamentale. Rappresenta l’ultimo miglio del processo che può, nel caso non
esistesse o fosse mal realizzato, rendere vano tutto il resto del processo.