fbpx Nell'abbraccio del Sole | Scienza in rete

Nell'abbraccio del Sole

Primary tabs

Interpretazione artistica di Parker Solar Probe in avvicinamento al Sole. Obiettivo della missione è raccogliere dati sull’attività solare e migliorare le nostre capacità di prevedere eventi meteorologici spaziali potenzialmente pericolosi per la vita sulla Terra. Crediti: Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/NASA

Read time: 7 mins

Bloccato sulla torre di lancio, a un paio di minuti soltanto dal lift off, con un sensore che segnala pressioni anomale nel circuito dell’elio del razzo vettore Delta IV Heavy: niente male come inizio dell’avventura spaziale di Parker Solar Probe.

Fortunatamente il problema viene risolto in fretta e il disguido comporta solamente il momentaneo rinvio del lancio, avvenuto con pieno successo il giorno seguente. Dopo quel piccolo imprevisto, dunque, lo scorso 12 agosto è ufficialmente iniziata la missione che nei prossimi sette anni porterà la sonda della NASA a immergersi nella corona solare per studiarne da vicino caratteristiche e attività. Una sfida tecnologica estrema, come estreme sono le condizioni alle quali il Probe e le sue strumentazioni saranno esposte. Il nostro breve cammino di approfondimento inizia con un ritorno alla seconda metà degli Anni 50…

Il soffio del Sole

Eugene Newman Parker, classe 1927, oggi è un pluripremiato astrofisico solare, ma a quei tempi era in forza all’Università di Chicago e si stava occupando di chiarire come le stelle, dunque anche il nostro Sole, emanassero la loro energia nello spazio circostante. In un fondamentale studio pubblicato su The Astrophysical Journal nel 1958 propose l’esistenza di un flusso incessante di particelle cariche emesso dall'alta atmosfera del Sole e lo chiamò vento solare descrivendo il complesso sistema di campi magnetici e flussi di plasma che stanno alla base del fenomeno.

Propose anche un modello per spiegare come mai, in apparente contrasto con le leggi della fisica, la corona solare fosse di gran lunga più calda della superficie stessa del Sole. L’idea del vento solare suscitò non poche opposizioni, anche feroci. Basti dire che lo studio di Parker venne inizialmente bocciato da un paio di revisori e vide la luce solamente perché ci mise lo zampino Subrahmanyan Chandrasekhar, grandissimo astrofisico di origine indiana e Nobel per la fisica nel 1983, che in quegli anni era redattore della rivista.

Le critiche all’idea di Parker, però, cessarono negli anni immediatamente seguenti, non appena furono disponibili le misurazioni dell’intensità del fenomeno effettuate dalle prime sonde spaziali al di fuori del guscio protettivo della nostra atmosfera. Nel 2003, proprio per l’importanza del suo contributo alla scoperta del vento solare, venne assegnato a Parker il Premio Kyoto, riconoscendo all’astrofisico un ruolo cruciale nel drastico cambiamento della nostra percezione dello spazio interplanetario.

Proprio lo studio del potente flusso di particelle cariche che, originate dal Sole, investono il nostro pianeta è alla base della missione di Parker Solar Probe, la prima sonda che la NASA ha dedicato a uno scienziato ancora in vita. Grazie alla sua dotazione di quattro strumenti si vuole indagare nei dettagli sulla composizione e le proprietà del vento solare nonché sul meccanismo in grado di accelerare le particelle che lo compongono fino a farle sfrecciare, nei paraggi della Terra, a velocità comprese tra i 300 e i 900 km/s.

Di questa batteria di rilevatori fa parte lo strumento FIELDS, progettato e gestito dal team coordinato da Stuart Bale dello Space Sciences Laboratory (University of California) e dedicato a misurare intensità e profilo dei campi elettrici e magnetici nell'atmosfera solare. Le misurazioni ad alta risoluzione temporale acquisite dalle cinque antenne dello strumento potranno aiutarci a comprendere l’andamento dei campi associati al fenomeno della riconnessione magnetica, il processo attraverso il quale le linee di campo magnetico si riallineano in modo esplosivo.

Non meno importante il ruolo dello strumento SWEAP (Solar Wind Electrons Alphas and Protons investigation), un rilevatore realizzato sempre dallo Space Sciences Laboratory in collaborazione con lo Smithsonian Astrophysical Observatory di Cambridge (Massachusetts) con il compito di contare le particelle più abbondanti nel vento solare – per circa il 95% si tratta di elettroni e protoni e per circa il 5% di nuclei di elio – e misurare la loro velocità, densità e temperatura. Dati che il team di ricerca, coordinato da Justin Kasper (University of Michigan), confida potranno migliorare la nostra comprensione del vento solare e del plasma coronale.

Della rilevazione dell’energia e delle caratteristiche spettrali delle particelle del vento solare si occupano anche i due strumenti complementari che compongono ISʘIS – acronimo per Integrated Science Investigation of the Sun, ma scritto integrandovi il simbolo astronomico del Sole. Da queste misure, ottenute sia per le alte che per le basse energie, si potrà comprendere il ciclo di vita delle particelle, la loro provenienza, il meccanismo che le ha accelerate e come avviene il loro viaggio dal Sole fin nello spazio interplanetario. ISʘIS è gestito dalla Princeton University (principal investigator è David McComas) ed è stato in gran parte progettato e realizzato presso il Johns Hopkins Applied Physics Laboratory di Laurel (Maryland) e il Caltech di Pasadena (California).

