La migrazione è affrontata male e superficialmente, senza andare alla radice dei fattori profondi che la innescano. Tra questi c’è il cambiamento climatico: il progetto “Le Rotte del Clima” presentato lo scorso 27 settembre al Museo della Scienza di Milano vuole sviluppare strumenti di tutela legale per i migranti climatici, categoria ancora poco mappata e definita.
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I migranti sono stati e sono oggetto di campagne elettorali permanenti e infiniti dibattici politici, spesso inconcludenti. La questione è in questi mesi di nuovo sotto i riflettori, tra ennesime tragedie e visite internazionali, ma viene affrontata superficialmente e senza andare alla radice dei problemi che spingono le persone a migrare. Tra i fattori che influenzano la migrazione ci sono i cambiamenti climatici.
Il 27 settembre, in occasione della Milano Green Week, è stato presentato al Museo Nazionale Scienza e Tecnologia di Milano il progetto “Le Rotte del Clima. Crisi climatica e migrazioni: diritti in azione”, che approfondisce nella giusta direzione il tema e le sue sfaccettature. Il progetto è nato grazie alla collaborazione del Centro Studi Systasis per la prevenzione e la gestione dei conflitti ambientali con il Tribunale di Milano, il contributo di Fondazione Cariplo e la presenza anche di altri attori del terzo settore.
Secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre nella prima metà del 2020 ci sono stati quasi 10 milioni di persone spinte a migrare da fattori ambientali che, per altro, aggravano anche le già presenti disuguaglianze e conflitti sociali. Nel 2030, secondo le Nazioni Unite, il 47% della popolazione mondiale vivrà in zone a elevato stress idrico. Nel 2050 si potranno raggiungere potenzialmente 200 milioni di sfollati per cause ambientali; 143 provenienti dall’Africa subsahariana, dall’Asia meridionale e dall’America Latina, secondo la Banca Mondiale.
Ma ci sono ancora lacune nella mappatura del problema su scala globale e non esiste ancora una definizione univoca di “migrante climatico” a livello giuridico. Il progetto cerca di riempire questo vuoto in vari modi. Questa primavera-estate le associazioni Panafricando, Popoli Insieme, Teatro Utile il Viaggio, We World, Casa della Carità, Sa Domo de Totus hanno condotto un questionario rivolto agli stessi migranti in arrivo da Africa (tra cui Egitto e Mali), Sri Lanka, Bangladesh, Pakistan, Afghanistan, Filippine, Arabia, Ucraina, ottenendo alcuni risultati preliminari.
Innanzitutto, è presente una consapevolezza generale sulle cause climatiche come alluvione, allagamenti e fenomeni atmosferici violenti, si pensi alla regione del Punjab colpita intensamente nel 2022 o ai cicloni e tornado in Bangladesh nel 2020-2021. Ma anche siccità e gravi carenze idriche sono ricondotte agli sconvolgimenti climatici, come nelle persone provenienti dall’Africa orientale.
Anche nei casi in cui i migranti non esprimono direttamente un collegamento consapevole con i cambiamenti climatici, fanno comunque riferimento a problemi ambientali. «Gli intervistati riconoscono le caratteristiche degli eventi (sia a lenta che a rapida insorgenza) e le possibili ripercussioni, ma non li collegano al concetto di cambiamento climatico in sé. Molte delle persone intervistate riferiscono in prima istanza motivazioni economiche o persecutorie», dicono gli organizzatori.
Il progetto, in generale, si pone i seguenti obiettivi:
1) aumento della consapevolezza, da parte dei migranti coinvolti nel progetto, dei propri diritti e degli strumenti disponibili per tutelarli
2) raccolta di dati sulle caratteristiche e le criticità delle migrazioni connesse a ragioni ambientali e climatiche
3) raccolta di tali dati dal basso, direttamente dai migranti, attraverso le associazioni e i centri che li accolgono
4) ricerca, approfondimento e studio del fenomeno, a partire dai dati raccolti, dell’evoluzione delle problematiche e delle soluzioni che si prospettano soprattutto in un periodo climaticamente sensibile e instabile come quello attuale
5) istituzione del primo ‘Sportello Legale’ per migranti ambientali e climatici che garantisca assistenza, consulenza e supporto legale a operatori, comunità e persone migranti, associazioni e istituzioni
6) divulgazione, formazione ed educazione sul territorio
7) advocacy.
La consapevolezza quindi è solo il primo passo, per approdare a un vero riconoscimento giuridico e una conseguente maggiore tutela, soprattutto considerato il fatto che sono state escluse le persone che migrano per motivi climatici dall’applicabilità della Convenzione di Ginevra del 1951. In Italia in particolare, il decreto sicurezza del 2018 ha eliminato la possibilità seppur parziale di protezione a questa categoria di migranti. Al suo posto è stata inserita la possibilità di soggiorno per “calamità naturale”, senza però qualificare il tipo di calamità che rendono difficile l’applicazione.
Sviluppare forme di tutele legale oggi non presenti chiedendo direttamente ai diretti interessanti è quindi un approccio sicuramente innovativo. In particolare, segnaliamo il concetto cosiddetto di citizen sensing, ovvero una raccolta dati che coinvolge non solo gli studiosi ma quanto le persone (come per la citizen science), con anche l’ausilio di vari strumenti tecnologici. Questo approccio darebbe ulteriore piena attuazione, tra le altre cose, della ancora poco nota Convenzione di Aahrus, che sancisce il diritto all’informazione e partecipazione in materia ambientale da parte di tutti i cittadini.
Il progetto vuole infine stimolare nuovi filoni di ricerca sul tema attraverso la raccolta di nuovi dati, ma anche produrre materiale artistico e comunicativo in varie lingue e offrire offerte formative specifiche. Dalle persone alla ricerca, dalla consapevolezza alla politica e alla giustizia. Da Scienza in rete seguiremo con interesse l’evolversi delle attività.