fbpx La mortalità femminile nei secoli: cosa rivelano 2000 anni di scheletri | Scienza in rete

La mortalità femminile nei secoli: cosa rivelano 2000 anni di scheletri

Un recente studio, coordinato dal LABANOF dell’Università Statale di Milano, ha esplorato la storia della mortalità femminile degli ultimi 2000 anni, associandola a fattori sociali, economici e culturali delle diverse epoche in base alle fonti storiche.

Tempo di lettura: 5 mins

«Capire quali fattori abbiano influenzato la storia passata può aiutarci ad affrontare presente e futuro con maggiore consapevolezza. Anche per quanto riguarda le disparità di genere». Lucie Biehler-Gomez commenta così gli obiettivi del suo lavoro, recentemente pubblicato su Scientific Reports. L’importanza di non dimenticare la storia per evitare di ripeterne gli errori è nota, ma il nuovo studio ha un taglio tutto particolare: indaga infatti con le tecniche di paleopatologia la mortalità e la sopravvivenza delle donne nel corso degli ultimi 2000 anni, mettendole in relazione alle caratteristiche sociali, economiche e culturali delle diverse epoche del passato.

È un’analisi vasta, condotta su quasi 500 scheletri dell’immensa collezione del Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense (LABANOF) dell’Università di Milano, che ha portato anche risultati inattesi: per esempio, come durante il Medioevo, epoca buia soprattutto per le donne nell’immaginario comune, la mortalità tra uomini e donne fosse paragonabile; mentre epoche per certi versi più “illuminate” hanno visto la sopravvivenza delle donne significativamente ridotta rispetto a quella maschile.

Dallo scheletro alla vita

La collezione antropologica del LABANOF è una delle più grandi d’Europa: comprende oltre 1.400 scheletri provenienti da tutta la Lombardia, ma con una netta prevalenza di resti milanesi. Sono la base del recente studio, condotto nell’ambito del progetto DOMINA – Donne Milanesi Nascoste: «Lo scheletro è una sorta di spugna che assorbe e rivela moltissime informazioni su ciò che è avvenuto nel corso della vita di una persona. Con la nostra ricerca, abbiamo eseguito quello noto come profilo biologico: per ciascuno dei resti indaghiamo sesso, range di età alla morte, statura, la presenza di eventuali traumi e varie caratteristiche che possano fornire indizi per esempio dell’occupazione della persona in vita, o della sua dieta, eccetera», spiega Biehler-Gomez.

Ma, per il nuovo studio, sono soprattutto sesso ed età dei resti l’aspetto interessante. Come i libri gialli insegnano, il sesso può essere dedotto da alcune caratteristiche anatomiche, in primis la forma del bacino. La stima dell’età è determinata dalla maturità dello scheletro in termini di ossificazione delle cartilagini di accrescimento, dalla degenerazione di alcune articolazioni (quelle meno sottoposte a stress biomeccanico) eccetera. «In questa analisi riportiamo sempre l’età alla morte come un range, perché non possiamo non tenere in considerazione la variabilità interpersonale dovuta a fattori come la genetica, la dieta e così via», continua la ricercatrice.

Il focus dello studio sono le donne del passato: qual era la loro sopravvivenza media? Quale la mortalità? Rispondere a queste domande richiede di tenere necessariamente in considerazione anche la controparte maschile perché, in linea teorica, nel corso dei secoli i due sessi avrebbero potuto avere la stessa sopravvivenza e mortalità. Inoltre, un’approfondita analisi statistica ha permesso di capire se la probabilità di morte fosse la stessa per uomini e donne e come sia cambiata nel corso del tempo.

I risultati e il confronto con le fonti storiche

Lo studio ha indagato quattro epoche storiche: romana, alto medioevo, basso medioevo, epoca moderna ed epoca contemporanea. Il risultato dell’indagine è stato piuttosto inatteso per lo stesso gruppo di ricerca: «I dati indicano che la mortalità femminile era maggiore rispetto a quella maschile durante l’epoca romana (I-V secolo AD), quando l’aspettativa di vita delle donne era di appena 36 anni, contro i 44 degli uomini. La longevità femminile è poi andata aumentando nel corso dei secoli, ma con uno stallo significativo durante tutto il medioevo e in epoca moderna; durante quest’ultima, in particolare, l’aspettativa di vita delle donne si ferma a 38 anni. Solo nel periodo contemporaneo il trend si inverte e la sopravvivenza femminile aumenta, superando anche quella maschile», spiega Biehler-Gomez.

