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Il Manifesto della vergogna

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Oggi è raro che qualcuno si dichiari pubblicamente razzista ma l’esistenza di un razzismo latente e diffuso, accompagnato da sottili distinguo e mascherato con giri di parole più o meno eleganti, è una realtà. 
Pochi giorni fa, il vicesegretario dell’ONU Jan Eliasson ha dichiarato: “L’antisemitismo è in preoccupante aumento in Europa” aggiungendo un monito contro l’inasprirsi della "retorica contro l’immigrazione, nonostante i contributi dei migranti alle nostre società”. Giova quindi, in occasione della Giornata della Memoria, riflettere sulle conseguenze del razzismo anche per sviluppare gli anticorpi verso una malattia che, come italiani ed europei, rischia di colpirci ancora. La storia si studia con la ragione, s’interpreta con l’intelligenza e si rivive con il cuore. Proviamoci!

La grande maggior parte dei lettori di questo web journal non ha vissuto direttamente gli eventi che seguirono la pubblicazione, in forma anonima, sul Giornale d’Italia del 14 luglio 1938, dell’articolo intitolato Il Fascismo e i problemi della razza tristemente noto come Manifesto della razza oppure Manifesto degli scienziati razzisti. Chi li ha vissuti da bambino ne conserva, forse, un ricordo sbiadito ma sarebbe egualmente importante avere la sua testimonianza anche in questa sede.  
Parlando di chimici ricordo, con commozione, quella di Paolo Edgardo Todesco, già professore di chimica organica a Bologna e morto nel 2013, il quale non solo li visse ma ne pagò duramente le conseguenze. Poiché fatti del genere non si dimenticano, è facile che i nati nel primo Dopoguerra abbiano ascoltato dai propri cari la rievocazione di episodi connessi alle persecuzioni antiebraiche. Sarò grato per sempre a mia madre che, senza retorica, ma solo con poche e tristi parole, mi raccontava l’odissea di una famiglia ebrea che aiutava nei lavori domestici, la quale fu costretta a scappare di notte dalla propria casa per sfuggire alla persecuzione che si annunciava vicina. Pare ancora di vedere quelle persone braccate e trepidanti, impegnate in una fuga silenziosa verso il confine svizzero, con pochi effetti personali e gli oggetti preziosi con i quali acquistare la salvezza. La fuga notturna di quella famiglia ebrea della Bassa bolognese, comune a chissà quante altre, aveva un precedente di cui ho letto con raccapriccio sui libri di storia e che continua ad interrogare dolorosamente la mia coscienza di cristiano. E’ un avvenimento che anticipa l’Olocausto, scopre le radici dell’antigiudaismo che poi si trasformò in antisemitismo e  suona come condanna inappellabile di qualsiasi forma di fanatismo religioso di ieri e di oggi.  

I fatti risalgono al 1096 e sono legati alla Prima Crociata, indetta da Papa Urbano II alla fine del 1095.  Ascoltiamo Alberto D’Aix (Historia Hierosoymitana, p. 292) il quale riferisce sulle stragi degli ebrei che anticiparono la spedizione verso la Terrasanta:  “…asserendo che questo era il modo giusto di cominciare la spedizione e ciò che i nemici della fede cristiana meritavano. Questa strage di Ebrei cominciò a opera dei cittadini di Colonia che, gettatisi d'un tratto su un piccolo gruppo di essi, ne ferirono moltissimi a morte: poi misero sottosopra case e sinagoghe, dividendosi il bottino. Vista questa crudeltà circa duecento [Ebrei] di notte, in silenzio, fuggirono con delle barche a Neuss; ma i pellegrini e i crociati, imbattutisi in essi, li massacrarono fino all'ultimo e li spogliarono degli averi.

Non c’è molto da aggiungere a questa terrificante cronaca di Alberto D’Aquisgrana (dodici libri, scritta tra il 1125 ed il 1150), contestata in alcuni punti ma non per quanto riguarda la sostanza dei tragici ricordati.
Tornando ad avvenimenti a noi più vicini e all’articolo di giornale che in Italia diede il via all’antisemitismo di Stato, subito ripreso da tutta la stampa nazionale, occorre dire che l’analisi storiografica del Manifesto del razzismo italiano è stata condotta da vari Autori. Esula dagli scopi di questo post approfondire il contributo di ciascuno di essi ma si debbono citare, almeno di corsa: le varie edizioni dei libri di Renzo De Felice, L’ideologia del fascismo di Gregor (1974),  quello di Giorgio Israel e Pietro Nastasi (Scienza e razza nell’Italia fascista, 1998),  gli articoli di Gillette (The origin of the “Manifesto of racial scientist”, 2001 ecc…) e l’ottimo lavoro di Tommaso Dell’Era (“Scienza, politica e propaganda. Il Manifesto del razzismo italiano: storiografia e nuovi documenti”, 1969) reperibile in rete.

