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Musica e salute racchiuse in un algoritmo: l’intervista ad Alfredo Raglio

Nel laboratorio di ricerca e musicoterapia dell'IRCCS Maugeri di Pavia è stato messo a punto, grazie a una collaborazione italo-spagnola, un algoritmo che sfrutta la musica a fini terapeutici. Ne parliamo con Alfredo Raglio, responsabile del laboratorio e tra gli ideatori di Melomics-Health.

Crediti immagine: C D-X/Unsplash

Tempo di lettura: 6 mins

In rete si sta diffondendo un numero crescente di piattaforme che permettono una fruizione personalizzata della musica. Lo scopo è donare benessere all’ascoltatore. Ma come selezionare la playlist perfetta per trattare ciascun fruitore? Le soluzioni proposte sono diverse e spesso si affidano ad algoritmi capaci di rispondere ai bisogni dell’ascoltatore.

I ricercatori dell’Università di Montreal, per esempio, hanno realizzato una web app, MUSIC CARE©, che consente di somministrare interventi musicali personalizzati. Musicisti professionisti hanno suonato e registrato le musiche, ma è la piattaforma che seleziona le melodie che meglio si adattano ai parametri vitali dell’ascoltatore.

Calm Radio, invece, propone un ascolto personalizzato a seconda degli stati d’animo dell’ascoltatore. Ma ciò presuppone che il fruitore sia in grado di riconoscere il proprio stato d’animo. Inoltre, la musica è divisa per generi, per andare incontro alle preferenze dell’ascoltatore.

Anche in Italia, presso il laboratorio di ricerca e musicoterapia dell'IRCCS Maugeri di Pavia, Alfredo Raglio lavora da circa dieci anni alla realizzazione di un algoritmo che sfrutta la musica a fini terapeutici. Melomics-Health va oltre la mera ricerca di una musica piacevole. L’algoritmo, scaturito da una collaborazione italo-spagnola, va alla ricerca delle strutture e delle sequenze musicali che meglio si adatterebbero alle diverse necessità terapeutiche del paziente.

Stiamo vivendo un periodo in cui l'intelligenza artificiale, anche in ambito artistico, spaventa e incuriosisce. Ma questi esempi sembrano promuovere un uso positivo della tecnologia. Algoritmi e AI potrebbero davvero aiutarci a comporre una musica efficace per il benessere umano? Ne abbiamo parlato con Alfredo Raglio, responsabile del laboratorio di ricerca e musicoterapia dell'IRCCS Maugeri.

Cominciamo dall’inizio. Com’è nata l’idea di creare Melomics-Health?

Melomics-Health è figlio di un primo sistema di intelligenza artificiale, Iamus, creato da Francisco Vico dell’Università di Malaga. Iamus era un algoritmo che produceva musica in modo aleatorio, con uno stile assimilabile a quello della musica contemporanea. Il nostro incontro è stato casuale, ma la mia esperienza professionale ha incuriosito Vico. Ho una formazione nell’ambito della musicoterapia, con un background che attinge tanto dalla musica quanto dalle scienze biomediche. Lui desiderava passare da una composizione orientata in senso artistico-musicale a una rivolta all’ambito della salute. Io potevo suggerire gli ingredienti utili a canalizzare l’algoritmo verso le applicazioni terapeutiche.

Perché avete pensato di affidarvi a un algoritmo per creare musica terapeutica?

L’idea di applicare la musica alla terapia deve rispondere a bisogni molto importanti, che sono quelli di fare incontrare la dimensione artistica con quella scientifica. L’algoritmo è finalizzato alla fruizione terapeutica della musica. La componente algoritmica consente proprio di studiare gli effetti prodotti dalle componenti strutturali della musica. L’AI ci permette di smontare la musica senza snaturarne il senso. L’algoritmo compone un brano sganciato dalla componente culturale, sulla base di specifiche indicazioni fornite dal musicoterapeuta. Così posso studiare modelli musicali che rispondano a specifici bisogni terapeutici.

La componente culturale è costituita da caratteristiche intrinseche della melodia e dall’estetica: per esempio, per Mozart sono tutte le parti che rappresentano lo stile mozartiano. Ma comprende anche il ricordo e l’associazione a situazioni personali che una melodia conosciuta può evocare.

Ma altri gruppi di ricerca sostengono che la musica che piace all’ascoltatore sia più efficace in un contesto terapeutico. Proprio su tale principio si basano anche numerose piattaforme online. Quindi, possiamo considerare la loro proposta poco affidabile?

È vero. Queste teorie hanno influenzato in modo notevole il nostro modo di fruire della musica attraverso le piattaforme. Appartengono a un filone neuroscientifico che basa le sue affermazioni sui meccanismi che attivano i circuiti del piacere e della ricompensa. Ciò vale se ci riferiamo a soggetti sani. Dal punto di vista clinico il discorso si complica. Le condizioni e le risposte dei pazienti sono più complesse. Anche le proposte musicali includono obiettivi che vanno al di là del piacere dell’ascolto e si riferiscono a specifiche problematiche.

