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Matite, navi e Nobel: come il grafene riscatterà l’Europa

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Cosa c'è di più semplice di una matita? Quali oscuri segreti potranno mai nascondersi nella traccia che lascia dopo il suo passaggio? Perché mettersi a studiare la grafite, il cuore della matita? Perché uno scienziato che si occupa di fisica della materia dovrebbe perdere tempo con qualcosa di così comune e ordinario? Eppure la fisica si sta interessando alle matite. C’è qualcuno che, armato di grafite e nastro adesivo, cerca di scovare nuovi materiali, di capire come ricavare da una matita qualcosa che può finire nello schermo di uno smartphone. Disegnare con le dita sullo schermo di un tablet avrà il sapore di antico della matita che scorre sul foglio.

Il materiale di cui stiamo parlando si chiama grafene e alla fine del mese di gennaio l’Unione europea ha deciso di investire un miliardo di euro nel progetto Graphene flagship, che riunisce 126 gruppi di ricerca accademici e industriali provenienti da 17 nazioni europee. L’Ue ha scommesso sul materiale più sottile del mondo. Nel comunicato stampa si legge che l’ha fatto perché vuole portare il grafene “dai laboratori accademici alla società, rivoluzionare molte industrie e creare crescita economica e nuovi posti di lavoro in Europa.”

L’ottica con cui l’Unione europea si è lanciata nella ricerca sul grafene è ben riassunta dalle parole di Tapani Ryhänen, direttore di uno dei laboratori del Nokia Research Center a Cambridge, di proprietà della grande industria finlandese che esporta telefoni cellulari in mezzo mondo, anch’essa nella Graphene flagship: “Adesso abbiamo tutto ciò che serve per avere successo a livello mondiale.”

La vicepresidentessa dell’Unione europea, Neelie Kroes, scrive sul suo blog: “In futuro forse avremo la “Graphene Valley”, al posto della Silicon Valley: e forse sarà proprio qui in Europa.”

Che il materiale dei record possa far diventare l’Europa la regione del mondo a più alta intensità di ricerca e sviluppo? Forse è il grafene stesso che può rispondere a questa domanda.

Grafene: semplicità e meraviglia

La traccia di una matita è la cosa più simile al grafene che possiamo trovare, senza scomodare i fisici.

Il grafene è un foglio sottilissimo - il più sottile che esista a dir la verità - di atomi di carbonio: ha lo spessore di un singolo atomo. È uno strato di grafite. Infatti, uno dei metodi per ottenere il grafene parte proprio dalle matite.

Su Internet si trovano kit che forniscono tutto l’occorrente per fare il grafene: gli strumenti principali sono grafite e scotch. Si prende un cubetto di grafite e si applica una striscia di scotch da una parte del dado e una dall’altra. Tirando i due lembi di nastro adesivo, si otterranno due pezzetti di grafite più piccoli. Ripetendo quest’operazione per una ventina di volte, si dovrebbe ottenere qualcosa di molto simile al grafene.

Ovviamente i ricercatori della Graphene flagship non si armano di nastro adesivo e matite per fare il grafene. Tuttavia, questa tecnica di produzione può rendere l’idea di quanto questo materiale sia semplice, nonostante le sue caratteristiche uniche. “Il grafene è un materiale incredibile per un futuro credibile”, con le parole di Giovanni Bruno, uno dei membri italiani della flagship. È un ricercatore, un chimico che lavora per il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr). Nel suo laboratorio di Bari, il grafene lo maneggia tutti i giorni. “È incredibile pensare di manipolare una molecola con le pinzette.” Infatti, una delle caratteristiche che rende il grafene un materiale unico è il fatto di essere “la molecola enorme”: un foglio costituito da un numero variabile di atomi di carbonio forma un’unica molecola.

“È un materiale con proprietà uniche, economico e che, se usato con prontezza, permetterebbe di rilanciare le possibilità tecnologiche dell'Italia nella produzione e sviluppo di dispositivi per l’Ict (Information and Communications Technology, ndr).” Così definisce il grafene David Vitali, fisico della materia dell’Università di Camerino. È professore associato e membro della Graphene flagship, che vede come “un’opportunità unica per rilanciare e riaffermare la premiership non solo scientifica ma anche tecnologica dell’Europa nei confronti delle nazioni asiatiche e degli Usa.”

