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Perché irrobustire e non alleggerire le valutazioni preventive di impatto ambientale e sanitario

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Tra le riforme all’attenzione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza c’è la procedura di valutazione dell’impatto ambientale. Una semplificazione di questa procedura viene proposta come un requisito fondamentale per accelerare l'attuazione dei progetti previsti dal Piano, ma il rischio è quello di indebolirne la funzione. Per evitarlo gli autori suggeriscono di rendere queste valutazioni più efficienti e veloci sviluppando una sinergia con le valutazioni di impatto strategico, tenendo sempre alta l'attenzione sugli aspetti che riguardano la salute delle popolazioni che abitano nelle aree interessate.

Immagine: pix4free.

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Tra le riforme della Pubblica Amministrazione all’attenzione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) c’è la procedura di valutazione dell’impatto ambientale, abbreviata con l’acronimo VIA, individuata come “collo di bottiglia” sia a livello di statale (che interessa le opere più rilevanti) che regionale (che interessa opere di competenza regionale). Questa riforma si inserisce tra quelle finalizzate a semplificare e accelerare le procedure direttamente collegate all'attuazione del PNRR e quindi, nelle intenzioni del Governo, da attuarsi in tempi rapidi.

La sinergia con la valutazione ambientale strategica

Il punto di partenza del ragionamento alla base del PNRR sono le inefficienze e lungaggini che spesso caratterizzano l’elaborazione delle valutazione di impatto ambientale. Sul banco degli imputati la scarsa qualità degli studi di impatto ambientale, i cosiddetti SIA, che devono essere realizzati a cura del proponente l’opera. Non c’è dubbio che, seppure siano passati oltre tre decenni dall’introduzione della valutazione di impatto ambientale in Italia1, problemi di qualità e di inefficienza siano ancora frequenti. Le carenze degli studi di impatto ambientale impongono da parte del valutatore l’avvio di faticose interlocuzioni, con richieste di integrazioni, in contesti spesso caratterizzati da forti pressioni trans-tecniche, e il tutto implica inevitabilmente un allungamento dei tempi. A questo è da aggiungere una considerazione anche a riguardo dell’adeguatezza delle commissioni VIA, nazionale e regionali, spesso sottodimensionate o bloccate per lunghi periodi in attesa di farraginosi iter di rinomina. È questo il caso di quella nazionale che solo da metà 2019 è ripartita trovandosi una moltitudine di progetti depositati e mai valutati prima a causa di un lungo stallo.

Anche il rilascio di pareri da parte degli enti tecnici per le valutazioni regionali (aziende sanitarie e agenzie protezione ambiente) è reso difficoltoso dalla carenza di personale dedicato e idoneamente formato e dall'insufficiente confronto tra gli stessi enti tecnici. Il rafforzamento in termini di personale e procedure è basilare anche per attuare un maggiore coinvolgimento delle comunità locali, una volta che sarà recepita dall'Italia la recente esortazione della CE ad allineare la normativa (d.lgs 104/2017) in senso più partecipativo.

In questa situazione, la spinta all’accelerazione e semplificazione si trova a fare i conti col rischio di un ulteriore indebolimento della procedura, con conseguenza concreta di autorizzare impianti e interventi con impatti ambientali anche molto significativi.

Noi riteniamo che sia possibile accelerare e in generale rendere più efficiente l’elaborazione della valutazione di impatto ambientale senza indebolire la sua funzione, anzi migliorandone le prestazioni. Per ottenere questo è necessario sviluppare una reale sinergia tra valutazione di impatto ambientale e valutazione ambientale strategica (la cosiddetta VAS, che in Italia valuta i piani e i programmi e che in altri contesti valuta anche le politiche) e fare seriamente i conti con gli aspetti che riguardano gli impatti sulla salute, di pertinenza delle valutazioni di impatto sanitario, incluse sia nelle valutazioni di impatto ambientale che in quelle ambientali strategiche.

