fbpx Ma ora tocca all’Europa | Scienza in rete

Ma ora tocca all’Europa

Primary tabs

Tempo di lettura: 3 mins

I marziani, si suppone, non hanno ancora inventato la ruota. Quella foto di una ruota sulla ghiaia marziana è quindi la prova che Curiosity è davvero atterrato, e per di più, con fantastica precisione, proprio dove voleva la NASA. Congratulazioni e grande ammirazione da tutti quelli che amano lo spazio e Marte. Stavolta la NASA ha mandato un oggetto da una tonnellata, grande come una Land Rover e capace di far cose egregie. Quel pezzo di ferro, il 40° che la razza umana spedisce verso Marte, uno dei pochi riusciti ad atterrare con successo (dopo il primo atterraggio russo nel lontano 1971), e che porta ad una decina di tonnellate la ferraglia terrestre presente su Marte, è adesso diventato, di colpo, l’orgoglio USA.

Si capisce che ne parli con orgoglio Charles Elachi, da molti anni direttore del glorioso laboratorio JPL: la sua squadra ci lavora da un decennio. Ho appena sentito Charlie in televisione: giustamente emozionato, il suo accento libanese era più forte che mai. Sì, perché il direttore del più grande laboratorio spaziale del mondo è un immigrato, nato in Libano ed arrivato in USA già adulto, negli anni ’70. Una bella carriera, la sua, ma anche un insegnamento a tutti (noi compresi) su come possa crescere una nazione se accoglie bene i suoi immigrati. Perché Charlie è così orgoglioso di Curiosity? Beh, è il più bello di tutti, una svolta nella esplorazione marziana. Potrà dirci bene come è fatto, e se sia adatto allo sviluppo della vita, il terreno dove è atterrato. Non sarà capace, forse, di darci prove di esistenza di vita passata o presente su Marte,  ma può metterci sulla buona strada. Potrebbe, per esempio, sniffare un po’ di metano nella rarefatta atmosfera marziana. La possibile presenza di metano diffuso, suggerita tempo fa da scienziati italiani, sarebbe la prova, indiretta, di vita su Marte, se legata ad attività batterica. Soprattutto, se Curiosity funzionerà bene, sarà un successo tecnologico del quale la amministrazione USA ha un disperato bisogno.

Obama stesso ha usato toni trionfali per Curiosity, un po’ al di là del normale, forse, prima di vederne i risultati. Perché? Obama sa che la NASA si era infilata in un tunnel col programma Shuttle-Stazione Spaziale e ne stava uscendo malissimo. Oggi, per esempio, tutti vedono che gli astronauti americani, per andare sulla Stazione, devono pagare un salato biglietto ai russi. Obama, che vuole una rielezione, sa che il taxpayer si fa sognare con cose nuove nello spazio. Forse Curiosity non è così drammaticamente nuovo, ma certo è un segnale. Primo: la NASA abbandona la Luna, la bufala che G.W. Bush aveva cercato di vendere al mondo. Secondo: il nucleare entra in modo esplicito nello spazio: Curiosity è alimentato da un generatore al plutonio. È la prima volta che succede per una sonda USA su Marte, ed è stato molto sottolineato, come a dire: senza il nucleare nello spazio si fa poco. Terzo, non detto ma lasciato capire: noi puntiamo lontano, al ritorno dell’uomo nello spazio profondo, al di là della Luna (che lasciamo ai cinesi, grazie, abbiamo già dato), prima su di un asteroide e poi su Marte. Forse, dopo Curiosity, dovremo anche abbandonare l’esplorazione robotica planetaria, ma intanto abituiamo il pubblico al nucleare nello spazio, l’unico modo di mandare l’uomo davvero lontano.

Se è così, adesso tocca a noi europei: abbiamo in costruzione, a Torino, la sonda EXOMARS, lei sì capace di trovare la vita su Marte. Una occasione per sfruttare i dati di Curiosity: l’esplorazione vera di Marte è appena cominciata e l’Europa potrebbe arrivare al momento giusto.

L'articolo è tratto dal quotidiano La Repubblica del 7/08/12 e riportato da MediaInaf


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Siamo troppi o troppo pochi? Dalla sovrappopolazione all'Age of Depopulation

persone che attraversano la strada

Rivoluzione verde e miglioramenti nella gestione delle risorse hanno indebolito i timori legati alla sovrappopolazione che si erano diffusi a partire dagli anni '60. Oggi, il problema è opposto e siamo forse entrati nell’“Age of Depopulation,” un nuovo contesto solleva domande sull’impatto ambientale: un numero minore di persone potrebbe ridurre le risorse disponibili per la conservazione della natura e la gestione degli ecosistemi.

Nel 1962, John Calhoun, un giovane biologo statunitense, pubblicò su Scientific American un articolo concernente un suo esperimento. Calhoun aveva constatato che i topi immessi all’interno di un ampio granaio si riproducevano rapidamente ma, giunti a un certo punto, la popolazione si stabilizzava: i topi più anziani morivano perché era loro precluso dai più giovani l’accesso al cibo, mentre la maggior parte dei nuovi nati erano eliminati.