Le potenzialità di riscatto che il grafene può dare all’Europa sono tutte nascoste nei suoi primati.

Il materiale dei record

Il grafene è il materiale più sottile del mondo. È bidimensionale. È come un foglio di carta con uno spessore talmente piccolo da poter essere considerato nullo. È la rappresentazione più realistica possibile di quello che in geometria si chiama “piano”. Ha lo spessore dei triangoli che riempivano i nostri quadernoni a quadretti, quando andavamo a scuola. Oggi possiamo dire che il tratto con cui disegnavamo quelle figure geometriche, le avrebbe potute rappresentare con buona approssimazione anche fuori dalla pagina del quaderno.

Oltre a questo, il grafene ha moltissime altre qualità che lo rendono il materiale dei record. Per esempio, è impermeabile al 100%: l’atomo di elio è il più piccolo e nemmeno questo riesce a penetrare in un foglio di grafene. Nonostante la sua sottigliezza, inoltre, è notevolmente più resistente dell’acciaio. Inoltre, è estremamente duttile: è il materiale più elastico e piegabile che si conosca. Infine, vanta la più alta conducibilità termica e la più alta densità di corrente sostenuta.

Ai record del “tappeto magico”, ne va aggiunto un altro. Uno dei due fisici che lo ha studiato per la prima volta, Andre Geim, detiene anche un record personale: è l’unico ad aver vinto il premio Nobel nel 2010 e l’Ig Nobel nel 2000, nato per celebrare l’inusuale. O, come recita il suo sito web, “il Premio Ig Nobel onora le conquiste che prima fanno ridere la gente, poi la fanno pensare.” Le motivazioni erano diverse: il Nobel gli è stato assegnato per le sue “rivoluzionarie” ricerche sul grafene, assieme a Konstantin Novoselov, mentre l’Ig Nobel l’ha ricevuto insieme al fisico e matematico britannico Michael Berry, per la loro rana volante. Geim e Berry facevano ricerche sulla levitazione magnetica.

Rane a parte, la carriera di Andre Geim ha fatto il salto di qualità circa una decina di anni fa, grazie alla “molecola enorme”.

Le origini (non tanto lontane) del grafene

Il grafene è apparso per la prima volta fra le pagine di una rivista scientifica nel 2004, anno in cui è stato pubblicato il primo studio su Science. I due autori principali del paper scientifico sono i premi Nobel Andre Geim e Konstantin Novoselov. La loro storia inizia alla Radboud Universiteit Nijmegen, l’Università della città di Nimega, nei Paesi Bassi.

Il professor Geim è supervisore dello studente Novoselov, allora impegnato in un dottorato di ricerca. Quando il suo mentore parte alla volta della prestigiosa Università di Manchester, Novoselov lo segue a ruota. Geim e il suo pupillo Novoselov hanno fatto carriera nel Regno Unito: ora sono entrambi professori dell’Università di Manchester, fra le altre cose.
I due fisici hanno anche un altro paio di cose in comune: sono nati in Russia e hanno studiato all’Istituto di Fisica e Tecnologia di Mosca. Tuttavia, Geim è naturalizzato olandese, mentre Novoselov ha preso la cittadinanza britannica. La grande tradizione della scuola dei fisici russi ha subìto un duro colpo con questa doppietta.

Allargando per un momento lo sguardo, passando dalla Russia all’Europa, Geim e Novoselov, con la scoperta del grafene prima e il premio Nobel poi, hanno regalato al loro continente un’opportunità straordinaria. Secondo il fisico Luca Ottaviano, ricercatore all’Università de L’Aquila, nonché membro della Graphene flagship, “la ricerca sul grafene è globale e caratterizzata da una competizione veloce e feroce. Per esempio, la Corea del Sud (nazione in cui ha sede la Samsung, azienda che esporta in tutto il mondo telefoni cellulari e altri dispositivi elettronici, ndr) è già in posizioni di leadership (difficilmente scalzabili) sull’uso di questo materiale nei flat panel display (i dispositivi a schermo piatto, ndr). La Graphene flagship è per l’Europa l’occasione di far sì che, come spesso invece non accade, una scoperta scientifica europea porti a ricchezza e benessere in Europa e non in altre parti del mondo.”