Il razionale è che la valutazione di impatto ambientale di opere assoggettate trarrebbe grande vantaggio dalle valutazioni ambientali strategiche dei piani e dei programmi in cui le opere sono incardinate. Certo, le valutazioni ambientali strategiche andrebbero fatte come si deve, e per questo è necessario che gli obiettivi di sostenibilità a livello nazionale siano corredati di target quantitativi, che dovrebbero essere adottati nella Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile e declinati anche a livello regionale e locale. Attualmente la mancanza di tali target quantitativi limita l’utilità della valutazione ambientale strategica, fornendo argomenti a chi considera tali procedure delle inutili complicazioni burocratiche che hanno come unico effetto quello di allungare i tempi. Invece, una valutazione ambientale strategica ben fatta, oltre a verificare la sostenibilità dal punto di vista ambientale delle azioni previste nel piano, rende molto più agevoli, rapide ed efficaci le valutazioni di impatto ambientale delle opere di pertinenza del piano/programma.

Non si può nascondere il rischio che questa integrazione virtuosa tra valutazioni ambientali strategiche e di impatto ambientale, con la definizione di target quantitativi di sostenibilità, possa richiedere tempi lunghi rispetto alle esigenze delle autorizzazioni delle opere previste dal PNRR. Ma anche qui, come per la valutazione di impatto ambientale, si tratta di adeguare le strutture e le procedure tecniche mirate al raggiungimento di obiettivi di sostenibilità corredati delle opportune metriche, che ne permettano una trattazione quantitativa sia in fase di valutazione che di monitoraggio e rendicontazione.

Nell’immediato va finalizzata l’adozione delle Norme Tecniche per la redazione degli Studi di Impatto Ambientale pubblicate a maggio 2020 dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA)2, adozione prevista dalla normativa vigente. Le modifiche normative introdotte con il Decreto Legislativo n. 104 del 2017 alla parte seconda del Testo unico dell’ambiente prevedono infatti che siano adottate, su proposta del SNPA, linee guida nazionali e norme tecniche per l'elaborazione della documentazione finalizzata allo svolgimento della valutazione di impatto ambientale. Tra l’altro, le vecchie norme tecniche sulla valutazione di impatto ambientale del 1988 non sono più in vigore, col risultato che attualmente chi realizza uno Studio di Impatto Ambientale non ha una normativa tecnica di riferimento.

Per concludere, l’adozione delle nuove norme tecniche, dove la sinergia tra valutazioni di impatto ambientale e valutazioni ambientali strategiche viene esplicitamente considerata e ci sono indicazioni su come gestirla negli studi di impatto ambientale (anche nelle more dell’adozione dei target quantitativi di sostenibilità di cui sopra), sarebbe di enorme utilità sia per i proponenti che per i valutatori, ed è fondamentale per velocizzare la procedura senza sminuirne l’efficacia, anzi incrementandola.

L’impatto sulla salute

Il secondo corno del problema relativo alla valutazione di impatto ambientale è la valutazione di impatto sulla salute, abbreviata con VIS. Anche questa considerata spesso un “collo di bottiglia”, può invece essere uno strumento preventivo utile a migliorare progetti non impattanti e a evitare quelli impattanti.

La necessità di valutare ex-ante l’impatto sulla salute di interventi per cui è richiesta la valutazione di impatto ambientale è contemplata dal D.lgs. 104/2017, in recepimento della Direttiva 2014/52/UE. Nella legge vigente, la realizzazione da parte del proponente di uno studio di impatto sulla salute è richiesta per progetti di grandi impianti (Art.12) ma la protezione della salute umana è al primo posto tra le finalità da perseguire (art. 1) e tra gli effetti significativi, diretti e indiretti, che devono essere considerati (Art. 2).

