
Due iniezioni l’anno per proteggersi dall’HIV con un’efficacia vicina al 100%. Il lenacapavir, già utilizzato per trattare l’infezione nei pazienti con resistenza ai farmaci, potrebbe presto rivoluzionare la prevenzione. Mentre l’EMA valuta la sua approvazione, i dati delle sperimentazioni cliniche ne confermano il potenziale straordinario.
Due iniezioni l’anno per prevenire l’infezione da HIV. Non un vaccino, ma quasi. Il lenacapavir è un farmaco che finora è stato utilizzato come cura per quei pazienti con HIV multiresistente ai trattamenti disponibili. Presto però potrebbe essere impiegato anche per la prevenzione dell’infezione, all’interno di quella strategia che viene chiamata PrEP, la profilassi pre-esposizione.
La PrEP prevede l’assunzione di farmaci antiretrovirali da parte di persone sieronegative per ridurre in modo significativo il rischio di contrarre il virus. Fino a ora per la PrEp venivano utilizzati farmaci da assumere per via orale e un farmaco iniettabile da somministrare ogni due mesi che è stato approvato dall’Agenzia del farmaco europea (EMA). In Italia si sta attualmente discutendo la rimborsabilità da parte del Servizio sanitario nazionale di questi farmaci, ma nel frattempo, come vedremo, sono partiti programmi pilota di somministrazione. Ora però entra un nuovo attore sulla scena.
Il 3 febbraio scorso il lenacapavir è stato sottoposto al giudizio dell’EMA perché ne venga approvato l’uso come PrEP. La richiesta di approvazione ha delle solide basi, tanto che la rivista Science, nel numero di fine anno 2024 in cui incorona le migliori scoperte degli ultimi 12 mesi, ha messo al primo posto proprio il lenacapavir. La motivazione di questa scelta parte dalla constatazione che dopo tanti progressi, ancora nel mondo ogni anno si infetta con HIV un milione di persone. Troppe. Mentre la messa a punto di un vaccino rimane una chimera. Qui si inserisce questo nuovo farmaco forte dei risultati clamorosi di due sperimentazioni cliniche, PURPOSE I e PURPOSE II, i cui rapporti finali sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine nei mesi scorsi. La prima, pubblicata a giugno 2024, di cui Scienza in rete ha parlato qui, è stata svolta su oltre 5.000 donne tra i 16 e i 25 anni in due paesi africani: Sud Africa e Uganda. In questo studio nessuna delle persone che hanno ricevuto il farmaco per iniezione si è infettata: un'efficacia del 100%. Dopo tre mesi, sono usciti i risultati del secondo studio, PURPOSE II, condotto questa volta su oltre 2.000 tra uomini cisgender, donne e uomini transgender e persone non binarie che fanno sesso con uomini provenienti da diversi paesi di Sud America, Asia, Africa e Stati Uniti. Anche questa volta il risultato è stato molto chiaro: il farmaco si è rivelato efficace nell’evitare l’infezione nel 96% dei casi.
«Non si vedono dati così tutti i giorni», ha commentato Mitchel Warren dell’AVAC, l’associazione no profit che si occupa di prevenzione dell’infezione da HIV. A differenza dei principali farmaci anti-HIV che interferiscono con gli enzimi virali legandosi ai "siti attivi" che consentono loro di funzionare, il lenacapavir interagisce con le proteine del capside, ovvero il cono che protegge l'RNA virale. Inizialmente, i ricercatori non consideravano il capside un bersaglio particolarmente utile per i farmaci. Già dall’inizio degli anni 2000 si era capito che il capside non solo protegge l’RNA del virus, ma interagisce con le proteine cellulari per svolgere una serie di importanti funzioni durante le prime fasi dell'infezione. Tuttavia, sembrava complicato bloccare queste interazioni.
