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Neuroscienze a Milano: tra empatia e architettura

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Si è appena conclusa la nona edizione del FENS Forum: cinque giornate di discussioni sulla ricerca nelle neuroscienze a cura della Federazione Europea di Neuroscienze (FENS), con la partecipazione di quasi 6000 scienziati da tutto il mondo.

Martedì sera 8 luglio, a Palazzo Reale si è tenuto l’evento aperto a tutti “Incontriamo il cervello: cervello, empatia, architettura": iniziativa che aveva lo scopo di portare le neuroscienze tra il pubblico e in particolare “far capire cosa fanno i neuroscienziati”.

Un’occasione di confronto che ha visto la presenza di Francesco Clementi, direttore scientifico dell’Istituto Nazionale delle Neuroscienze, Gilberto Corbellini, storico della medicina presso l’Università La Sapienza di Roma, e di Giacomo Rizzolatti, neuroscienziato italiano. Si è parlato di neuroni e in particolare di neuroni specchio, quella classe di neuroni che si attiva sia quando un uomo o un animale compie un’azione, sia quando la vede svolgere da un altro soggetto. Rizzolatti ha quindi ripercorso le tappe di questa grande scoperta, partendo da come si fa a interpretare il linguaggio dei neuroni. “Il funzionamento è piuttosto semplice”, ha spiegato il neuro scienziato. E in effetti bastano dei microelettrodi per capire quali zone del cervello vengono attivate, perché possiamo tradurre gli impulsi nervosi in piccoli rumori. Ovviamente le cose non sono così semplici e si effettuano sempre nuovi esperimenti per comprendere il nostro cervello. Alcuni di questi sono molto affascinanti: “Abbiamo scoperto sui primati che era lo scopo di un movimento e non il movimento in sé a determinare la scarica. Questo è evidente per esempio se l’intento è quello di afferrare una nocciolina. E questo avveniva perfino se gli animali non vedevano la nocciolina, ma ne sentivano semplicemente il rumore”.

Rizzolatti ha portato altri numerosi esempi: ad alcuni studenti son state fatte vedere delle immagini che ritraevano un ragazzo, una scimmia e un cane mangiare una banana. In tutti e tre i casi negli studenti si attivava la stessa zona del cervello, come se cane e scimmia non venissero distinti dall’uomo. Se invece nelle immagini c’erano operazioni comunicative le cose cambiavano: la lettura di un libro per il ragazzo o un particolare gesto con la bocca della scimmia attivavano i neuroni specchio dell’osservatore, mentre con l’abbaiare del cane il sistema rimaneva spento. Questo nonostante fosse chiaro a tutti gli studenti che il cane stava abbaiando. Cosa significa? Questo esperimento dimostra che abbiamo due modi di capire gli altri – ha spiegato Rizzolatti - o perché consideriamo qualcosa simile a noi o perché li consideriamo come oggetti. In questo caso l’uomo non riconosce il gesto del cane, ma deve fare un ragionamento. Lo sta capendo logicamente”.
 
Intervista a Giacomo Rizzolatti 

Altro argomento interessante è l’empatia e la possibilità di capire le emozioni degli altri. Rizzolatti ha descritto un esperimento dove si facevano sentire degli odori, in particolare sgradevoli, ad alcuni studenti, col risultato che alcune aree del cervello venivano attivate. L’esperimento ha dimostrato che anche quando non veniva annusato alcun odore, ma si era posti di fronte ad altre persone che annusavano cattivi odori, con conseguenti facce disgustate, c’era l’attivazione delle stesse aree. Non era dunque una comprensione logica, non era un capire l’emozione degli altri, ma un vero e proprio sentire le emozioni degli altri, pur senza sperimentarle direttamente.

Nella seconda parte dell’evento si è parlato invece del rapporto tra neuroscienze e bellezza, col contributo del neuro scienziato Semir Zeki e degli architetti Goncalo Byrne e Stefano Boeri. “C’è una singola caratteristica neurale nella percezione delle bellezza da parte di persone di cultura diversa? E di opere molto diverse come un dipinto di Giotto o un tappeto persiano?”. Questo si è chiesto all’inizio del suo intervento di Zeki, spiegando che la cultura ha certamente un’influenza. Per molti, ad esempio, la simmetria è considerato parametro di bellezza, mentre in Giappone viene molto apprezzata l’opera incompleta.

Ma come trovare differenze e punti in comune tra diverse bellezze?

Gli scienziati si sono serviti di un esperimento sull’arte figurativa e musicale. In particolare i soggetti dovevano ascoltare un pezzo musicale “oggettivamente bello” (come un’opera di Beethoven) e uno “artistico”, ma non per forza bello (come un pezzo di musica classica moderna non melodica). La stessa cosa veniva fatta con dipinti considerati come “oggettivamente belli” e dipinti “artistici”, ma con soggetti brutti, angoscianti o deformi. Il risultato è stato innanzitutto che, come ci si aspettava, opere visive e musicali attivavano zone diverse. Ma la cosa interessante è che le opere “oggettivamente belle“, sia musicali che figurative, attivavano alcune zone in più e parte di esse erano comuni.

E la bellezza non si limita all’arte e la musica, ma si può estendere perfino alla matematica: “Un’equazione definita bella – ha affermato Zeki -  può attivare le stesse zone del cervello attivate dall’esperienza di una bellezza musicale o figurativa”.    

Giunti a questo punto pare chiara la relazione tra neuroscienze e architettura, due discipline che solo apparentemente paiono in forte contrasto. L’architetto Stefano Boeri, nel suo intervento, ha quindi esteso la discussione affrontando l’invenzione e il concetto di bellezza nell’architettura, che secondo lui non va inteso come modo di categorizzare in maniera semplice e immediata un codice (com’era stato ipotizzato per le simmetrie), quanto più per una marcata discontinuità. “L’architettura infatti – ha concluso Boeri – è una continua e drammatica storia di discontinuità, invenzioni e scarti”.

L’evento ha suscitato molte domande, da quelle più tecniche sui tempi di attivazione dei neuroni specchio, a quelle legate all’empatia o a come si possono spiegare le più grandi tragedie dell’umanità. E forse la frase che più riassume lo spirito dell’evento è stata quella pronunciata all’inizio del suo discorso, dall’architetto Byrne: “Più che per parlare, io sono venuto per ascoltare”.


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