Il trend dei grandi carnivori in Europa è positivo: negli ultimi sei anni la maggior parte delle popolazioni di lupi, orsi, linci, sciacalli e ghiottoni è stabile o in aumento. Un dato positivo per la conservazione di questi carismatici animali, un tempo a rischio di estinzione, e al contempo un ritorno controverso che apre spesso accesi dibattiti. Tra questi il declassamento del livello di protezione del lupo nella Convenzione di Berna.
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In Europa vivono sei specie di grandi carnivori: orso, lupo, lince eurasiatica, lince iberica, ghiottone e sciacallo dorato. La maggior parte delle popolazioni di questi predatori ha mostrato negli ultimi sei anni un complessivo trend di crescita sia numerica che di distribuzione, come dimostra il report realizzato per l’Unione Europea dal Large Carnivore Initiative for Europe (LCIE), gruppo specialistico dell'Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN) che si occupa della conservazione e gestione dei grandi carnivori in Europa. Studiare gli andamenti numerici e distributivi di una popolazione animale è fondamentale per capire l'evoluzione e lo "stato di salute" di una popolazione e di conseguenza per indirizzare le scelte gestionali e di conservazione. Lo è per qualsiasi specie, e nel caso dei grandi predatori è cruciale per ricondurre il discorso, che è spesso fortemente polarizzato, su dati oggettivi.
Il report della LCIE, a firma di oltre 200 esperti europei, ha proprio lo scopo di fornire un quadro di sintesi basato sui migliori dati disponibili raccolti tra il 2017 e il 2022. L’area investigata comprende 34 stati: oltre a quelli che fanno parte dell’UE, anche Svizzera, Norvegia e parte dell’Ucraina e della Turchia. La distribuzione delle specie è stata valutata mappando tutti i dati di presenza, classificati in base all’affidabilità del dato (una valutazione basata su una serie di criteri rigorosi), e sovrapponendo alla carta una griglia con quadrati di 10 km di lato, un metodo utilizzato per fare la valutazione di tutte le specie animali e vegetali protette dalla Direttiva habitat. Le mappe prodotte distinguono per ogni quadrato se si tratta di una presenza stabile della specie o occasionale. Per tutte, è stato fatto un confronto con le stime ottenute nel report analogo pubblicato nel 2016.
La complessità di un quadro di insieme
I grandi carnivori sono animali elusivi che possono coprire grandi distanze con i loro spostamenti e, come ogni specie animale, non tengono conto dei nostri confini amministrativi. Per questo motivo, le analisi sono condotte a livello delle singole popolazioni, identificate in primis sulla base di fattori geografici ed ecologici, oltre che gestionali. Stimare la consistenza e la distribuzione a livello di popolazione e su scala europea non è un esercizio facile, perché, innanzitutto, assai raramente si ha un coordinamento transfrontaliero (e in alcuni Stati transregionale) delle attività di raccolta dati di presenza, e questo può portare al conteggio ripetuto più volte per alcuni individui. Questa assenza di coordinamento si riflette anche nelle tempistiche, perché non tutti effettuano le stime con la stessa cadenza temporale (e in alcuni casi si tratta di dati non aggiornati), o nello stesso periodo dell’anno.
Anche i metodi di rilevamento sono molto differenti a seconda dell’area geografica, e in alcuni casi le stime sono affidate alla valutazione da parte di esperti e non basate su stime numeriche basate su una rigorosa raccolta dati. In alcuni casi, i dati nazionali non sono stati di facile accesso per chi ha redatto le analisi di sintesi su scala europea. Lo sforzo profuso sul campo per cercare segni di presenza è fondamentale; non basta che una specie sia presente in un dato luogo per rilevarne la presenza. Per avere una stima numerica accurata, occorre una strategia di raccolta dati e, nelle zone di nuova espansione, una verifica delle segnalazioni, altrimenti una presenza sporadica può passare del tutto inosservata. Viceversa, all’aumentare della numerosità e densità di una popolazione, diventa complesso avere contezza dei singoli individui (che è molto più facile in piccole popolazioni). Per la maggior parte dei grandi carnivori le stime dovrebbero basarsi prevalentemente sulla raccolta di campioni genetici o sull’utilizzo di fototrappole (macchine fotografiche posizionate in natura che si attivano grazie a un sensore al passaggio di un animale). In entrambi i casi è necessario un disegno sperimentale che permetta di avere una raccolta dati capillare e sistematica e l’applicazione di modelli matematici per l’analisi che restituisca stime accurate e precise, corredate da un errore associato alla misura. Questo tipo di approccio non è però adottato in modo consistente da tutti gli Stati. Infine, il confronto con i dati pregressi risente anche dell’affinarsi continuo dei metodi di rilevamento e di stima delle specie: per esempio le tecniche di sequenziamento genetico, la qualità delle fototrappole, i metodi matematici che a partire dal dato grezzo restituiscono una stima. Complessa è anche la valutazione di una presenza stabile o temporanea, se non si ha a disposizione il dato sulla avvenuta riproduzione, indice solitamente di un insediamento permanente in un sito, e per i problemi di cui sopra, non ovunque si hanno a disposizione questi dati.
