Acciaierie di Taranto, Wikimedia
Ha suscitato scalpore l’inclusione dell’area di Taranto tra le zone di sacrificio nel recente Rapporto del Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU (12 gennaio 2022), nel contesto della 49a sessione su “Promozione e protezione di tutti i diritti umani, civili, politici, economici, sociali e culturali, incluso il diritto allo sviluppo”.
Molti si sono chiesti perché per l’Italia è stata scelta solo Taranto, una domanda appropriata a cui è facile rispondere, perché trattandosi di un Rapporto a livello mondiale sono riportati solo casi emblematici, e anche per Africa, Asia o Europa orientale gli esempi sono solo una piccola parte di un elenco che sarebbe lunghissimo. Infatti, sono state scelti luoghi molto inquinati e pericolosi, con violazioni dei diritti umani, in particolare delle popolazioni povere, vulnerabili ed emarginate.
Nel Rapporto si legge che “le zone di sacrificio rappresentano la peggiore negligenza immaginabile dell'obbligo di uno Stato di rispettare, proteggere e realizzare il diritto a un ambiente pulito, sano e sostenibile”.
Non c’è dubbio che applicando la definizione di “aree estremamente contaminate dove i gruppi vulnerabili ed emarginati sopportano un peso sproporzionato delle conseguenze sulla salute, e l’intossicazione cronica impatta sui diritti umani” anche in Italia le aree da includere sarebbero numerose.
Come ricordato dal Rapporto ONU, zona di sacrificio viene dalla guerra fredda, quando veniva usata per descrivere aree rese inabitabili da esperimenti nucleari che causavano livelli di radiazioni elevati e duraturi, oggi è estesa a luoghi in cui i residenti soffrono conseguenze devastanti per la salute fisica e mentale e violazioni dei diritti umani del vivere in aree fortemente contaminate.
Di estrema rilevanza e attualità il richiamo alla crisi climatica, che genera zone di sacrificio per le emissioni di gas serra, gli eventi meteorologici estremi, i disastri a lenta insorgenza, tra cui la siccità e l'innalzamento del livello del mare.
Zone di sacrificio
Zona di sacrificio simbolizza la privazione e la rinuncia a beni di necessità elementari come il diritto a vivere in un ambiente sano e ad una aspettativa di vita in salute.
Sull’uso del termine sacrificio (dal latino sacrificium, da sacrum «rito sacro» e –ficium «-ficio») è interessante porsi qualche ulteriore domanda. Siccome nelle culture cristiana e pagana il sacrificio richiama una offerta, reale o simbolica, per ottenere qualcosa, protezione, rassicurazioni, benefici, qual è la posta in gioco in aree in cui insieme all’ambiente e alla salute si perde occupazione e si erodono i diritti fondamentali delle persone?
Il Rapporto ONU non fa sconti: “l’esistenza delle zone di sacrificio è una macchia sulla coscienza collettiva dell'umanità. Spesso create attraverso la collusione di governi e imprese, queste aree sono l'opposto dello sviluppo sostenibile, danneggiando gli interessi delle generazioni presenti e future; le persone che ci abitano sono sfruttate, traumatizzate e stigmatizzate, sono trattate come usa e getta, le loro voci ignorate, la loro presenza esclusa dai processi decisionali e la loro dignità e i loro diritti umani calpestati. Le zone di sacrificio esistono in Stati ricchi e poveri, nel Nord e nel Sud”.
Doveri speciali verso le popolazioni vulnerabili
Il Rapporto cita i bambini come particolarmente vulnerabili agli effetti negativi sulla salute dell'esposizione all'inquinamento e alle sostanze tossiche, ricordando che più di 1 milione di morti premature tra i bambini sotto i 5 anni sono causate ogni anno dall'inquinamento e dalle sostanze tossiche.
Poi ricorda che donne, minoranze, rifugiati, migranti, persone con disabilità, anziani, persone che vivono in conflitti armati prolungati, e persone che vivono in povertà sono spesso colpiti in modo sproporzionato, hanno meno risorse e hanno meno accesso ai servizi sanitari, aumentando il rischio di malattia o di morte.
Obblighi dei diritti umani relativi all'inquinamento pervasivo
In conclusione, il Rapporto ONU evidenzia gli obblighi degli Stati, le responsabilità delle imprese e le buone pratiche per garantire un ambiente non tossico, prevenendo l'inquinamento, eliminando l'uso di sostanze tossiche, bonificando e riabilitando i siti contaminati, e elenca tante importanti raccomandazioni.
Tra le altre:
- stabilire programmi di monitoraggio, valutare le fonti di esposizione, fornire al pubblico informazioni accurate e accessibili sui rischi per la salute;
- assicurare una partecipazione significativa, informata ed equa del pubblico al processo decisionale;
- utilizzare le migliori prove scientifiche disponibili per sviluppare leggi, regolamenti, standard e politiche;
- valutare il potenziale impatto ambientale, sociale, sanitario, culturale e sui diritti umani di progetti e piani;
- rafforzare la legislazione, i regolamenti e le politiche per prevenire l'esposizione a sostanze tossiche, e sviluppare piani d'azione per prevenire l'inquinamento, eliminare le sostanze tossiche e riabilitare i siti contaminati.
Da sottolineare l’indicazione per gli Stati di incorporare, come standard nazionali legalmente vincolanti, le linee guida dell'OMS sulla qualità dell'aria ambiente (aggiornate nel 2021), la qualità dell'aria interna, la qualità dell'acqua potabile e le sostanze chimiche tossiche.
Il monito conclusivo
Contenuto e stile delle conclusioni del Rapporto ONU dovrebbero scuotere le coscienze a favore di azioni concrete a beneficio di chi vive nel purgatorio delle zone sacrificali sottoposto ad una sistematica negazione della dignità e dei diritti umani.
La lettura tutto d’un fiato del Rapporto accresce la consapevolezza della necessità di un approccio basato sui diritti umani per prevenire l'esposizione all'inquinamento e alle sostanze chimiche tossiche e salvare milioni di vite ogni anno, evitando miliardi di episodi di malattia. Un gigantesco programma umanitario dal costo di miliardi di dollari ma con benefici di trilioni di dollari.