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Un missile che ha colpito anche le vittime dell’AIDS

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“Credi che alla fine la batteremo?” fu la domanda che Joep Lange, il famoso ricercatore clinico che ha perso la vita il 17 luglio 2014 sul volo 17 della Malayisia Airline, mi rivolse 15 anni fa riferendosi all’infezione da HIV/AIDS.

Lange, professore all’Università di Amsterdam Academic Medical Center e Capo dell’Institute for Global Health and Development, era il mio ospite nei giorni che stavo trascorrendo in Olanda come Visiting Professor.
Il Prof. Lange si dedicava al miglioramento della terapia dell’infezione da HIV soprattutto per renderla più accessibile a coloro che ne hanno più bisogno nelle nazioni in via di sviluppo.
Nel 2002, pronunciò la famosa frase: “Se riusciamo a ordinare una birra o una Coca-Cola fredda nel più remoto angolo d’Africa, non dovrebbe essere impossibile fare lo stesso con le medicine” .
E’ tragicamente ironico quindi che Lange e i suoi colleghi stessero andando alla XX Conferenza Internazionale sull’AIDS a Melbourne, quando il loro aereo è stato brutalmente colpito da barbari ribelli filo-Russi. Questi avrebbero potuto ugualmente indirizzare il missile a se stessi: infatti, sia Russi che Ucraini saranno tra coloro che più soffriranno del loro massacro di ricercatori dedicati all’AIDS.

L’infezione è cresciuta del 250% (in Russia e Ucraina)

L’Ucraina è una delle nazioni Europee più severamente colpite dall’epidemia di HIV. Secondo UNAIDS, al primo gennaio 2014 erano stati riportati 245.216 casi d’infezione da HIV in Ucraina, di cui 65.733 casi di AIDS e 31.999 morti AIDS-correlate. Le strategie di prevenzione dell’infezione da HIV in Ucraina sono tremendamente inadeguate, per cui il virus continuerà sicuramente a propagarsi favorito dallo stato di agitazione politica del paese.

Per quanto riguarda la Russia, la prevalenza dell’infezione da HIV è perfino superiore a quella Ucraina. Infatti, le due nazioni, sempre secondo UNAIDS, coprono da sole quasi il 90% delle nuove infezioni diagnosticate tra Europa orientale e Asia centrale. Dal 2001, quando perfino l’Africa ha iniziato a contenere con successo la trasmissione di HIV, la prevalenza d’infezione in Russia e Ucraina è salita del 250%. Quindi, i folli ribelli che si fronteggiano al confine russo-ucraino hanno abbattuto l’aereo che stava trasportando i ricercatori dedicati ad alleviare e, in ultima analisi a fermare, l’epidemia che sta perseguitando le due nazioni.
La collettività globale richiede che ogni attivista e medico siano in prima linea nella guerra contro l’AIDS. Sicuramente la comunità scientifica dedicata allo studio di HIV/AIDS subirà una battuta d’arresto nella prevenzione e terapia mentre veniamo costantemente aggiornati su coloro che abbiamo perduto in quest’assurda tragedia.

Uno spiraglio di speranza

Spesso riusciamo a intravedere uno spiraglio di luce anche dietro le nubi più scure e tragiche. Di fronte all’orrore dell’AIDS, abbiamo visto scaturire nuove iniziative scientifiche e sociali. La pandemia di HIV ha ispirato scoperte pionieristiche in campo biomedico, tra cui un importante avanzamento dell’immunologia e della ricerca sul cancro, e stimolato l’interesse delle industrie farmaceutiche a scoprire nuovi farmaci antivirali.
L’AIDS ha indotto anche una maggior tolleranza per gli orientamenti sessuali delle persone, un aumento dei diritti delle donne e un maggior apprezzamento delle differenze socio-economiche.
Forse questa tragedia stimolerà un aumentato interesse nel portare farmaci e istruzione nei paesi in via di sviluppo e una maggior determinazione nel perseguire l’eliminazione dell’AIDS attraverso il raggiungimento di una “cura funzionale” e di un vaccino preventivo.
Forse la collettività umana lavorerà con più determinazione per sopprimere il terrorismo globale e l’uccisione di persone innocenti intente a condurre una vita piena e produttiva. Senza dimenticare che sull’aereo diretto in Australia hanno perso la vita molti altri i cui sogni rimarranno per sempre irrealizzati.

Il mio auspicio è che nessuno di loro sia morto invano.

 

L’articolo qui tradotto è stato pubblicato in inglese per la prima volta il 24 luglio 2014 su USA Today

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