I numeri
Considerate tutte le difficoltà metodologiche e di valutazione, la tendenza per i grandi carnivori europei è positiva. L’orso vive in 10 popolazioni, la più numerosa delle quali è quella dei Carpazi (che include Romania, Polonia, Slovacchia, Ungheria e Repubblica Ceca) con una stima di novemila animali, seguita da quella dinarico-balcanica con circa quattromila individui e dalla scandinava che conta tremila orsi. Riguardo alla qualità delle stime, il monitoraggio transfrontaliero è condotto tra Svezia e Norvegia e nei Pirenei. Diverse popolazioni, incluse quella carpatica e balcanica, non hanno invece uniformità di raccolta dati. In Italia ci sono due popolazioni: l’alpina, con un centinaio di esemplari, e quella appenninica, con la sottospecie di orso bruno marsicano che è la popolazione più piccola e minacciata in Europa. Il monitoraggio indica un'incoraggiante seppur limitata espansione geografica. La stima numerica basata sul campionamento genetico è datata (risale al 2014), ma un nuovo campionamento che porterà a una stima aggiornata è in preparazione per il prossimo anno. A livello globale, su tutti i 34 Stati considerati ci sono 20.500 orsi, con una crescita del 17% rispetto al 2016 e una espansione del 4% dell’area di presenza. Malgrado il trend generalmente positivo, diverse di popolazioni di orso sono ancora piccole e isolate dal punto di vista genetico.
Più importante è l’espansione geografica del lupo, con un aumento del 35% dell’areale di presenza e del numero di individui rispetto al 2016 (la stima complessiva è 23.000) in tutte e nove le popolazioni. Questo è però in parte legato al miglioramento della qualità del dato più che a un cambiamento effettivo, discorso che vale anche per la penisola italiana, nella quale è stato condotto un monitoraggio nazionale standardizzato e coordinato su tutte le regioni per la prima volta tra il 2020 e il 2021. Detto ciò, è innegabile la generale ripresa numerica e spaziale di questo predatore, caratterizzato da una grande adattabilità agli ambienti più disparati e dalla capacità di spostarsi in modo rapido e colonizzare nuove aree anche molto distanti da quella natale. Per il monitoraggio del lupo esistono due esempi virtuosi di stima transfrontaliera e coordinata tra diversi Stati sia per la popolazione alpina che per quella scandinava, ma in molte popolazioni si riscontra invece una discrepanza di metodi di stima in Paesi confinanti che condividono un'unica popolazione. Un altro canide che sta decisamente espandendo la sua area di presenza è lo sciacallo dorato, che dall’Est è arrivato in Europa occidentale, Italia inclusa: rispetto al 2016, l’areale complessivo è quasi raddoppiato (con un aumento del 46%). Per quanto riguarda il numero di individui però non si può parlare di stima, perché manca un monitoraggio sistematico della specie in tutti e 34 gli Stati. Quindi, secondo il report, potrebbero esserci fino a 150.000 esemplari, ma si tratta di un dato basato sui prelievi venatori, dove la specie è cacciabile, e dati di presenza occasionali, quindi da prendere con le pinze.
