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Opportunity, fine del viaggio

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Opportunity fotografa le tracce lasciate sulle dune marziane; l’immagine è stata scattata nel maggio 2010, in prossimità del solstizio d’inverno per Marte. Il zigzagare del rover su e giù per le dune è dettato dalla necessità di orientare al meglio i pannelli solari per sfruttare al massimo la ridotta luminosità solare. Crediti: NASA/JPL-Caltech

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Lo scorso 12 febbraio gli ingegneri del Jet Propulsion Laboratory della NASA hanno compiuto l’estremo tentativo di ristabilire le comunicazioni con il rover marziano Opportunity. Ai comandi di ripristino, inviati dall’antenna di 70 metri del Deep Space Complex di Goldstone, non è seguita nessuna risposta del rover e il giorno seguente la NASA ha deciso di dichiarare ufficialmente conclusa la missione di Opportunity. Era dal 10 giugno scorso che il rover aveva cessato ogni comunicazione con il centro di controllo e quell’ultimo tentativo ha messo fine a una strategia di recupero che stava durando ormai da otto mesi. Cala dunque il sipario su una tra le più riuscite e longeve missioni di esplorazione interplanetaria.

Incredibili risultati

Un paio di numeri sono più che sufficienti per mostrare l’eccezionalità della missione di Opportunity. Quando, una ventina di giorni dopo il gemello Spirit, il 24 gennaio 2004 Opportunity iniziò il suo lavoro su Marte, si sperava riuscisse a resistere a quelle proibitive condizioni ambientali per 90 giorni: tale, infatti, era la durata prevista per la sua missione. Ora possiamo dire che, giunto al capolinea della sua attività, il rover della NASA ha resistito per ben 15 anni, inviando a terra oltre 217 mila immagini e percorrendo più di 45 chilometri sull’arida superficie marziana. Con il suo percorso da maratoneta, Opportunity si colloca al primo posto tra i veicoli che hanno battuto superfici extraterrestri. Questa curiosa classifica vede al secondo posto il veicolo sovietico Lunokhod che, nel 1973, percorse 39 chilometri sul suolo lunare e, al terzo posto, il Lunar rover che, nel 1972, scarrozzò sulla Luna per quasi 36 chilometri gli astronauti dell’Apollo 17. Ripensando alla grande emozione suscitata nel luglio 1997 da Sojourner, il primo rover impiegato per l’esplorazione di Marte, fanno quasi tenerezza quei suoi 104 metri percorsi all’ombra del suo lander. Per quanto esaltanti, però, questi numeri non riescono a esprimere l’eccezionale portata scientifica del lavoro di Opportunity; proviamo dunque a segnalare gli aspetti più importanti.

Indagare sul passato del pianeta era tra i compiti primari del rover e fin dalle prime osservazioni a Meridiani Planum è apparso chiaro che Marte non era sempre stato secco e arido come lo è ora. Fondamentale la scoperta, proprio all’interno del cratere Eagle dal quale aveva iniziato il suo cammino, di numerose sferule contenenti ematite, chiamate in modo fantasioso mirtilli. Poiché sulla Terra grani cristallini di dimensioni simili e contenenti ematite si formano solitamente in un ambiente umido, scoprirne su Marte era la prova importante che anche il pianeta rosso, in epoche passate, era caratterizzato da un ambiente ricco d’acqua.

Nel dicembre 2011, nei pressi del bordo del cratere Endeavour, Opportunity si imbatte in qualcosa di assolutamente nuovo. Individua infatti la presenza di brillanti venature, probabilmente costituite da gesso, depositate dall’acqua quando, scorrendo attraverso le fratture delle rocce nel sottosuolo, lasciava dietro di sé il calcio. Un ulteriore punto a favore dell’idea che, in passato, Marte potesse contare su un ambiente di gran lunga più favorevole per la vita di quanto non lo sia ora. Ancora più interessanti sono le sorprese nascoste dalla roccia denominata Esperance, esaminata da Opportunity nel maggio 2013 sempre nei pressi del cratere Endeavour. Dopo aver rimosso il materiale superficiale grazie al suo RAT (Rock Abrasion Tool), il rover utilizza lo spettrometro APXS (Alpha Particle X-Ray Spectrometer) per identificare la composizione chimica della roccia. Il responso è che si tratta di una roccia con composizione piuttosto differente da quella delle rocce in cui si era imbattuto Opportunity negli anni precedenti, più ricca di alluminio e silice e più povera di calcio e ferro. Poiché minerali argillosi come questo si formano in depositi ricchi d’acqua con pH neutro, questa roccia testimonia che da quelle parti esistettero condizioni davvero favorevoli per il potenziale sviluppo della vita.

Non possiamo, infine, non sottolineare come per più di 14 anni Opportunity abbia registrato importanti caratteristiche dell’ambiente marziano, raccogliendo preziose informazioni sulle nubi, la polvere e l’opacità dell’atmosfera di Marte e su come questi elementi influenzino la produzione di energia dei pannelli solari. Informazioni che si riveleranno cruciali per le future missioni, soprattutto quando si dovranno pianificare i dettagli di una possibile missione umana. Non è certo un dettaglio secondario che Opportunity sia stato messo fuori uso proprio dalle avverse condizioni ambientali.