Capire questi dati significa mettere in relazione quanto osservato negli scheletri con l’ambiente sociale, economico e culturale del periodo in cui erano ben più che ossa. In altre parole, significa confrontarsi con le fonti storiche, i documenti cartacei giunti fino a noi. «Questa parte di ricerca è stata resa possibile dalla collaborazione con Beatrice del Bo, storica e professoressa dell’Università di Milano. Si tratta di un’indagine tutt’altro che semplice, perché le fonti relative alle donne e alla condizione femminile scarseggiano: come ci si può aspettare, tutta la documentazione è scritta da uomini per altri uomini, ed è difficilissimo trovare informazioni sulle donne, soprattutto quelle “normali”, cioè non appartenenti alla classe nobile».

È stato comunque possibile mettere i dati osservati in relazione ad alcune informazioni che abbiamo sul passato. Secondo il gruppo di ricerca, per esempio, la maggiore mortalità femminile in epoca romana può essere correlata alle morti durante la gravidanza e il parto – problema che, evidenzia il loro articolo, è attuale tutt’oggi: «Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, la mortalità materna è ancora così alta a livello globale da poter stimare che nel 2020 abbia causato una morte ogni due minuti circa», scrivono autori e autrici.

Durante il medioevo, invece, si era diffusa a Milano una tendenza all’attenzione nei confronti delle classi più povere e le cronache dall'XI secolo in poi documentano di numerose strutture per l’assistenza alle donne e i bambini, e della proliferazione di ospedali e centri di assistenza gestiti da ordini religiosi, confraternite e corporazioni di mestieri. Queste iniziative possono aver contribuito alla diminuzione del rischio di mortalità e all'aumento della longevità femminile rispetto all'epoca romana. «Mentre la bassa aspettativa di vita femminile in età moderna può facilmente essere associata allo sviluppo dell’industria tessile, in particolare quella della seta, che impiegava soprattutto donne, esponendole a diversi rischi sanitari. Presumibilmente si trattava, quindi, di morti occupazionali», spiega Biehler-Gomez. Solo in epoca contemporanea la longevità femminile aumenta nuovamente. «Il nostro lavoro è senz’altro guidato da un interesse storico e scientifico, ma gli riconosco anche un valore più profondo: solo conoscendo il passato e come fattori culturali, sociali e biologici abbiano modellato l'esperienza femminile attraverso i millenni possiamo agire consapevolmente nel presente. Anche eliminando le diseguaglianze di genere ancora presenti», conclude la ricercatrice. «D’altronde, l’intero progetto DOMINA ha proprio questo obiettivo: infatti, ora ci stiamo concentrando sulla violenza di genere, analizzando come si sia modificata nel corso dei secoli».

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Generazione ansiosa perché troppo online?

bambini e bambine con smartphone in mano

La Generazione ansiosa. Come i social hanno rovinato i nostri figli (Rizzoli, 2024), di Jonathan Haidt, è un saggio dal titolo esplicativo. Dedicato alla Gen Z, la prima ad aver sperimentato pubertà e adolescenza completamente sullo smartphone, indaga su una solida base scientifica i danni che questi strumenti possono portare a ragazzi e ragazze. Ma sul tema altre voci si sono espresse con pareri discordi.

TikTok e Instagram sono sempre più popolati da persone giovanissime, questo è ormai un dato di fatto. Sebbene la legge Children’s Online Privacy Protection Act (COPPA) del 1998 stabilisca i tredici anni come età minima per accettare le condizioni delle aziende, fornire i propri dati e creare un account personale, risulta comunque molto semplice eludere questi controlli, poiché non è prevista alcuna verifica effettiva.