Meno marcato è invece l’aumento della lince eurasiatica: si contano complessivamente 9.400 animali in 11 popolazioni, con una crescita rispetto al 2016 del 12% e un ampliamento del 21% dell’areale. Un cambiamento che però potrebbe essere dovuto all’adozione di metodi di monitoraggio diversi per la popolazione baltica e carpatica. La ripresa numerica è in diversi casi legata a interventi di traslocazione, come per la popolazione dinarica e quella delle Alpi sudorientali. Nel 2017 la popolazione dinarica era in declino, fortemente compromessa da una scarsissima variabilità genetica dovuta all’esiguità degli individui fondatori della popolazione reintrodotta in Slovenia nel 1973. Sulle Alpi invece non si registravano più cucciolate. Il progetto europeo LIFE Lynx, che ha visto la collaborazione di Slovenia, Croazia, Italia, Romania e Slovacchia, ha permesso di salvare questa popolazione attraverso il trasferimento di 22 nuovi esemplari, di cui 20 provenienti dai Monti Carpazi e 2 dalla Svizzera. Sulle Alpi italiane sono state rilasciate 4 linci e lo scorso settembre è stata documentata una cucciolata dal Progetto Lince Italia. Altre popolazioni per le quali si è intervenuti con rilasci negli ultimi 7 anni sono quella dei Vosgi e della Foresta Nera in Germania, ma in entrambi i casi si tratta di popolazioni ancora esigue, formate da una decina di individui al massimo.
Il report LCIE non riporta invece informazioni sulla lince iberica che, come suggerisce il nome, vive tra Spagna e Portogallo. Una specie che è stata a un passo dall’estinzione e salvata da un decennale intenso lavoro di conservazione, che ha portato a una ripresa della popolazione del 22%, secondo la IUCN (Unione internazionale per la conservazione della natura) passando da specie a rischio critico di estinzione a specie vulnerabile.
Ultimo della lista è il ghiottone, 1.300 individui distribuiti in due popolazioni nella penisola scandinava, con una crescita del 16% rispetto al 2016, registrata in Finlandia, e un'espansione del 4%.
Il declassamento del livello di tutela del lupo
Un tema caldo e attuale è la proposta di abbassamento del livello di protezione del lupo, avanzata dall’UE lo scorso dicembre 2023 e approvata formalmente da parte degli Stati membri il 26 settembre 2024. La proposta è stata oggetto di discussione ed è stata adottata nella 44esima riunione della Standing Committee della Convenzione di Berna, che si sta svolgendo in questi giorni a Strasburgo. La Convenzione di Berna è uno strumento giuridico internazionale vincolante in materia di conservazione della natura, che copre gran parte del patrimonio naturale a livello di continente europeo. Ratificata a Berna nel 1979, la Convenzione è entrata in vigore nel 1981 ed è stata sottoscritta da 50 Parti (l'UE è una di esse). Fino a oggi, la convenzione ha classificato il lupo come specie “strettamente protetta”. La proposta UE, adottata ieri, è declassarlo a “specie protetta”. La modifica entrerà in vigore tra tre mesi, a meno che almeno un terzo delle Parti della Convenzione di Berna del Consiglio d'Europa non si opponga bloccando la proposta. Se a opporsi a questa decisione sarà meno di un terzo delle Parti, la decisione entrerà in vigore solo per i Paesi che non hanno espresso obiezioni. La Commissione Europea potrà quindi nei prossimi mesi proporre un adeguamento del regime di protezione del lupo nell'ambito della Direttiva Habitat, abbassando anche qui il livello di tutela attuale. Nel testo della proposta UE si legge che l'adattamento del livello di protezione servirà a garantire una maggiore flessibilità nella gestione delle crescenti conflittualità socio-economiche, ma che «l'adozione di sistemi di prevenzione dei danni resterà essenziale per garantire una coesistenza tra umani e grandi carnivori sostenibile». Il testo riconosce inoltre che, malgrado il lupo sia in netta ripresa, restano minacce alla sua conservazione quali il bracconaggio e l'ibridazione con il cane, ma è più vaga nelle sue conclusioni su come queste minacce continueranno a essere gestite.