La Graphene flagship 

“Grafene, il futuro nella traccia di una matita”: questa l’idea centrale della prima presentazione della Graphene flagship. Il suo direttore, Jari Kinaret (qui l'intervista), della Chalmers, l’Università di Tecnologia di Goteborg, in Svezia, l’ha definito così alla conferenza pilota del progetto Fet flagship, che si è tenuta all’inizio del mese di luglio 2012. Sono stati presentati sei progetti. Due di questi hanno ricevuto il finanziamento dell’Unione europea, in quanto sono stati riconosciuti come “Future and emerging technology” (Fet). Nella Graphene flagship e nello Human Brain Project, che vuole ricreare un modello digitale del cervello umano, sono state viste le potenzialità per sviluppare “tecnologie di nuova generazione”.

Il grafene è un materiale che si presta a essere usato in molti settori. “Le applicazioni sono potenzialmente universali come quelle di altri disruptive materials (materiali la cui scoperta ha rivoluzionato uno o più ambiti della società, ndr) del passato come plastica o silicio.” secondo Luca Ottaviano, fisico membro della flagship, che fa ricerca all’Università de L’Aquila.
La flagship ha intenzione di concentrarsi solo su alcune applicazioni del grafene, come la comunicazione e il settore delle applicazioni nei campi della tecnologia dell’energia e dei sensori. “Non vogliamo competere con la Corea (la Samsung, ndr) sugli schermi di grafene.” afferma il direttore della flagship, Kinaret.

Il consorzio dei principali attori che fanno parte della Graphene flagship comprende la Chalmers - l’Università di Tecnologia - svedese, che coordina il progetto, l’Università di Manchester, l’Università di Lancaster, l’Università di Cambridge, l’Amo Gmbh - un’impresa che conta appena 40 dipendenti ed è specializzata nella ricerca applicata e nello sviluppo per le nanotecnologie - tedesca, l’Istituto catalano per le nanotecnologie, la finlandese Nokia, la Fondazione Europea per la Scienza e il nostro Cnr, il Consiglio Nazionale per le Ricerche.

Giuliano Giambastiani, ricercatore dell’Istituto di chimica dei composti organometallici di Firenze, vede nella Graphene flagship un’opportunità di rilancio per il nostro Paese: “La flagship può senz’altro rafforzare la nostra presenza (come ricercatori italiani) sul piano europeo e più in generale internazionale aprendo a nuove opportunità (anche di finanziamento) per la nostra ricerca italiana.”

Volendo scendere ancora di scala, il fisico Luca Valentini - ricercatore universitario della facoltà di Ingegneria di Perugia - evidenzia i benefici che la flagship può portare a ogni singolo scienziato che ne fa parte. “Può promuovere la mobilità fra i ricercatori. È un punto fondamentale per ogni scienziato poter collaborare con altri gruppi di ricerca e passare periodi all’estero per integrarsi con altre realtà: questo vale per la ricerca in generale. Il budget così elevato (il miliardo di euro messo a disposizione dall’Unione europea, ndr) consentirà di mettere a sistema i ricercatori di tutta Europa e creare centri di eccellenza e incentivare la ricerca europea sui nano materiali.”

Riassumendo, la Graphene flagship porta vantaggi al mondo della ricerca a tutti i livelli. Nel gioco mondiale degli equilibri, favorisce la leadership scientifica dell’Europa. A livello nazionale, può aiutare i ricercatori italiani coinvolti nel ridare lustro alla nostra nazione, in cui i fondi per la ricerca scarseggiano. Considerando il singolo scienziato, infine, la flagship lo può aiutare nel migliorare la sua preparazione professionale, grazie agli arricchimenti che derivano dal contatto con altre realtà di ricerca.

