fbpx Modesta proposta per dosare la riapertura | Scienza in rete

Modesta proposta per dosare la riapertura

Primary tabs

Maschera amerindia, Musée Quai Branly, Paris. Fotografia di Renata Tinini.

Tempo di lettura: 3 mins

Sarà una buona idea uscire oggi? Dalla finestra vedo gente che viene e gente che va. Quasi tutti con la mascherina, che invece diventa un optional ai giardini dove i ragazzi fanno cerchio sulle aiuole. Non so altrove, ma qui a Milano la vita è ripresa. Passeggiata sui Navigli, mercati aperti ma una bancarella ogni due, mezzi pubblici non stracolmi, ma non si può più attraversare la strada senza guardare come si faceva fino a ieri. 

È la Fase 2, bellezza. Dove la gente si riprende i suoi spazi, ognuno col suo stile, bello o brutto che sia. L’epidemia ha compresso diritti e psicologie come molle, ha messo a terra l’economia, ha esasperato le disuguaglianze. Aprire, per quanto con mille cautele, nelle intenzioni stesse del governo rispondeva a diverse considerazioni: 

Rispetto queste scelte molti si son fatti prendere dall’euforia, altri dal panico, a seconda dell’indole. I primi vanno frenati, i secondi rassicurati. La psicologia in condizioni di emergenza spiega come sia meglio non porsi rispetto al pubblico con l’atteggiamento paternalistico e autoritario di chi sgrida la scolaresca indisciplinata, ma bilanciando informazione corretta e spintarelle (nudging) verso i comportamenti più ragionevoli. Tra i quali ci può essere anche quello di abbassare la mascherina per tirare una boccata d'aria all'aperto a meno che non si sia impacchettati per un discreto lasso di tempo in una folla, come suggeriscono i saggi cinesi in una corrispondenza a Lancet [1].

Quanto ai tanti che si sono abituati alla clausura trovandone quasi un viatico alle proprie ansie (che nei fisici si esprime attraverso forme compulsive di modellizzazione e nei comuni mortali in crociate da Esercito della Salvezza), valgono tutto sommato gli stessi consigli. 

Con una notazione in più che riguarda la comunicazione del rischio.

Sicuramente Fase 2 non vuol dire liberi tutti. E il problema comunicativo è proprio questo: è possibile dosare la ripresa?

Non dovrei dirlo ma lo dico: Se a un italiano dici di stare chiuso in casa, questi compila l’autocertificazione con scritto “spesa” per farsi una girata di un’ora al giorno, oppure si compra un cane. Se gli dici Fase 2, accompagnata da un elenco sterminato di cavilli, semidivieti ed eccezioni, esce e basta. Stupidità o istinto sopravvivenza sociale? [vedi anche "Post Scriptum" della serie Rebibbia Quarantine di Zerocalcare].

Una possibile soluzione per governare la ripresa è ben riassunta nel motto del capo del KGB nella serie Chernobyl: “Mi fido. Ma verifico. E se non la smettono li spedisco in Siberia”.

Un’altra soluzione è redigere decreti e successive comunicazioni pubbliche, semplici, chiari e nette, con relative argomentazioni a supporto delle misure. Il tutto declinato per i vari uditori da testimonial credibili. Possibilmente non l'avvocato Conte, il notarile Brusaferro, il dotto Locatelli. Al loro posto propongo Piero Angela per i senior, Roberto Burioni (moderato da barre di grafite) per la mezza età, Fedez per gli junior (collegato in auricolare con Roberta Villa). 

PS: Ma doveva essere proprio questa la primavera più bella del decennio? 

 

Note
"The risk of transmission with brief contact (less than 15 min face-to-face contact) or infection onset after 14 days of exposure to a known infected person (the estimated maximum incubation period) is low and should not be over-exaggerated. Misinformation spreads panic among the general population and is not conducive to implementation of epidemic control measures". Yonghong Xiao, Mili Estee Torok, "Taking the right measures to control COVID-19". The Lancet. Vol 20 May 2020. 

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Di latticini, biotecnologie e latte sintetico

La produzione di formaggio è tradizionalmente legata all’allevamento bovino, ma l’uso di batteri geneticamente modificati per produrre caglio ha ridotto in modo significativo la necessità di sacrificare vitelli. Le mucche, però, devono comunque essere ingravidate per la produzione di latte, con conseguente nascita dei vitelli: come si può ovviare? Una risposta è il latte "sintetico" (non propriamente coltivato), che, al di là dei vantaggi etici, ha anche un minor costo ambientale.

Per fare il formaggio ci vuole il latte (e il caglio). Per fare sia il latte che il caglio servono le vacche (e i vitelli). Cioè ci vuole una vitella di razza lattifera, allevata fino a raggiungere l’età riproduttiva, inseminata artificialmente appena possibile con il seme di un toro selezionato e successivamente “forzata”, cioè con periodi brevissimi tra una gravidanza e la successiva e tra una lattazione e l’altra, in modo da produrre più latte possibile per il maggior tempo possibile nell’arco dell’anno.