Il sesso biologico e l'identità di genere sono rappresentati in reti neuronali diverse tra loro. Sono i risultati preliminari di una ricerca che ha esaminato quasi cinquemila preadolescenti nell’ambito di un ampio studio statunitense sullo sviluppo del cervello e la salute delle persone giovani. Obiettivo della ricerca è indagare in che modo l’appartenere a uno o l’altro sesso può influire sul presentarsi di diverse patologie neurologiche, e per farlo ha incluso anche i dati riferiti alle persone che dichiarano una diversa identità di genere, mettendo in luce differenze nelle reti neuronali. Con buona pace di chi non ci crede
La divaricazione rischia di farsi sempre più ampia: da una parte chi nega la potenziale distanza tra sesso e genere e preferisce parlare di una supposta “teoria del gender” e dall’altra il progredire degli studi sulle identità di genere che via via cercano di fare luce su come si origina questa identità e le eventuali incongruenze.
Per capirci è bene ricordare che ormai dal 2019 l’Organizzazione mondiale della sanità non definisce più come un disturbo mentale l’incongruenza di genere, cioè quella non coincidenza tra il genere a cui una persona sente di appartenere e il sesso assegnato alla nascita sulla base dei caratteri visibili. Una presa di posizione importante che non solo elimina (almeno sulla carta) lo stigma che accompagna spesso le persone transgender e gender diverse, ma che apre anche al riconoscere che esistono identità di genere diverse, così come orientamenti sessuali diversi, e che tutti appartengono alla dimensione umana (e animale, peraltro). Significa anche riuscire a dare un numero a questi modi di essere, tanto che oggi si stima che l’incongruenza di genere riguardi tra lo 0,5 e l’1,3 per cento della popolazione. Numeri piccoli, ma non minimi.
La dinamica tra mente e cervello
Come si affermi l’identità di genere, dicevamo, è tuttora oggetto di teorie e studi, ma l’approccio che raccoglie maggiori consensi mette in fila sia i fattori biologici, per esempio l’ambiente ormonale in cui si sviluppa il feto o le basi genetiche, sia quelli socioculturali come le interazioni con i genitori e i pari e gli stessi modelli culturali. Certamente il ruolo del cervello rimane uno degli ambiti di studio più promettenti e controversi.
«I fattori neurobiologici che influenzano l’identità di genere sono difficili da stabilire. Al momento, nessun modello ha portato prove significative a suo favore», dice Ute Habel, docente di psicologia al Politecnico di Aquisgrana, in Germania, riportata da Massimo Sandal in un lungo articolo sulla rivista Mind. Secondo l’ipotesi più discussa, proposta principalmente dal neurobiologo olandese Dick Swaab, l’identità di genere è codificata nel cervello grazie all’azione degli ormoni sessuali. Durante il secondo trimestre di gravidanza e fino a tre mesi dopo la nascita, (ipotizza Swaab )se il cervello viene sottoposto a un impulso di testosterone tenderà a mascolinizzarsi, e a sviluppare un’identità di genere maschile, altrimenti svilupperà un’identità femminile. «Questa teoria spiega in modo naturale l’esistenza delle persone trans. La differenziazione sessuale dei cervelli avviene molto dopo la differenziazione degli organi sessuali, che ha luogo entro i primi due mesi di sviluppo fetale. I due processi possono quindi essere influenzati separatamente. Se le due differenziazioni prendono direzioni diverse, l’identità di genere codificata a livello cerebrale non collima più con i caratteri sessuali fisici», precisa Sandal.
Seppur interessante, questa teoria neurobiologica attribuisce forse troppo poco peso al contesto sociale e culturale e, soprattutto alla dinamica tra mente e corpo. In questa direzione si aggiungono nuove indagini, come quella, appena pubblicata sulla rivista ScienceAdviser che ha evidenziato come il sesso e il genere modellino diversamente le reti neurali.
«Uno studio preliminare basato sull'imaging cerebrale di preadolescenti indica che il sesso biologico e l'identità di genere sono rappresentati in reti neuronali diverse tra loro, suggerendo che le differenze tra i cervelli delle persone a cui è stato assegnato un certo sesso alla nascita potrebbero essere i riflessi di aspettative culturali, e non solo di differenze biologiche» si legge nella presentazione del lavoro.
