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L’Università è sotto attacco: bisogna battersi per garantirle un futuro

Immagine di un uomo arancione che galleggia in aria contro uno sfondo blu e la scritta "Il futuro dell'Università in Italia"

A Firenze martedì 18 marzo un workshop organizzato dalla Scuola Normale Superiore punta un faro sulla necessità di difendere il futuro dell’università in Italia, in un contesto nazionale e internazionale di attacchi espliciti – a partire da quelli di esponenti della nuova amministrazione USA –, ma anche di minacce concrete alla libertà di ricerca e di espressione, di calo delle risorse, di cambiamenti istituzionali. Al centro delle preoccupazioni il ruolo dell’università in Italia, i rischi connessi alla crescente fuga di cervelli, l'insufficienza dei finanziamenti, l’aumento del precariato tra ricercatori e docenti, l’incremento di studenti delle università telematiche private.

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Proprio mentre sui media si celebrano i risultati delle università italiane nella ennesima classifica delle migliori università al mondo, le università sono in realtà soggette a un duro attacco. 
In maniera esplicita, in qualche caso: basta pensare alle note dichiarazioni dell’attuale vicepresidente degli Stati Uniti James David Vance (“We have to honestly and aggressively attack the universities in this country”); ma anche in modo meno diretto, attraverso il definanziamento della ricerca, la limitazione della sua libertà, i vincoli posti agli argomenti e addirittura al lessico, con la sinistra comparsa di elenchi di parole soggette a proscrizione.
Questo rende ancora più urgente reagire e difendere l’università, la sua libertà, le sue risorse, le sue persone: discutendo e trovando soluzioni nel contesto internazionale e nei suoi sviluppi in Italia, riflettendo sul suo ruolo sociale, sui finanziamenti e sui cambiamenti istituzionali in corso. Sono i problemi che saranno affrontati nell’incontro “Il futuro dell'università in Italia” che la Scuola Normale Superiore organizza il 18 marzo, dalle 10 alle 13.30, presso la Classe di scienze politico-sociali, a Firenze, presso Palazzo Strozzi e che sarà possibile seguire anche in diretta streaming

Allarme: la libertà di ricerca è davvero in pericolo

La Federazione europea delle Accademie delle scienze, di cui in Italia fa parte l’Accademia dei Lincei, ha espresso a febbraio 2025 «gravi preoccupazioni sulle crescenti minacce alla libertà accademica, negli Stati Uniti e altrove (…), tra cui gli ordini dell’esecutivo per bloccare programmi federali di ricerca per miliardi di dollari su temi come il cambiamento climatico e le questioni di genere». Come ha dichiarato il suo presidente, Pawel Rowiński, «la libertà accademica è la spina dorsale del progresso scientifico ed è fondamentale per una società libera. Le ultime azioni della nuova amministrazione Usa minacciano l'integrità e l'autonomia della ricerca e compromettono la fiducia del pubblico nella scienza, non solo all'interno del Paese, ma in tutto il mondo».
Non è un problema limitato agli Stati Uniti: restrizioni alle iniziative di ricerca e di dibattito si sono moltiplicate di recente anche in Europa, in paesi che vanno dall’Ungheria alla Germania, e sono state documentate nei saggi di Tomaso Montanari Libera università (Einaudi 2025) - di cui citiamo un brano: «Governi e poteri che temono il dissenso vedono oggi l'università come un nemico. A minacciare la libertà della conoscenza e dell'insegnamento non sono le proteste studentesche, ma il controllo politico, il disciplinamento delle idee, i tagli ai finanziamenti. Difendere il pensiero critico significa difendere il futuro della democrazia» -; e di Donatella della Porta Guerra all’antisemitismo? Il panico morale come strumento di repressione politica (Altreconomia, 2024). Entrambi gli autori intervengono al workshop di Firenze con due relazioni incentrate sul tema della libertà accademica.

Aumenta l’emigrazione dei laureati 

Luca Paolazzi, della Fondazione Nord-Est, interviene sul tema cruciale dell’emigrazione dei laureati. In Italia si registra una delle percentuali più basse di laureati sul totale della forza lavoro tra i paesi europei, pari a meno del 20%, con un limitato aumento negli ultimi vent’anni. Il sistema economico del Paese tende a offrire ai giovani posti di lavoro con qualifiche e salari modesti e con condizioni di lavoro precarie.
Uno degli effetti è la forte dell’emigrazione dall’Italia di giovani laureati, documentata dalle ricerche della Fondazione Nord-Est. Nel periodo 2011-23 550mila giovani italiani tra i 18 e 34 anni sono emigrati all’estero, oltre 50mila nel 2023 e tra questi il 43% - circa 21mila giovani - era laureato, almeno con una laurea triennale. Nel solo 2022 sono emigrati oltre 4.200 laureati dalla Lombardia, 2.000 dal Veneto, 1.600 dal Piemonte, circa 1.500 da Emilia Romagna, Lazio e Campania, 1.100 dalla Sicilia, circa 1.000 da Toscana e Puglia. Molti dei laureati emigrati sono docenti e ricercatori. Nel corso di un decennio, si valuta che siano andati a lavorare all’estero circa 14mila ricercatori e ricercatrici italiane. Una deriva che depaupera il Paese e a cui ci si deve opporre.