Lasciando per un momento da parte il mondo della ricerca, si deve anche considerare che la Graphene flagship favorisce lo sviluppo delle industrie. Per non trascurare questo aspetto, la squadra che dirige la flagship è affiancata da un Consiglio consultivo strategico, presieduto dal premio Nobel Andre Geim. I membri di questo organo provengono dal mondo della ricerca accademica ma anche da quello dell’industria. Ci sono rappresentanti di industrie del calibro di Nokia e Airbus.

Un ponte fra ricerca e industria

La Graphene flagship, quindi, riunisce numerosi gruppi di ricerca europei che studiano le proprietà grafene e aziende che sono interessate ai suoi usi commerciali, come la già menzionata Nokia e l’italo-francese STMicroelectronics, che produce componenti elettronici. Uno degli obiettivi del progetto, infatti, è quello di riunire nella stessa squadra istituti di ricerca e aziende.
La ricerca europea, prima della creazione della Graphene flagship, era carente nel creare collegamenti con le industrie, che possono sfruttare ciò che viene scoperto nei laboratori.

Tapani Ryhänen, del Nokia Research Center di Cambridge, crede molto nelle potenzialità della flagship: “Siamo convinti che i nuovi materiali bidimensionali avranno un impatto sul processo produttivo delle industrie in molti modi, creando opportunità per nuovi prodotti, servizi e crescita economica.”

Filippo Giannazzo studia il grafene da oltre sei anni all’Istituto per la Microelettronica e Microsistemi (Imm) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) di Catania. “Il nostro istituto rappresenta, nel panorama italiano, un modello collaudato e virtuoso di come la ricerca di base sui nuovi materiali per l’elettronica possa tradursi in importanti ricadute industriali ed economiche, attraverso una sinergica collaborazione con una grande industria come STMicrolelectronics. Pertanto, nell’ambito della flagship, il nostro gruppo di ricerca si candida a dare un contributo di esperienza su come traghettare il grafene da «materiale di laboratorio» a «materiale per l’industria».”

Non solo brevetti

“L’Europa ha detenuto e detiene tuttora - continua Giannazzo - un ruolo di primo piano nella ricerca scientifica di base sul grafene e i nuovi materiali bidimensionali derivati dal grafene o simili. Tuttavia è molto indietro rispetto all’Asia (Corea, Singapore, Giappone,...) e agli Stati Uniti per quanto riguarda gli studi finalizzati alle applicazioni industriali. Ciò è anche legato ad un problema strutturale del sistema della ricerca in Europa, cioè i pochi collegamenti fra la ricerca, svolta principalmente in ambito accademico, e le realtà industriali.” L’arretratezza a cui si riferisce il ricercatore catanese riguarda i brevetti. La coreana Samsung (video) ha già depositato oltre 400 brevetti sull’uso del grafene per i dispositivi a schermo piatto - espressione mai tanto appropriata, come quando si parla di grafene.

In realtà, altre aziende stanno già immettendo sul mercato prodotti a base di grafene. La multinazionale Head, che produce equipaggiamento sportivo, ha già sviluppato una racchetta da tennis contente grafene: la HEAD YouTek™ Graphene™ Speed. In Italia, la start up Graphos ha sviluppato diversi prodotti a base di grafene, fra cui un inchiostro. Il Graphos G-Ink è un additivo che può essere inserito nella cartuccia di una comune stampante a getto di inchiostro. Visto che il grafene è un ottimo conduttore di elettricità, anche ciò che viene stampato con il Graphos G-Ink ha questa proprietà: conduce elettricità (video).

Matite sulle navi di Colombo

Lo spirito con cui l’Unione europea ha finanziato la Graphene flagship si riflette nell’entusiasmo dei ricercatori, che ogni giorno maneggiano il grafene nei laboratori di tutta Europa. Citando le parole del fisico Luca Ottaviano, ricercatore presso l’Università de L’Aquila: “Per me è come far parte della ciurma di Colombo nel 1492. Finalmente si parte. La flagship, la nave ammiraglia, la Santa Maria ci porterà a scoprire nuovi e inaspettati mondi.”

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