Differenze di genere e malattie
A rendere interessante questa ricerca non è solo il numero di giovani persone coinvolte, quasi 5.000, ma anche l’approccio dello studio che prende in considerazione le realtà diverse tra sesso e genere, dandone per acquisita la diversità e contestualizzandola nel percorso di ricerca. «Sia il sesso che il genere sono importanti da studiare perché sono componenti essenziali dell'identità», afferma Elvisha Dhamala, neuroscienziata presso i Feinstein Institutes for Medical Research e lo Zucker Hillside Hospital e autrice principale del nuovo studio. «Sta diventando sempre più chiaro che guardare solo al sesso in sé non è sufficiente. Non ci darà tutte le risposte». Obiettivo finale del gruppo di ricerca sono alcuni aspetti delle neuroscienze cliniche, perché è ormai accettato che esistono differenze sostanziali tra i sessi nella prevalenza, nei tempi e nel manifestarsi clinicamente di molti disturbi cerebrali comuni nel corso della vita. Per esempio, il disturbo dello spettro autistico e il morbo di Parkinson sono più comuni nei maschi che nelle femmine, mentre la depressione, l'emicrania e il morbo di Alzheimer sono più comuni nelle femmine che nei maschi. E proprio perché le cause delle differenze tra i sessi sono poco comprese, e spesso confuse tra sesso e genere, basare la ricerca e l'assistenza clinica su un approccio che considera solamente il sesso maschile come se fosse unico e valesse per tutte le persone, ne mette in discussione la validità. Al contrario, Elvisha Dhamala e i suoi hanno incluso nella complessità anche le differenze tra sesso e genere.
Per distinguere gli effetti del sesso da quelli del genere sull'attività neuronale, infatti, hanno analizzato i dati di imaging cerebrale raccolti grazie al più grande studio a lungo termine sullo sviluppo del cervello e sulla salute infantile negli Stati Uniti: l’Adolescent Brain Cognitive Development (ABCD), più ampio anche negli obiettivi. Il team ha esaminato le scansioni di risonanza magnetica funzionale di 4727 bambini di età compresa tra 9 e 10 anni, assegnati al sesso femminile (2315 bambine) o al sesso maschile (2442) alla nascita. La raccolta dei dati sul genere è stata un po' più complicata e si è basata su due questionari, uno rivolto a bambini e bambine e uno ai genitori. L’equipe ha potuto individuare perciò che le reti neuronali associate al genere erano distinte da quelle associate al sesso assegnato alla nascita. Le reti che mostravano modelli di connettività associati al sesso includevano quelle che svolgono un ruolo nell'elaborazione sensoriale e nel controllo motorio, mentre le reti associate al genere erano più ampiamente distribuite in tutto il cervello e tendevano a essere coinvolte in capacità cognitive come attenzione, cognizione sociale ed elaborazione emotiva.
Limiti e stimoli
«Una limitazione importante dello studio è che include dati solo da persone che non hanno raggiunto la pubertà. La mappatura tra sesso e genere potrebbe cambiare durante la pubertà insieme al modo in cui queste due caratteristiche si manifestano nel cervello. Le norme di genere possono anche variare ampiamente tra le culture, quindi lo studio ABCD, che include solo bambini e bambine negli Stati Uniti, non riflette la popolazione globale», è la critica di Tobias Kaufmann, neuroscienziato presso le università di Tubinga e di Oslo, a commento di questo lavoro. Tuttavia Elvisha Dhamala e il suo gruppo sono certi dell’importanza dei loro risultati: «La scoperta che sesso e genere influenzano il cervello in modi diversi potrebbe cambiare il modo in cui facciamo scienza», affermano senza falsa modestia.
È vero che un clima polarizzato come quello che riguarda il tema delle identità di genere, studi come questo rischiano di essere strumentalizzati, in fondo lo abbiamo già visto accadere: nel secolo scorso per esempio, gli scienziati hanno utilizzato la differenza nel peso medio del cervello tra uomini e donne per sostenere che queste ultime sono meno intelligenti. Oggi, le polemiche intorno al ricorso ai bloccanti della pubertà per le persone giovani con problemi di disforia di genere, non sono certo un esempio rassicurante. «Il modo migliore per evitare idee sbagliate è svolgere una scienza rigorosa» è la risposta di Elvisha Dhamala, che aggiunge: «Abbiamo coinvolto nel processo persone transgender e non conformi al genere, i cui corpi e identità sono stati storicamente esclusi o trattati come anormali dagli scienziati, perché sono persone che possono avere intuizioni uniche sulla natura del sesso e del genere. Non si può fare ricerca su una popolazione senza includere quella popolazione nel team di ricerca».