L’unico strumento per l’acquisizione di immagini a bordo della sonda è WISPR (Wide-Field Imager for Parker Solar Probe), cui spetta il compito di osservare la struttura della corona solare su larga scala, prima che la sonda voli attraverso di essa. Da questa particolare fotocamera, che lavora usando lo scudo termico della sonda come filtro, ci si attendono immagini dettagliate delle cosiddette CME (coronal mass ejection), getti di materia espulsi dal Sole che, giunti dalle parti del nostro pianeta, interagiscono violentemente con la magnetosfera terrestre scatenando poderose tempeste magnetiche. WISPR è stato progettato e sviluppato da Solar and Heliophysics Physics Branch del Naval Research Laboratory di Washington e principal investigator è Russell Howard.

Condizioni estreme

Gli strumenti dovranno operare in un ambiente davvero estremo. Nel suo cammino orbitale intorno al Sole, infatti, la sonda si spingerà fino a poco più di 6 milioni di chilometri dalla fotosfera – la superficie apparente della nostra stella – sperimentando temperature intorno ai 1400 °C. A proteggere la sonda e il suo prezioso carico di strumenti da quelle temperature da altoforno dovrà provvedere il particolare scudo termico da 2,4 metri di diametro, progettato presso il Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory.

La struttura è incredibilmente semplice: tra due lamine di fibra di carbonio spesse solamente 2,5 millimetri è interposto uno strato di 11 centimetri di schiuma di carbonio, materiali e tecnologia che solamente dieci anni fa non erano ancora disponibili. Un’ulteriore protezione è assicurata da una particolare vernice bianca a base ceramica, il cui compito è riflettere il calore e la luce incidenti. Mantenendo l’orientamento della sonda affinché resti costantemente nell’ombra dello scudo, si riuscirà a garantire che Parker Solar Probe sperimenti temperature intorno ai 30 °C, perfettamente sopportabili dalla strumentazione e dalla struttura stessa della sonda.

Lo scudo termico del Parker Solar Probe è realizzato con due pannelli in fibra di carbonio di particolare composizione tra i quali è interposto uno strato di schiuma di carbonio. La composizione a strati permette sia di rinforzarne la struttura, sia di mantenerne basso il peso: lo scudo termico, infatti, pesa solamente 72 chilogrammi. Per riflettere quanta più energia solare possibile, lo strato superiore dello scudo è stato inoltre rivestito con una vernice ceramica bianca appositamente realizzata. Crediti: NASA/Johns Hopkins APL/Ed Whitman

Non meno complicate sono le acrobazie orbitali che la sonda dovrà compiere per immettersi correttamente nell’orbita solare. Nei prossimi sette anni Parker Solar Probe inanellerà 24 orbite intorno al Sole sfruttando per sette volte il gravity assist di Venere (il primo è in calendario il prossimo 3 ottobre) per ridurre gradualmente l’orbita fino a transitare a soli 6,16 milioni di chilometri dalla nostra stella, molto più all'interno dell'orbita di Mercurio e circa sette volte più vicino al Sole di quanto abbia mai fatto finora un qualsiasi altro veicolo spaziale. Il primo passaggio al perielio è previsto per il prossimo 6 novembre e in tale occasione la sonda transiterà a circa 25 milioni di chilometri dal Sole, equivalenti a 35,7 raggi solari.

Durante il suo passaggio più ravvicinato, a neppure 9 raggi solari dalla superficie del Sole, Parker Solar Probe sfreccerà a 690 mila chilometri orari, una velocità che gli permetterebbe di sorvolare l’Italia in tutta la sua lunghezza in neppure 7 secondi.

In queste settimane è già iniziato il dispiegamento dell’antenna ad alto guadagno per le comunicazioni, del magnetometro e delle antenne per le misure di campo elettrico. All’inizio di settembre si darà il via alla verifica della strumentazione, quattro settimane di test strumentali prima che la missione entri nella sua fase scientifica operativa. A novembre, infatti, Parker Solar Probe inizierà a raccogliere i primi dati, il cui invio a Terra è previsto per l’inizio di dicembre.

Tre gli obiettivi scientifici della missione: tracciare il flusso di energia che riscalda la corona solare e accelera il vento solare; determinare la struttura e la dinamica del plasma e dei campi magnetici alle sorgenti del vento solare; esplorare i meccanismi che accelerano e trasportano le particelle energetiche. Obiettivi decisamente ambiziosi per una missione incredibilmente delicata e costantemente sul filo del rasoio. Solo i prossimi sette anni potranno dirci se da essa giungeranno risposte esaurienti ai nostri dubbi sul funzionamento del Sole oppure altre intriganti domande.

 

Per approfondire:
Press Kit Parker Solar Probe (NASA)
Sito della missione

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Perché ridiamo: capire la risata tra neuroscienze ed etologia

leone marino che si rotola

La risata ha origini antiche e un ruolo complesso, che il neuroscienziato Fausto Caruana e l’etologa Elisabetta Palagi esplorano, tra studi ed esperimenti, nel loro saggio Perché ridiamo. Alle origini del cervello sociale. Per formulare una teoria che, facendo chiarezza sugli errori di partenza dei tentativi passati di spiegare il riso, lo vede al centro della socialità, nostra e di altre specie

Ridere è un comportamento che mettiamo in atto ogni giorno, siano risate “di pancia” o sorrisi più o meno lievi. È anche un comportamento che ne ha attirato, di interesse: da parte di psicologi, linguisti, filosofi, antropologi, tutti a interrogarsi sul ruolo e sulle origini della risata. Ma, avvertono il neuroscienziato Fausto Caruana e l’etologa Elisabetta Palagi fin dalle prime pagine del loro libro, Perché ridiamo. Alle origini del cervello sociale (il Mulino, 2024):