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La negazione della pericolosità dell'epidemia da SARS-CoV-2, il convincimento del suo utilizzo al fine di controllare i cittadini e il conseguente rifiuto del vaccino, sono stati oggetto, fin dal loro primo manifestarsi, di analisi psicologiche e psicoanalitiche, già riportate su queste pagine.
Il logorarsi del contratto sociale
Il dilagare del fenomeno ha poi messo in campo altre competenze, intese a valutarne la portata e il significato: secondo l’antropologa americana Heidi Larson, che nel 2010 ha fondato, alla London School of Hygiene & Tropical Medicine, il Vaccine Confidence Project, un gruppo di ricerca interdisciplinare in risposta all'esitazione e alla disinformazione sui programmi di vaccinazione, è stata data troppo per scontata la solidità del "contratto sociale" tra le persone, su cui è in larga parte fondato il successo dei piani vaccinali. Oggi, tale contratto di solidarietà è logorato sui diversi fronti dell'anti-globalizzazione, del nazionalismo e del populismo e, anche se la maggioranza delle persone concorda sull'assunto che in tempo di pandemia la salute vada tutelata nella duplice dimensione di “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” (in Italia sanciti dall'art. 32 della Costituzione), l'esperimento di cooperazione sociale costituito dalla vaccinazione rischia il fallimento, perché una minoranza è impermeabile alla comunicazione basata sui fatti.
Come rileva Larson, che lavora da oltre vent’anni con UNICEF sui programmi di vaccinazione, i dati che dimostrano il valore e l’efficacia dell'immunizzazione e che agli scienziati sembrano inconfutabili, agli occhi dei detrattori dei vaccini sono eclissati dall'opacità della documentazione delle case produttrici; alle prove scientifiche dei benefici, essi oppongono, alla pari o addirittura con prevalenza di queste ultime, quelle di effetti avversi. I dati statistici non vengono rifiutati perché sono considerati sbagliati, ma perché sono ritenuti irrilevanti e soccombono sotto il peso delle storie personali e dell'aneddotica.
Qualche autore, una volta analizzate tutte le possibili espressioni e motivazione del rifiuto vaccinale, ha proposto, dalle autorevoli pagine del New England Journal of Medicine, una contro-strategia basata su una persuasione emozionale più che scientifica. L'antidoto non convince del tutto (similia similibus curantur?) chi crede che occorra, invece, insistere nel divulgare la fiducia nel metodo scientifico, inteso come sviluppo del senso critico nell'analisi delle informazioni che circolano sui media e sui social. Dopo aver impegnato nella sua decifrazione psicologi, psicanalisti, antropologi e storici della medicina (ha visto la luce in contemporanea al primo vaccino di Jenner) il fenomeno no vax è, infine, passato al vaglio dei sociologi, dato che, nella sua evoluzione, ha ormai perso i connotati di esitazione per sfiducia individuale e ha assunto quelli di rivolta di piazza contro il complotto della narrazione mainstream: la resistenza alla vaccinazione anti Covid-19, anche se rappresentata da un pugno di individui, in molte parti d'Europa ha tenuto in scacco la risposta delle comunità al virus, l'economia cittadina e il buon funzionamento degli ospedali, tanto da indurre vari governi (Francia, Austria, Germania e la stessa Italia) a misure punitive nei confronti di chi rifiuta l'esibizione di un documento che attesti l’avvenuta immunizzazione.
Una spiegazione (geo)politica
È interessante la spiegazione sociologica riportata pochi giorni fa sul New York Times da Katrin Bennhold, perché chiama in causa la geografia politica: pur presente ovunque in Europa, l'ostinazione no vax è più marcata nei paesi orientali e in quelli dove si parla tedesco. La Germania, l'Austria e i cantoni germanofoni della Svizzera hanno i tassi più alti di non vaccinati di tutta l'Europa occidentale, pari a circa una persona sopra i 12 anni su quattro, contro una su dieci in Francia e praticamente nessuna in Portogallo. Mentre nei paesi dell'Europa orientale l'opposizione al vaccino si nutre soprattutto dell'insicurezza economica e lavorativa, già emersa dal rapporto 1560 del CEP (Centre for Economic Performance) della London School of Economics del 2019, sul territorio tedesco il movimento no vax è più presente nelle zone e nelle fasce di popolazione in cui è forte la propensione all'omeopatia e alla medicina naturale.