La questione delle università telematiche private

In Italia tra il 2021-22 e il 2023-24, il numero di studenti universitari totali è rimasto stabile, a poco meno di due milioni, ma gli studenti delle università statali sono diminuiti di 40mila (sono ora 1 milione e 562mila). Sono invece aumentati di 50mila (arrivando ora a 274mila) quelli delle università private telematiche (in alcuni casi di proprietà di fondi d’investimento stranieri), oggetto di iniziative del governo che hanno creato preoccupazione, perché ne hanno favorito la forte crescita. Le regole attuali sul numero di docenti, sulla quota di docenti strutturati e sulle modalità di svolgimento degli esami non garantiscono la qualità dell’insegnamento universitario. Nel 2022 il rapporto medio studenti-docente nelle università telematiche era di 384 a 1, contro i 28 studenti per docente nelle università classiche. È altissima la percentuale di docenti a contratto, per cui mancano procedure di verifica delle competenze. La possibilità di effettuare esami online da casa presenta ulteriori problemi di verifica della qualità della preparazione. Al workshop interviene su questo argomento Maria Luisa Meneghetti, dell’Accademia dei Lincei.

La spesa per la ricerca pubblica in Italia è ferma a 25 anni fa 

L’intervento al workshop di Mario Pianta, della Scuola normale superiore, è incentrato sul tema del ridimensionamento delle risorse disponibili per università e ricerca, sul piano dei finanziamenti e del personale. 
Sul piano delle risorse per l’università e la ricerca, l’Italia registra notoriamente una percentuale della spesa per ricerca pubblica sul Prodotto interno lordo (PIL) tra le più basse d’Europa: è stata a lungo intorno allo 0,50% del PIL, è salita allo 0,70% con i finanziamenti straordinari del PNRR venuti dall’Europa, ma con l’esaurirsi di quei fondi rischia di tornare ai livelli di partenza. 
La spesa per il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) dell’università è pari a circa 9 miliardi di euro nel 2024 ma, in termini reali – al netto dell’inflazione - resta fermo ai livelli di 25 anni fa. Nel 2024 il governo ha ridotto l’FFO di 173 milioni – promettendo ora di aumentarlo di 336 milioni nel 2025 -; non ha dato coperture per i circa 300 milioni di spesa aggiuntiva per l’adeguamento Istat degli stipendi del personale; non ha finanziato i 340 milioni aggiuntivi previsti dal piano straordinario per le assunzioni previsto dal governo precedente; ha introdotto il limite del 75% al rinnovo del turnover del personale che va in pensione. Molti atenei hanno subito un grave ridimensionamento delle risorse disponibili.

Diminuiscono docenti e ricercatori di ruolo, aumentano i precari

Sul piano del personale docente e di ricerca, in Italia i professori e ricercatori di ruolo sono diminuiti dai 62mila del 2006 ai 48mila del 2024; data l’elevata età media dei docenti, nei prossimi tre anni intorno al 10% dei professori ordinari e associati andrà in pensione. Sono cresciute invece le figure precarie: ci sono oggi circa 9mila ricercatori a tempo determinato di tipo a e oltre 20 mila assegnisti di ricerca, che rappresentano circa il 40% di tutto il personale docente e di ricerca. L’università si va svuotando di docenti stabili e deve affrontare il problema dei ricercatori precari. Per il reclutamento di giovani ricercatori il governo aveva presentato nel 2024 in Senato il Ddl 1240, che moltiplicava ulteriormente le figure precarie; il Ddl è stato ora sospeso, mentre è stata finalmente introdotta la figura del contratto di ricerca. Resta tuttavia un vuoto di regole e di risorse che aggrava le prospettive dei giovani. Le questioni sono trattate negli interventi di Lorenzo Zamponi e di Daniela Chironi, entrambi della Scuola normale superiore, e di Luigi Burroni, dell’Università di Firenze, delegato alle relazioni sindacali.

Ricerca e università al centro dell’attenzione pubblica

Questo insieme di problemi allarma ormai l’opinione pubblica e negli ultimi anni è stato al centro di diverse iniziative. Al workshop è ricordata l’esperienza del Tavolo tecnico per la Strategia italiana in tema di ricerca fondamentale, insediato nel 2022 dalla Ministra Messa del governo Draghi, e presieduto da Luigi Ambrosio, Direttore della Scuola Normale Superiore, che ha pubblicato nel luglio 2022 un rapporto sulle politiche possibili per la ricerca e l’università e ne parla nel suo intervento che apre il workshop.
Nel 2024 ci sono state le prese di posizione della Rete di 130 Società Scientifiche italiane sui rischi di ridimensionamento dell’Università e della ricerca, pubblicate su Scienza in rete, e nel 2025 la mozione al Senato presentata dalla senatrice a vita Elena Cattaneo sui problemi della ricerca, approvata all’unanimità il 19 febbraio 2025 e sostenuta da oltre 5.000 firme di docenti e ricercatori.
A questi problemi è dedicato l’incontro del 18 marzo 2025 alla Scuola Normale Superiore a Firenze, con l’intento di approfondirne la conoscenza e di contribuire al dibattito per la ricerca di soluzioni.
 

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