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Marte, sfida anche psicologica

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Gli astronauti Kate Rubins (a sinistra) e Jeff Williams (a destra) osservano dalla cupola della Stazione spaziale l’arrivo di una navetta SpaceX Dragon con i rifornimenti. Sullo sfondo si nota la rassicurante immagine della Terra, un elemento che contribuisce a rendere meno pesante (e stressante) la lontananza da casa imposta dalle lunghe missioni sulla ISS. Elemento sul quale gli equipaggi in rotta verso Marte non potranno certo contare. Credits: NASA.

Tempo di lettura: 9 mins

Ulteriore campanello d’allarme per le future missioni verso il Pianeta rosso. Oltre alle ben note problematiche tecnologiche e ai rischi per la salute degli astronauti si dovranno mettere in conto anche i problemi di natura psicologica e le difficoltà connesse a un proficuo lavoro di gruppo.

A fare il punto su questo importante aspetto della sfida marziana ci ha pensato un dettagliato studio apparso sull’ultimo numero della rivista American Psychologist interamente dedicato agli aspetti scientifici del lavorare in team.

Non solo tecnologia

Dovendo esaminare lo scenario di una missione umana verso il Pianeta rosso è scontato che il punto di partenza dovrà essere l’analisi delle problematiche tecnologiche. Una nota dolente, purtroppo. Per quanto affascinanti, infatti, gli attuali progetti di missioni con destinazione Marte devono ancora risolvere il problema concreto di quale capsula si potrebbe impiegare e del vettore in grado di condurla a destinazione. Problemi cruciali, le cui soluzioni sono senza dubbio alla portata della nostra tecnologia. Peccato che, allo stato attuale, le risposte siano ancora insufficienti. Ancora troppo vago, infatti, il progetto del BFR, il potente razzo su cui punta Elon Musk e ancora lontani dalla meta i notevoli sforzi che la NASA sta compiendo per approdare a una nuova capsula per equipaggio e a un nuovo vettore. Impossibile pronunciarsi, infine, su quanto stia facendo l’Agenzia spaziale cinese: magari prenderà tutti in contropiede.

È comunque assodato che, nel nostro scenario di conquista di Marte, i problemi da affrontare non sono solamente quelli di natura tecnologica. La presenza di un equipaggio impone di mettere in conto e riuscire a mitigare i possibili rischi per la salute degli astronauti. Tempo fa, su Scienza in rete si è sottolineata la pericolosità delle radiazioni che permeano lo spazio, un rischio che, considerando una missione marziana, viene enormemente amplificato dalla lunghezza del viaggio. In questo caso, fortunatamente, proprio la tecnologia potrà offrire rimedi adeguati realizzando efficaci e affidabili schermature a protezione degli astronauti.

Almeno per il momento, però, la tecnologia può fare ben poco per impedire o minimizzare i numerosi altri problemi che affliggono l’organismo umano quando è nello spazio. Fin dai primi voli nello spazio sono stati riconosciuti i rischi che corrono gli apparati muscolare e scheletrico degli astronauti a causa della situazione di microgravità. Ben noto e studiato fin dalle prime missioni spaziali è, per esempio, l’aumento di calcio nelle urine degli astronauti riconducibile alla perdita di massa ossea, una situazione che porta inevitabilmente con sé il rischio di osteoporosi. Altrettanto conosciuti (e tenuti sotto stretta osservazione) sono i malanni dell’apparato muscolare. Non solo la sollecitazione meno intensa induce i muscoli ad atrofizzarsi, ma si è anche notato l’insorgere di alterazioni nella stessa composizione delle fibre muscolari. Poiché anche il cuore è un muscolo, è opportuno sottolineare quanto il rischio di atrofia possa assumere toni davvero molto preoccupanti.

Un’altra anomalia che si dovrà tenere sotto controllo - anch’essa innescata dalla situazione di microgravità - è l’innalzamento della temperatura dell’organismo degli astronauti, una vera e propria febbre da spazio che rischia di debilitarne il fisico. Non meno gravi, infine, sono i problemi per la vista. Il deficit visivo riscontrato più frequentemente è il VIIP, vale a dire la perdita di capacità visiva causata dalla pressione intracranica, una sindrome rilevata in quasi due terzi degli astronauti che hanno partecipato a missioni di lunga durata sulla ISS.