Secondo Pia Lamberty del CeMAS (Center für Monitoring, Analyse und Strategie) di Berlino, che studia i canali della disinformazione e le teorie cospirative, in entrambi i casi l'antivaccinismo si configura sempre più come la coda (avvelenata) dei populismi che hanno imperversato nel continente nella passata decade, perché l'ecosistema di estrema destra che alligna in queste regioni ha saputo sfruttare i fattori d'insofferenza sia per la scienza ufficiale sia per le imposizioni delle capitali, comportandosi da cheerleader, la figura che, nello sport americano, non partecipa alla partita ma guida il clamore della tifoseria. Proprio com'è successo negli Stati Uniti, in alcune parti d'Europa più che in altre, vaccinarsi o meno non è più una scelta sanitaria, ma è diventato una bandiera identitaria politica.
Non sfugge alla regola l'Italia, dove la provincia con i tassi più bassi di vaccinati è quella di Bolzano, nella quale il 70% degli abitanti parla tedesco e che ha frequenti scambi con l'Austria e in cui è anche rilevante l'inclinazione culturale per l'omeopatia e le cure naturali, complici l'"aria buona" e le erbe alpine. Vanta il rifiuto alle imposizioni di Roma l'avvocatessa Renate Holzeisen, in prima fila nella rivolta sudtirolese contro l'immunizzazione, che segue i ricorsi di insegnanti e medici a rischio sospensione perché si sottraggono alla vaccinazione: sfiorano quota seicento i sanitari e cinquemila i dipendenti scolastici non immunizzati, con una grande differenza tra la scuola di lingua italiana e quella di lingua tedesca. Nella prima, i no Green Pass non arrivano al 3%, mentre nella seconda superano il 25% e getta allarme la decisione di oltre 600 famiglie di ritirare i figli dalle scuole pubbliche per dare loro un'istruzione privata in sale dove non c'è obbligo di mascherina né di distanziamento. Cavalca quest'onda di ribellione il separatismo di estrema destra: il "no vax" s'identifica con "Loss von Rom".
I rischi della Schadenfreude
D'altronde, come rievoca lo storico Giorgio Delle Donne in un'intervista su Repubblica, le posizioni sudtirolesi hanno radici profonde: oltre due secoli fa, Andreas Hofer, capo degli asburgici insorti contro l'invasione napoleonica, accusava il vaccino contro il vaiolo di essere un modo per avvelenare i resistenti. Per destre e militanti dell'autodeterminazione- rileva Delle Donne- Europa e Big Pharma sono gli invasori dell'era Covid. È notizia recente, denunciata dal vice coordinatore dell'Unità anti Covid-19 di Bolzano Patrick Franzoni, che, pur di non vaccinarsi, per ottenere il Green Pass molti giovani e ragazzini altoatesini (sudtirolesi) s'incontrano con soggetti positivi per acquisire l'immunità infettandosi. L'Agenzia ANSA regionale riferisce che questo (pericoloso) stratagemma è arrivato proprio dall'Austria, dalla quale si spera non sconfini anche l'altra pratica lì attualmente in voga, di assumere, dopo questi virus-party, l'ivermectina veterinaria, destinata ai cavalli, ma indicata dal leader dell'ultradestra Fpoe Herbert Kickl, come farmaco di scelta contro Covid-19.
Il variamente motivato solco che separa i due partiti pro e contro la vaccinazione anti Covid-19 si è fatto, innegabilmente, molto profondo, tanto che il bioeticista Sandro Spinsanti ha definito l'era Covid come la morte della civiltà della conversazione; tuttavia, almeno chi opera nelle professioni sanitarie deve tenere ben salda la barra del timone deontologico, lasciando il quale si smarrisce la rotta. Spinsanti mette in guardia chiunque, ma soprattutto i medici e gli infermieri, anche se comprensibilmente esausti per il difficile (e vano) confronto con i nemici giurati della "dittatura sanitaria", dal cedere alla Schadenfreude. Questo sentimento, che ha un'esplicitazione verbale solo in tedesco ma che chiunque, seppur con vergogna, riconosce per averlo albergato almeno una volta, è la gioia (Freude) per l'altrui danno (Schaden). Nell’ambito delle divergenze sulla vaccinazione, è il piacere di vedere che chi il proprio male se lo è andato a cercare, l'ha trovato.
Se non si nega ogni diritto di cittadinanza alla Schadenfreude, anche nella forma più blanda (la soddisfazione di aver avuto ragione), il coronavirus rischia di distruggere non solo l’apparato respiratorio, ma anche il sistema di valori che fa da connettivo alla vita sociale e, in campo sanitario, di compromettere la professionalità di chi eroga le cure. "Nel rapporto terapeutico - ammonisce Spinsanti - il ruolo sociale e la stessa qualità morale della persona che riceve le cure vanno messi sistematicamente tra parentesi: il cittadino importante come quello insignificante, la persona buona come quella spregevole, quella grata come quella egoista, hanno ugualmente diritto alle cure appropriate".