Non mancano le divergenze sui nomi, gli autori e i sottoscrittori del Manifesto. L’antropologo Guido Landra (Roma, 1913-1980) che, a parere di molti storici, ne fu il principale estensore, lo chiamerà Manifesto del razzismo italiano. Questo è il nome preferito, in base a considerazioni condivisibili, da Tommaso dell’Era. Ma vediamo cosa c’è scritto nel Manifesto, un documento che all’analisi storica risulta confuso e pasticciato nei suoi contenuti pseudoscientifici ma che ai nostri occhi appare soprattutto delirante.

Si articola in dieci punti, ciascuno accompagnato da una breve spiegazione. Eccoli:
1. Le razze umane esistono.
2. Esistono grandi razze e piccole razze.
3. Il concetto di razza è concetto puramente biologico.
4. La popolazione dell'Italia attuale è nella maggioranza di origine ariana e la sua civiltà ariana.
5. È una leggenda l'apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici.
6. Esiste ormai una pura "razza italiana".
7. È tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti.
8.È necessario fare una netta distinzione fra i mediterranei d'Europa (occidentali) da una parte e gli orientali e gli africani dall'altra.
9. Gli ebrei non appartengono alla razza italiana.
10. I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli italiani non devono essere alterati in nessun modo.

Si è detto che apparve in forma anonima ma l’autore materiale sembra soprattutto il citato Landra il quale lo stese mettendoci del suo ma seguendo, soprattutto, le indicazioni di Mussolini. Questi, secondo la testimonianza di Bottai (6 ottobre 1938) disse: “Sono io, che, praticamente, l’ò dettato”. Dieci giorni dopo la pubblicazione, un comunicato del PNF del 25 luglio 1938, riferì dell’incontro tra il Segretario del Partito e il Ministro della Cultura Popolare da una parte e dieci “scienziati” che avevano redatto e approvato il tutto.

Chi erano i dieci? Eccoli in ordine alfabetico: Lino Businco, Lidio Cipriani, Arturo Donaggio, Leone Franzi, Guido Landra, Nicola Pende, Marcello Ricci, Franco Savorgnan, Sabato Visco ed Edoardo Zavattari. Chiamare “scienziati” la maggior parte di loro è troppo anche se avevano una posizione nell’Università. Erano figure di secondo o anche di terzo piano (sia come assistenti che come ordinari,  ignote ai più.
Le uniche eccezioni erano costituite da Nicola Pende (Direttore dell'Istituto di Patologia Speciale Medica dell'Università di Roma) e Sabato Visco (Direttore dell'Istituto di Fisiologia Generale dell'Università di Roma, Direttore dell'Istituto Nazionale di Biologia presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche). Va doverosamente precisato che i nomi di Pende e Visco comparvero in calce al Manifesto come membri dell’Ufficio Razza, nonostante i due avessero espresso pubblicamente e alla presenza delle Autorità fasciste il loro dissenso.

Intanto la lista dei sottoscrittori si allungò. In rete ce n’è più d’una ma bisogna fare attenzione perché non tutte sono attendibili e qualcuna è stata ufficialmente smentita.
Dopo la pubblicazione del Manifesto iniziò un violenta campagna contro gli ebrei e il 5 agosto partì la pubblicazione de “La difesa della razza”, diretta da Interlandi che già nel 1934 e  nel 1936-37 aveva condotto su “Il Tevere” alcune campagne antisemite.

Razzismo biologistico o spiritualistico? Intorno a questo dilemma fiorirono i contrasti all’interno del regime e più tardi (fino al 1942) il Manifesto subì una revisione. A partire dal mese di settembre 1938 si susseguirono provvedimenti legislativi  razzisti, tristemente noti , oltre a circolari ministeriali e di pubblica sicurezza, che rincaravano la dose. Nonostante il fascismo volesse solo “discriminare” (cioè isolare) e non “perseguitare” gli ebrei (Gran Consiglio del 6 ottobre), sappiamo come finì a Scuola e l’Università furono pesantemente interessate dai provvedimenti).

A conclusione di questo articolo, in cui si è solo sfiorato il tema dei rapporti fra intellettuali e razzismo italiano, restano da capire le ragioni profonde dell’avallo che larga parte di essi diedero alle politiche del Duce. Se ne riparlerà, anche a proposito dei chimici. Purtroppo, rileggendo i discorsi di alcuni professori universitari sostenitori della Dittatura, restano pochi dubbi sul fatto che anche le menti più limpide corrano il rischio di restare obnubilate dalla retorica del potere.

Per saperne di più:
G. Israel, Pietro Nastasi, Scienza e razza nell’Italia fascista, Il Mulino, Bologna, 1998, pp. 210 e segg
http://www.osservatorioantisemitismo.it/articoli/secondo-jan-eliasson-vice-segretario-generale-dell-onu-lantisemitismo-e-in-preoccupante-aumento-in-europa/
http://rm.univr.it/didattica/strumenti/cardini/testi/03.htm
file:///C:/Users/Marco/Desktop/Le%20leggi%20razziali%20-%20Manifesto%20degli%20scienziati%20razzisti.html
http://eprints.sifp.it/25/2/Dell%27Era_Manifesto.pdf

 

Articolo pubblicato su Il blog della SCI

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