Una situazione tutt’altro che priva di rischi, insomma, quella che oggi devono affrontare gli astronauti nelle loro missioni. È pur vero che, una volta terminata la missione e rientrati a Terra, gli astronauti si riprendono rapidamente e quasi completamente da queste problematiche, ma è altrettanto vero che i tempi di una missione verso Marte sono di gran lunga più dilatati e che, una volta giunti a destinazione, l’operatività degli astronauti dovrà essere immediatamente al top senza poter disporre di adeguati tempi di recupero.

Aspetti psicologici

Certamente non meno importanti dei problemi fisiologici, però, sono i problemi psicologici individuali e le dinamiche di gruppo che si attivano in un ambiente tutt’altro che ospitale qual è quello che caratterizza una missione spaziale. Problematiche spesso sottovalutate, la cui importanza è stata ribadita in uno studio pubblicato a fine maggio nel numero speciale di American Psychologist interamente dedicato alla scienza del lavoro di squadra.

A suggerire una dettagliata analisi delle problematiche psicologiche che caratterizzano lunghe missioni spaziali ci pensano tre ricercatrici: Lauren Blackwell Landon e Kelley J. Slack, psicologhe ed esperte di analisi comportamentale per la NASA, e Jamie D. Barrett, psicologa dei fattori umani presso l’ufficio di medicina aerospaziale della Federal Aviation Administration. Benché il loro studio - "Teamwork and collaboration in long-duration space mission: going to extremes" - sia soprattutto indirizzato all’analisi delle problematiche riguardanti la collaborazione e il lavoro di gruppo, possiamo trovarvi anche interessanti considerazioni riguardo alle difficoltà psicologiche per gli astronauti in missione verso Marte.

Il semplice confronto tra le attuali missioni sulla Stazione spaziale, quelle in orbita cislunare ipotizzate per il prossimo futuro dalla NASA e le missioni verso Marte già permette di mettere in luce alcuni fattori che potranno incidere sulla psicologia degli astronauti. È immediato notare che, per quanto impegnative anche dal punto di vista psicologico, le missioni sulla Stazione spaziale possano comunque contare su importanti elementi che contribuiscono a disinnescare le situazioni di stress.

La tabella, contenuta nello studio citato, confronta le caratteristiche salienti di tre differenti tipologie di missione spaziale. Alcune differenze tra le missioni sulla ISS (o le missioni cislunari) e quelle verso Marte meritano particolare attenzione per le inevitabili ricadute psicologiche. Le più evidenti sono, ovviamente, la durata della missione e lo spazio a disposizione dell’equipaggio, ma altrettanto critiche potrebbero rivelarsi il poter contare o meno su missioni di soccorso, l’enorme grado di autonomia richiesto all’equipaggio e il ritardo nelle comunicazioni.

Il solo fatto di poter godere della rassicurante vista della Terra, per esempio, rende più sopportabile il periodo di isolamento da trascorrere sulla ISS o anche una situazione più impegnativa qual è quella di una missione cislunare. Ben differente la situazione per un equipaggio diretto verso Marte. La consapevolezza di quanto lontana sia la Terra e di quanto lungo sia il viaggio per ritornarvi viene ancor più evidenziata e tenuta costantemente in primo piano proprio dall’impossibilità concreta di osservare in modo adeguato il nostro pianeta.

La possibilità che gli astronauti sulla ISS hanno di interagire in ogni momento e in tempo reale con il personale di supporto a Terra per esigenze di qualsiasi natura, inoltre, permette di intervenire e rimuovere rapidamente le difficoltà che, a lungo andare, potrebbero minare il loro benessere psicologico. Anche il poter comunicare in modo adeguato con i propri cari contribuisce non poco a stemperare lo stress e a ricaricare moralmente gli astronauti. Da comprendere e valutare a fondo, invece, le numerose problematiche innescate dal ritardo nella comunicazione che, inevitabilmente, affligge le missioni nello spazio più profondo. Se pensiamo che per completare un banalissimo scambio di battute tra un equipaggio dalle parti di Marte e il Controllo missione potrebbero essere necessari anche quaranta minuti, appare evidente come ci troviamo in presenza di una situazione comunicativa insostenibile per i nostri abituali standard e, dunque, inevitabile fonte di stress.