E su quale principio si fonda l’offerta terapeutica delle piattaforme basate sull’estetica musicale?

Una musica che piace all’ascoltatore non ha solo un effetto sulla percezione uditiva. L’ascoltatore discrimina e analizza i suoni facendo una sorta di predizione dell’evoluzione del brano. La musica si fonda su regole ben precise. Per questo è prevedibile. Il circuito della ricompensa si attiva quando l’ascoltatore riscontra nel brano proprio ciò che il suo cervello aveva previsto. Qualora la predizione si dimostri ben fatta, si verifica un rilascio di dopamina, il neurotrasmettitore implicato nei circuiti cerebrali del piacere e della ricompensa.

Tuttavia, dal mio punto di vista, non possiamo considerare valide a fini terapeutici tutte le musiche indipendentemente dalla loro struttura. Al contrario, le caratteristiche della musica possono produrre effetti, ma non solo in funzione della componente di percezione soggettiva e di un’eventuale ricompensa.

Tramite Melomics-Health arrivate a comporre strutture musicali da usare in ambito terapeutico. Perché è così importante ridurre la musica alla struttura e andare oltre la fruizione soggettiva?

Il processo di semplificazione della musica consente di rimuovere la componente culturale, cognitiva e percettiva della musica proposta all’ascoltatore. Così è possibile by-passare i ricordi associati a una musica, il collegamento a eventi personali e anche all’estetica soggettiva. La musica è complessa. È formata da tantissimi aspetti. Creare una correlazione tra strutture musicali e effetti prodotti in terapia è molto complicato.

Il dato musicale somministrato in modo neutro e intrinseco consente di facilitare la comprensione di come i parametri della musica e le strutture musicali agiscano potenzialmente sull’individuo. Se l’effetto della musica fosse legato alla sola componente del piacere, allora la musica avrebbe un effetto generico.

Le altre piattaforme musicali per il benessere sono già online. Melomics-Health sarebbe già pronto all’utilizzo da parte del grande pubblico?

Su Spotify ci sono già alcune tracce create inizialmente dall’algoritmo. Ma sarebbe utile rendere disponibile e diffondere lo strumento a livello clinico. Sotto la guida di personale esperto, l’AI potrebbe aiutare a selezionare la musica più adatta a trattare diverse condizioni cliniche.

A livello scientifico, quali sono i prossimi passi?

Presso gli Istituti Maugeri di Pavia abbiamo concluso una sperimentazione nell’ambito del trattamento di pazienti affetti da fibromialgia pubblicandone i risultati sulla rivista Neurological Sciences.

Rispetto all'area specifica del dolore, è possibile modellare la musica sulla base di due aspetti che la letteratura ha ritenuto fondamentali: il rilassamento e la distrazione. È stato dimostrato che la musica può ridurre cortisolo e alfa-amilasi come biomarcatori di sistemi sensibili allo stress. Al contrario, non ha effetti sull'intensità del dolore percepito. Quindi, la musica potrebbe agire sull’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, uno dei principali sistemi implicati nella risposta allo stress. Un altro sistema implicato nello stress è il sistema nervoso autonomo e la musica è in grado di ridurre anche la sua attività. Tuttavia, i meccanismi esatti alla base dell'effetto di riduzione del dolore della musica rimangono poco chiari.

Altri lavori pubblicati riguardano l’impatto della musica algoritmica e dell’ascolto musicale sullo stress lavoro-correlato, su pazienti che affrontano per la prima volta la radioterapia, sul sistema autonomico-cardiovascolare in soggetti sani. L’Università di Trieste, con il gruppo del professor Luca Manzoni, sta collaborando al progetto sviluppando la parte informatica e tecnologica. L’obiettivo finale è proporre un prodotto fruibile, che vada oltre le attuali piattaforme offerte del mercato.

L’obiettivo a medio termine è avere un completa capacità adattativa dell’algoritmo rispetto ai bisogni del paziente. Questo implica importanti passaggi dal punto di vista dell’automazione. Poi sarà indispensabile la sperimentazione e la validazione dei nostri risultati. È essenziale per arrivare a comporre qualcosa che abbia un razionale terapeutico e che possa fornire dati solidi.

È un progetto ambizioso. Cosa serve per portarlo a termine?

Sono fondamentali collaborazioni con altri gruppi di ricerca e un sostegno economico che superi la logica di bandi talvolta poco accessibili. Questo ridurrebbe notevolmente i tempi di realizzazione degli studi e potrebbe introdurre nuovi e significativi stimoli nell’ambito delle neuroscienze e delle applicazioni musicali terapeutiche in ambito clinico.

 


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