La svolta avviene proprio con il lenacapavir, il primo farmaco che riesce a interferire con la formazione del capside e con le sue funzioni nel ciclo di replicazione del virus. Il farmaco è stato approvato dall’AIFA nel 2022 per il trattamento dell’infezione da HIV. Ora però i nuovi studi hanno dimostrato la sua efficacia anche per prevenire l’infezione. La differenza con la PrEP somministrata per via orale è che consente una maggiore aderenza alla terapia. Si è visto infatti che le persone che assumono PrEP per via orale sono soggette a errori e dimenticanze nell’assumere i farmaci. L’iniezione due volte l’anno eliminerebbe questo problema.
L’impiego pratico di questo farmaco dipenderà molto dal suo prezzo e in paesi come il nostro dalla possibilità che venga rimborsato dal Servizio sanitario. Intanto Gilead, la casa farmaceutica che lo produce, sta immaginando un ulteriore sviluppo del farmaco per provare ad allungare la protezione a un anno intero invece che a sei mesi. Va valutato che la protezione dall’infezione ha un effetto sul singolo ma anche sulla popolazione generale, perché riduce la circolazione del virus.
Sull’onda del successo delle sperimentazioni, qualcuno si è domandato se vale ancora la pena investire sulla ricerca per un vaccino. C’è da considerare però che le caratteristiche di un vaccino sono diverse da quelle di un farmaco usato per la PrEP: un vaccino va dato a tutta la popolazione e non solo a quella a rischio, deve costare poco e garantire una copertura per molti anni con poche somministrazioni. La problematica che viene sollevata è quella dell’effetto di popolazione della PrEP confrontata al possibile effetto di un vaccino. La somministrazione della PrEP è necessariamente limitata alle persone con più alto rischio di infettarsi. Questa strategia è dettata da considerazioni sui costi, sul rapporto rischio/beneficio individuale e sulle difficoltà organizzative ad estendere un intervento di questo genere. D’altra parte, in popolazioni in cui un’alta percentuale di infezioni viene acquisita da persone che non vengono identificate come a rischio più elevato, il beneficio di popolazione della PrEP potrebbe essere più limitato. Un vaccino che garantisse una protezione di lunga durata a bassi costi potrebbe essere esteso a tutta o almeno a larghi strati la popolazione e quindi avere un effetto molto maggiore.
Dal punto di vista della ricerca però il successo di lenacapavir è promettente, come sottolinea Science, non solo per il suo impatto sulla prevenzione di HIV. La sua messa a punto scaturisce infatti da una più approfondita comprensione della struttura e della funzione del capside dell’HIV. Molti altri virus hanno le proteine capside a formare un guscio di protezione del loro materiale genetico, si può quindi ipotizzare che farmaci basati sullo stesso principio, ovvero farmaci inibitori del capside, possano essere messi in campo contro altre malattie.
Mentre si attendono gli esiti della valutazione di EMA sul lenacapavir, in Italia sono partiti da gennaio 2025 dei programmi per l’uso routinario come PrEP di cabotegravir, il farmaco iniettabile ogni due mesi di cui parlavamo nelle prime righe di questo articolo. I primi programmi sono stati avviati in due centri: a Roma presso l’istituto Lazzaro Spallanzani e a Milano presso l’ospedale Sacco. Il programma di accesso controllato pilota in questa fase sarà riservato alle persone a rischio di infezione da HIV attraverso rapporti sessuali non protetti che sono escluse dalla PrEP orale con emtricitabina/tenofovir disoproxil, per difficoltà di accesso, intolleranza, difficoltà a utilizzare PrEP orale, bassa aderenza o interruzione dei farmaci utilizzati nella PrEP orale, utilizzo di chemsex.
L’OMS stima che nel mondo nel 2023 la PrEP sia stata utilizzata da circa 3 milioni e mezzo di persone, il 75% delle quali vive in Africa. Un numero rilevante, se pensiamo che cinque anni prima si stimava che assumessero la PrEP circa 500.000 persone. Tuttavia, siamo ancora distanti dall’obiettivo che era stato posto per il 2025: 10 milioni di persone in PrEP. Raggiungere questo obiettivo è una componente fondamentale della strategia dell’OMS per avere zero nuove infezioni nel 2030.