Fondamentale, infine, la tranquillità che deriva dalla consapevolezza di poter disporre di un sistema rapido ed efficace di evacuazione della Stazione spaziale, in grado di riportare l’equipaggio sulla Terra in poche ore. Come pure la consapevolezza che, in caso di problemi ancora più gravi, sia sempre percorribile - pur non nell’immediatezza, ma comunque in tempi accettabili - la strada di una missione di soccorso. Sicurezze sulle quali non può affatto fare affidamento un team in missione verso Marte. Proprio a questo proposito, nello studio non si manca di sottolineare come nelle simulazioni di missioni spaziali di lunga durata sia certamente possibile valutare le risposte psicologiche e comportamentali degli individui e dei team coinvolti, ma manchi quel fattore cruciale che è la percezione del grado di reale pericolo.

Lavorare in team

Se i problemi psicologici individuali appaiono tutt’altro che secondari, dallo studio pubblicato su American Psychologist emerge che ancora più cruciali potrebbero rivelarsi le problematiche che coinvolgono il lavoro di squadra, elemento chiave per la riuscita della missione. Lo scenario di una missione per Marte costituisce una straordinaria e complicatissima sfida per quegli equipaggi: non solo gli astronauti dovranno convivere per lunghissimo tempo in spazi angusti viaggiando in un ambiente incredibilmente ostile qual è lo spazio, ma dovranno poter sempre contare sulla massima efficacia del lavoro di squadra, su corrette dinamiche di gruppo e su ben rodati protocolli di comunicazione.

Proprio il ritardo nella comunicazione cui già si è accennato potrebbe giocare un peso notevole nel deterioramento delle dinamiche del team. Una ricerca condotta su astronauti della ISS per valutare le conseguenze di un ritardo di 50 secondi nel flusso normale delle comunicazioni ha registrato un aumento del livello di stress e di frustrazione e un deterioramento della qualità delle comunicazioni. Gli stessi astronauti riportano che i ritardi nelle comunicazioni con il Controllo missione hanno un effetto negativo sulla loro efficienza nel portare a termine i compiti assegnati.

I rischi connessi con questa inevitabile anomalia comunicativa sono attentamente tenuti sotto osservazione dalla NASA anche attraverso simulazioni di missioni a lunga durata. Un deterioramento nella qualità della comunicazione tra il team in missione e quello a Terra potrebbe infatti sfociare in deleterie situazioni di conflitto e in aperto malumore nei confronti del Controllo missione, come ha messo in luce uno studio pubblicato nel 2012 riguardante la simulazione Mars 500.

Una diretta conseguenza di questo anomalo flusso comunicativo è la necessità di potenziare il livello di autonomia dell’equipaggio, soprattutto durante gli eventi nei quali risulti critico il fattore tempo. A fronte di situazioni impreviste, infatti, gli astronauti non potranno contare sulla consulenza immediata del team a Terra, ma dovranno unicamente fare affidamento su quanto appreso nel corso dell’addestramento. Notevole il rischio che in queste situazioni estreme il normale confronto che dovrebbe portare a operare le scelte migliori possa invece condurre a situazioni di ansia e stress negli astronauti e a situazioni conflittuali sia all’interno del team in missione che con i team a Terra. Assolutamente necessario, dunque, prevedere strategie e protocolli affidabili per ridurre le incomprensioni e gestire i possibili conflitti. Altrettanto indispensabile, poi, che a questi aspetti venga data la massima attenzione molto tempo prima che il team sia sulla rampa di lancio: la capacità di risolvere i conflitti e di giungere a decisioni condivise non è un obiettivo semplice da raggiungere all’interno di un team.

Nello studio pubblicato su American Psychologist, infine, le ricercatrici non mancano di ribadire la necessità, nella scelta della composizione degli equipaggi per missioni di lunga durata, di valutare ancora più in profondità la capacità dei candidati di lavorare in team. Un aspetto che, storicamente, la NASA lasciava in secondo piano, più attenta a valutare l'idoneità del candidato a svolgere i compiti impegnativi e complessi richiesti a un astronauta.

Se il lavoro di squadra e la collaborazione sono componenti essenziali in tutti i voli spaziali, ancora di più lo saranno nei viaggi di lunga durata. Il successo di un viaggio verso Marte, insomma, passa anche attraverso il proficuo e stabile affiatamento di un team.

 

 


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