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Una nuova famiglia per le malattie orfane

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Le malattie rare non sono più orfane, ma per la ricerca italiana non è solo questa la buona notizia; è motivo di soddisfazione anche sapere che nella famiglia che le ha finalmente adottate spiccano nomi di spicco di casa nostra. Un consorzio internazionale chiamato International Rare Diseases Research Consortium, IRDiRC, ha infatti riunito le principali organizzazioni mondiali, pubbliche e private, impegnate contro le malattie rare. Lo scopo, ottimizzare gli sforzi e gli investimenti, coordinando nel miglior modo possibile tutti i più importanti progetti di ricerca in questo settore a livello globale. Proprio in questi giorni sono stati resi noti i nomi dei partecipanti ai comitati scientifici, e si è così saputo che tra questi ci sono Andrea Ballabio, direttore dell’Istituto Telethon di Napoli (Tigem) e Luigi Naldini, che dirige quello di Milano (Hsr-Tiget). «Dell’iniziativa si è cominciato a parlare più di un anno fa, in una riunione ristretta che si è tenuta in Islanda» spiega Lucia Monaco, direttore scientifico di Telethon. La fondazione italiana nata nel 1990 per finanziare e promuovere la ricerca scientifica sulle malattie genetiche ha aderito l’estate scorsa al progetto, subito dopo che la nascita del Consorzio era stata ufficialmente formalizzata, per iniziativa della Commissione europea e dei National Institutes of Health statunitensi, nell’aprile 2011, a Bethesda. «Alle organizzazioni che aderiscono viene chiesto di investire in ricerca sulle malattie rare almeno 10 milioni di dollari in 5 anni, un impegno perfettamente in linea con la missione di Telethon, che a tutt’oggi ha investito più di 300 milioni di euro per lo studio di queste patologie» spiega Monaco, entrata nel comitato esecutivo del Consorzio internazionale insieme con i portavoce di tutte le altre componenti. Si tratta per lo più di enti governativi o ministeriali; in questo panorama Telethon, quale ente non profit, rappresenta quindi un caso particolare, accolta tuttavia con favore sia per il prestigio che si è conquistata in questi oltre vent’anni di attività, sia per la consapevolezza che gran parte della ricerca genetica in Italia è sostenuta proprio grazie al lavoro di raccolta fondi del suo Comitato.

«Attualmente al Consorzio appartengono circa 23 organizzazioni che finanziano la ricerca sulle malattie rare in nove paesi di tre continenti» prosegue il direttore scientifico, che precisa: «Tuttavia le candidature sono ancora aperte ed è possibile che si aggiungano altri enti governativi, ricercatori, associazioni di malati, membri dell’industria farmaceutica e professionisti del settore sanitario». Monaco insiste sulla necessità di coinvolgere anche le aziende: «Una volta scoperta una possibile cura, sono loro che devono occuparsi dello sviluppo, della produzione e della distribuzione del farmaco, un iter particolarmente difficile in un settore, come quello delle malattie rare, in cui, dopo tanti sforzi, non si può contare su un altrettanto ingente ritorno economico, data la ristrettezza del mercato».

L’esperienza di questi anni tuttavia ha messo in evidenza come la ricerca sulle malattie rare sia importante per tutti, e non solo per la solidarietà dovuta nei confronti di chi ne è portatore: queste condizioni si sono infatti spesso rivelate modelli fondamentali per studiare meccanismi biologici implicati anche in altre patologie molto più comuni. Resta pur sempre vero, tuttavia, che i fondi a disposizione in questo campo non sono gli stessi devoluti a battaglie che interessano ampie fasce della popolazione. Ecco perché occorre utilizzarli al meglio, evitando ogni spreco.

«Un coordinamento internazionale permetterà di stabilire le priorità della ricerca a livello globale, di individuare aree scoperte e soprattutto di evitare duplicazioni» aggiunge Monaco. «Senza contare l’enorme acceleratore rappresentato dal fatto di favorire la circolazione delle idee tra le massime eccellenze scientifiche in questo campo». Quello della libera circolazione delle idee e dei risultati scientifici è un tema che sta molto a cuore a Lucia Monaco, ma più in generale è un cavallo di battaglia di Telethon. «Tutti i lavori prodotti grazie ai nostri finanziamenti pubblicati sulle riviste scientifiche, anche le più prestigiose, sono accessibili gratuitamente a tutti» puntualizza. « Telethon, che per prima in Italia ha aderito ai principi dell’open access, si fa carico della spesa». IRDiRC auspica che la messa in comune dei dati anche prima della loro pubblicazione, -- oltre che dei campioni biologici e delle casistiche dei pazienti -- valga anche per la ricerca che scaturirà dai gruppi aderenti al Consorzio: sul principio di perseguire la massima collaborazione sono tutti d’accordo, ma sono ancora da definire le modalità precise che permetteranno di far convivere i principi dell’open access (così da garantire controlli crociati e potenziare il ricircolo delle idee) con la necessità di tutelare i diritti di chi ha raggiunto dei risultati.

D’altra parte l’iniziativa è ancora in fase d’avvio e il comitato esecutivo ha appena nominato i tre comitati scientifici a cui saranno affidati tre aspetti fondamentali del lavoro. Uno, del quale farà parte Andrea Ballabio,si concentrerà sugli aspetti della diagnostica e in particolare, quindi, sugli studi di genetica e genomica: obiettivo, su questo fronte, arrivare al 2020 con uno strumento diagnostico per tutte le 6.000 malattie rare attualmente note. Il secondo comitato, cui parteciperà Luigi Naldini, dovrà invece lavorare sul fronte delle terapie, con il compito, non meno ambizioso, di rendere fruibili per i pazienti, entro la stessa scadenza, almeno 200 nuove cure. Fondamentale per il lavoro di entrambi sarà infine il supporto del terzo comitato, le cui competenze sono interdisciplinari e trasversali, spaziando dagli aspetti bioetici a quelli legali -- concernenti per esempio la privacy o il diritto informato --, dalla gestione delle biobanche, i cui campioni sono indispensabili per la ricerca, a quella dei registri pazienti, dai quali reclutare i partecipanti ai trial.

«Il terzo livello di governance, dopo quello del comitato esecutivo e quello dei tre comitati scientifici,  sarà quello dei gruppi di lavoro: vi parteciperanno i vari ricercatori coinvolti in prima persona nei progetti di ricerca, in modo tale da attivare sinergie tra i vari gruppi e fornire indicazioni ai comitati scientifici sulle linee di indirizzo da seguire, suggerendo per esempio quali aree sono già sufficientemente coperte e quali invece richiedono maggiori investimenti in termini di tempo e di denaro» conclude Lucia Monaco.

Roberta Villa


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