Gli esperti della LCIE-IUCN hanno rilasciato nelle scorse settimane un position statement in cui esprimono preoccupazione per questa proposta di declassamento, perché non è supportata da solide evidenze scientifiche, come è invece previsto dalla Convenzione stessa. Basare un declassamento su una volontà politica non solo potrebbe compromettere gli sforzi di conservazione raggiunti finora, ma creare un precedente pericoloso per altre specie oggetto di tutela. Gli esperti LCIE sottolineano che non esistono evidenze scientifiche a supporto del fatto che una riduzione dello dello status di protezione possa alleviare i conflitti socio-economici legati alla presenza dei lupi. Al contrario, sostiene il position statement, i conflitti sociali più profondi difficilmente saranno risolti con un abbassamento del livello di protezione, perché questa decisione potrebbe soddisfare alcune parti interessate, ma scontentarne altre. Inoltre, il regime di protezione attuale previsto dalla Convenzione di Berna e dall'Allegato IV della Direttiva Habitat consente già l'abbattimento dei lupi quando necessario per prevenire gravi danni al bestiame o rischi per la sicurezza umana, quindi è già possibile intervenire in situazioni problematiche senza declassare il livello di protezione legale. Anche se il lupo è in generale ripresa ed espansione in Europa, il miglioramento dello stato di conservazione non è uniforme in tutte le popolazioni e, nella maggior parte dei casi, manca un sistema coordinato e robusto di stima degli effettivi, necessario per guidare le decisioni gestionali. La LCIE contempla quindi la possibilità di non arrivare a un declassamento tout-court per tutta Europa, ma a una distinzione a livello di direttiva delle singole popolazioni. Ma ancora una volta tale strategia dovrebbe essere supportata da solidi dati alla mano. Sottolinea inoltre che, anche qualora il lupo passasse da strettamente protetto a protetto, resterà comunque l’obbligo di garantire uno “stato favorevole di conservazione” e quindi la distribuzione attuale e la connettività tra le popolazioni. Sarebbe a tal punto ancora più sostanziale dotare gli Stati UE di linee guida per garantire il conseguimento di questo obiettivo, evitando forti discrepanze legislative e gestionali tra normative nazionali e internazionali, che renderebbero ancor più complessa la gestione delle tante popolazioni transfrontaliere.
La complessità del ritorno
Per secoli, i grandi predatori sono stati oggetto di una persecuzione sistematica che, unita alla perdita di habitat e alla diminuzione delle prede selvatiche, ne ha drasticamente ridotto le popolazioni, causando estinzioni locali su aree più o meno estese. Le predazioni sul bestiame e la potenziale pericolosità per le persone hanno da sempre reso complicata la relazione con questi animali, temuti e avversati antagonisti da un lato, ma con un fascino che li ha resi protagonisti di leggende, racconti e fiabe, simboli di casate, emblemi di forza. Ancora oggi, i grandi predatori sono un tema complesso e controverso, che trova spazio nei tavoli di discussione politica a vari livelli, da quello locale a quello internazionale, che diventa oggetto di disinformazione e infodemia e che genera accese polemiche tra fazioni opposte.
Il ritorno dei grandi carnivori nell’antropizzata Europa è un importante banco di prova per la società attuale. Questi animali sono quasi scomparsi per azione umana nel passato e ora, anche grazie alle politiche di tutela e a interventi di conservazione, stanno tornando, ma si trovano a condividere un territorio molto affollato (nel territorio UE, dove sono stimati per esempio 23.000 lupi, vivono circa 450 milioni di persone!), dove le occasioni di conflitto sono dietro l'angolo. La natura non è necessariamente un'immagine da cartolina ed è spesso, al contrario, non piacevole per i nostri parametri. Sicuramente i grandi carnivori incarnano alla perfezione questo dualismo e sono vittime da un lato di una secolare, a volte millenaria, demonizzazione, dall’altro di una visione iconica e che non ne accetta in egual misura la reale natura, non volendo considerare gli aspetti scomodi della presenza di questi animali. In mezzo sta l’imparare a coesistere con la natura reale, e preservarne la diversità e complessità, laddove coesistenza non è sinonimo né di armonia totale né di amore universale e incondizionato verso gli altri viventi, piuttosto la ricerca di un compromesso che garantisca la presenza di popolazioni vitali delle specie animali, che consenta la gestione attiva delle situazioni problematiche, ma al contempo valorizzi e promuova l’adozione di strumenti di prevenzione delle stesse. I grandi carnivori e la loro espansione europea, frutto in moltissime situazioni di sforzi tesi a scongiurare una estinzione nel passato, ci costringono a questo confronto, meritevole di un dialogo aperto e informato.