Panoramica ottenuta dalle riprese raccolte da Opportunity il 15 settembre 2009 (Sol 2006). Lasciatosi il cratere Victoria alle spalle nell’agosto 2008, il rover era in cammino verso il cratere Endeavour, destinazione che avrebbe raggiunto solamente all’inizio dell’agosto 2011. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Damia Bouic

Il rischio delle tempeste di polvere

Marte è un pianeta ostile anche per un rover: le sue basse temperature, infatti, costituiscono un notevole rischio per le componenti elettroniche. È pur vero che, in una calda giornata estiva, all’equatore di Marte si possono anche raggiungere i 20°C, ma nella notte la temperatura crollerà inesorabilmente a più di 70°C sotto lo zero. La disponibilità di energia per poter mantenere l’elettronica a temperature adeguate è dunque un fattore cruciale. A differenza del rover Curiosity, entrato in servizio nell’agosto 2012, Opportunity non poteva contare su un generatore di energia al plutonio, ma dipendeva esclusivamente dai suoi pannelli solari.

Un problema ben noto ai progettisti era legato al fatto che, con il passare del tempo, la polvere sospesa nella tenue atmosfera marziana si depositasse sui pannelli riducendo la loro efficienza di produzione energetica. Furono dunque piacevolmente sorpresi quando si accorsero che i venti marziano avevano anche il potere di ripulire i pannelli dalla polvere. Si doveva però mettere in conto anche l’innescarsi di fenomeni molto più critici, quali le tempeste di polvere che avvolgono l’intero pianeta rendendo davvero problematico il funzionamento dei pannelli solari. Un’atmosfera più opaca per la diffusa presenza di polvere in sospensione, infatti, risulta fatale per i pannelli solari, sia per lo strato di polvere che inevitabilmente vi si deposita, sia per la drastica riduzione della luce solare. Opportunity aveva già dovuto affrontare una situazione di questo tipo nell’estate 2007 e non solo ne era uscito indenne, ma aveva sfruttato l’occasione per raccogliere importanti informazioni sul deterioramento delle condizioni dell’atmosfera e sul progressivo aumento della sua opacità.

Deterioramento delle condizioni atmosferiche in occasione della tempesta che ha avvolto Marte nell’estate 2007. I numeri nella parte superiore dell’immagine riportano il valore dell’opacità atmosferica (indicata con la lettera greca tau): più il numero è basso, più il cielo è limpido. Nella parte inferiore dell’immagine sono indicate le date (in Sol) e l’ora locale della rilevazione. Da sinistra a destra, in date terrestri, abbiamo le rilevazioni del 14 e del 30 giugno e quelle del 5, del 13 e del 15 luglio. Si può notare che il valore di tau il 15 luglio 2007 era 4,7. Lo scorso 10 giugno, giorno in cui si sono definitivamente persi i contatti con Opportunity, l’ultima rilevazione di tau raccolta dal rover aveva raggiunto il valore record di 10,8. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Cornell

Opportunity non ha proprio potuto far nulla, però, quando si è trovato nel bel mezzo della violenta tempesta che ha interessato Marte la scorsa primavera, una delle più intense mai osservate. Alcuni dati sulla produzione energetica dei suoi pannelli possono dare un’idea della drammaticità della situazione. Mentre il 22 maggio, dunque prima che la tempesta marziana raggiungesse Opportunity, i pannelli solari avevano garantito 664 Wh (Wattora) di energia, il 4 giugno la produzione era scesa a 354 Wh e sei giorni più tardi era crollata a 21 Wh, un livello mai raggiunto nei 15 anni di missione. Da quel 10 giugno, nonostante i ripetuti tentativi del centro di missione, il rover non ha più dato alcun segno di vita. Ed è probabilmente proprio in quel giorno che si è consumata la sua fine.

Il grafico mostra in giallo la disponibilità di energia (in wattora) per Opportunity e in blu il valore dell’opacità dell’atmosfera (tau). I dati riguardano il periodo che va dal 26 dicembre 2017 (Sol 4950) al 10 giugno 2018 (Sol 5111). Impressionante il drammatico crollo dei valori dell’energia il 10 giugno.

Alla NASA non hanno subito buttato la spugna e, pazientemente, hanno provato e riprovato a ristabilire il contatto con Opportunity. Alcuni rumors incontrollati avevano fatto accendere una debole speranza in agosto e un’altra in novembre, ma subito si erano rivelate voci senza alcun fondamento. A inizio febbraio ammontavano a ben 835 i tentativi effettuati, purtroppo senza risultato. Ovviamente la situazione non poteva durare e, dopo un estremo e vano tentativo di comunicazione avvenuto la sera del 12 febbraio, il giorno seguente la NASA dichiarava ufficialmente conclusa la missione di Opportunity. Nove anni dopo aver fermato il rover gemello Spirit, il cui ultimo messaggio venne raccolto il 22 marzo 2010, le avverse condizioni di Marte hanno avuto ragione anche di Opportunity.

 


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