Recenti linee guida per la valutazione di impatto sulla salute (Rapporto ISTISAN 19/9) danno ai proponenti indicazioni, strumenti e metodi per effettuare studi validi e in tempi circoscritti. Le commissioni di valutazione, sia quella nazionale che quelle regionali, sono chiamate a contenere i tempi, ma possono contare su un numero limitato di esperti (in quella nazionale ci sono solo tre esperti in materie sanitarie su 40, un numero che non tiene minimamente conto della mole di attività della commissione).

Nella elaborazione delle valutazioni di impatto sulla salute è importante considerare in modo appropriato le condizioni ambientali e di salute esistenti in aree già impattate, con presenza documentata di popolazioni esposte o rese fragili da esposizioni pregresse, a volte di lungo periodo, basti pensare a zone della pianura padana, a siti industriali attivi e alle numerose aree da bonificare. In queste aree sono richiesti, e fortunatamente disponibili, standard e strumenti di valutazione in grado di tenere conto dei livelli di inquinamento e di salute di background esistenti nelle aree di impatto dei nuovi impianti o interventi.

L’inserimento in un ambito valutativo di ampia scala, che riguardano cioè intere aree e non singoli impianti, può favorire l’accettazione degli interventi da parte delle comunità e delle amministrazioni locali, evitare complicati contenziosi sul piano giuridico, questi sì in grado di allungare i tempi oltre misura e di accentuare la sfiducia tra cittadini e istituzioni. In situazioni di fragilità socio-sanitaria riconosciuta, resa recentemente evidente dalla maggiore aggressività della pandemia in aree inquinate, occorre considerare adeguatamente le istanze dei soggetti esposti, condizione essenziale per svolgere valutazioni valide e - non secondariamente - per evitare ingiustizie ambientali.

Inoltre, due ulteriori aspetti spesso trascurati sono la potenzialità di questi strumenti di valutare gli effetti positivi e l’utilità in fase ex-post di monitoraggio degli interventi.

Infine, in relazione ai molti progetti delineati nel PNRR, che faranno largo uso di tecnologie provate e innovative in tanti settori di sviluppo diversi, tra cui energetica, mobilità e agro-zootecnia, mentre è condivisibile l’obiettivo di rendere più efficienti le valutazioni, è difficile non preoccuparsi degli effetti di un loro alleggerimento o eccessiva velocizzazione, avendo l’obiettivo di massimizzare benefici e co-benefici ma anche di evitare malefici e co-malefici.

Note
1 La VIA è stata introdotta in Italia con la legge 349/86, che all’Art. 6 stabiliva “l’istituzione del Ministero dell’ambiente e di norme in materia di danno ambientale”. Con la L.349/86 veniva recepita, seppur parzialmente, la Direttiva del Consiglio Europeo 337/85/CEE. Seguivano poi: (i) il decreto attuativo D.P.C.M. n 377 del 10 agosto 1988 che individuava le categorie di opere soggette a pronuncia di compatibilità ambientale a quelle riportate nell’Allegato I della prima Direttiva Europea; (ii) il D.P.C.M. del 27 dicembre 1988 che introduceva le norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale e la formulazione del giudizio di compatibilità per le sole opere a rilevanza nazionale. Si definivano così le finalità dell’istruttoria, le modalità tecniche di partecipazione, la documentazione che il proponente è tenuto ad allegare alla domanda di compatibilità ambientale: (i) lo Studio di Impatto Ambientale (SIA) strutturato seguendo i quadri di orientamento programmatico, progettuale ed ambientale, comprese le caratterizzazioni e le analisi; (ii) la sintesi non tecnica destinata alla divulgazione pubblica; (iii) la documentazione comprovante l’avvenuta pubblicazione.
Del Sistema Nazionale a rete per la Protezione dell’Ambiente (SNPA), istituito con la legge numero 132 del 2016, fanno parte l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) e le agenzie regionali e delle province autonome di Trento e Bolzano per la protezione dell’ambiente (ARPA/APPA).

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