
L'astrofisico Roberto Trotta ci guida alla riscoperta del cielo stellato, patrimonio universale che stiamo perdendo tra inquinamento luminoso e satelliti artificiali.
«Rischiamo di perdere per sempre il cielo stellato, protagonista indiscusso della letteratura, musica, mitologie e religioni di ogni cultura e tempo, e con esso la consapevolezza ecologica del nostro ruolo nell’Universo», racconta Roberto Trotta, astrofisico della Scuola internazionale di studi avanzati (SISSA) e autore di Il cielo stellato sopra di noi. Storia dell’umanità senza gli astri, pubblicato a marzo da Il Saggiatore. Il saggio racconta il ruolo dell'osservazione e dello studio del firmamento tra storia e scienza, e di come rischiamo di perdere il legame con il “cielo stellato”.
Abbiamo approfondito con Trotta alcuni degli aspetti trattati nel saggio.
Perché il cielo stellato è così importante per noi?
Perché è uno dei pochi aspetti universali della vita umana. Il cielo stellato sopra di noi ci accompagna da sempre e unisce l'esperienza di tutti i popoli lungo la storia. L'aspetto più importante è che ha una ciclicità intrinseca: l'alternanza del giorno e della notte, le fasi lunari, il ritorno periodico delle costellazioni, i movimenti dei pianeti. Questa ciclicità, dal punto di vista non solo pratico ma anche simbolico, ha influenzato la nostra esperienza sensoriale prima e l’indagine scientifica poi, ma anche la nostra capacità di vederci parte di un contesto naturale. Allo stesso tempo si è diffusa universalmente la visione di una natura non completamente controllabile o prevedibile, a causa di fenomeni la cui ciclicità sfuggiva alle culture prescientifiche, come le eclissi solari o le comete, inattese, spaventose e terrificanti proprio perché distruggono la ciclicità della natura.
Questo ci riporta indietro nella nostra storia evolutiva. Qual è stato il ruolo del cielo stellato nello sviluppo di Homo sapiens?
Uno dei temi del libro è andare a riscoprire collegamenti insospettabili o dimenticati con il cielo stellato. Uno di questi riguarda il fatto che siamo una specie che, da sempre, racconta delle storie. Le culture più antiche davano una grande importanza alla leggenda, al mito, raccontavano le storie oralmente e la maniera migliore per ricordarle era di ancorarle a oggetti o fenomeni naturali permanenti, che non sarebbero cambiati non solo nel corso di una vita umana ma di tante generazioni. Tutte queste conoscenze legate a storie, miti e fiabe dovevano essere imperiture e come tali sono state legate a qualcosa di permanente come gli oggetti celesti.
Il cielo stellato ha svolto il ruolo di àncora mnemonica su cui abbiamo appeso le nostre memorie collettive, non solo di storie e leggende, ma anche aspetti pratici come la navigazione e la misura del tempo.
Tra gli effetti duraturi della visione del cielo stellato c’è anche la rivoluzione scientifica. Dunque, possiamo dire che ci ha lasciato solo influenze positive?
No, ci sono anche degli effetti negativi insospettabili ma altrettanto importanti. Per esempio, c’è una connessione tra l’idea di regolarità di misura delle stelle e l’irregolarità di certi aspetti umani che l’eugenetica nazista voleva eliminare. Questo nasce con lo studio degli errori di misura degli astri fatti verso la fine del 1800. L’astronomo belga Adolphe Quetelet scoprì che la distribuzione degli errori astronomici si applicava anche a tutta una serie di affari umani come le misure del corpo, nascite e morti ma anche, secondo lui, alle capacità intellettuali e la propensione a commettere crimini. Si aprì quindi in modo imprevisto un nuovo ambito di studio quantitativo legata al concetto di “normalità”. Tutto ciò che usciva dalla distribuzione matematica normale era abnorme, aberrante, e come tale doveva essere eliminato. Queste idee hanno direttamente ispirato l’eugenetica nazista e sono all’origine del mito dell’”uomo medio” che la sociologia fa ancora fatica a scrollarsi di dosso.
Stiamo rischiando di perdere il cielo stellato oggi?
Purtroppo sì. Ormai la maggior parte della popolazione vive in megalopoli in cui il cielo non si vede. Non abbiamo più un'esperienza genuina, anche perché i satelliti artificiali, in rapidissima crescita grazie ai vari Elon Musk, vanno a rovinare l'effetto sublime del cielo stellato. Entro il 2035 potrebbero superare il numero delle stelle vere visibili. Rischiamo di perdere non solo la connessione simbolica con il cielo, ma anche la capacità di ammirarlo e di riconnetterci con questa presenza da sempre fondamentale e universale e che ora ci viene preclusa da questo doppio fenomeno: l'inquinamento luminoso e l'inquinamento satellitare.
Quali potrebbero essere le conseguenze?
Rischiamo di non poterci più riconnettere al nostro passato e le conseguenze culturali sarebbero paradossali. Da un lato siamo abituati a vedere immagini stupende dello spazio profondo attraverso i mezzi digitali, come quelle del James Webb Space Telescope. Dall'altro però non siamo più in grado di percepire questa bellezza con i nostri occhi e i nostri sensi. E questo ha una conseguenza anche ecologica: lo spazio e il cielo stellato sono una delle frontiere della preservazione della natura che ci circonda, perché quello che non vediamo ci è sempre più lontano e ci importa sempre meno che venga distrutto.
La frontiera dello spazio satellitare segue una narrativa neoimperialista e neocolonialista: quei pochi che hanno i mezzi politici ed economici di accedere alle risorse e sfruttarle lo faranno. Questo avviene perché la nostra relazione non solo fisica ma culturale, simbolica e psicologica con il cielo stellato è ormai praticamente recisa.
Cosa possiamo fare a riguardo?
Il libro si chiude con l’invito a “diventare dei buoni antenati”. È un’espressione di Jonas Salk, l’ideatore del vaccino della polio. Io lo interpreto come un invito a riflettere su che genere di vita e di pianeta vogliamo lasciare ai nostri discendenti, pensando non solo al nostro bisogno attuale, concreto e limitato, ma a cicli temporali più grandi, intergenerazionali. Sarebbe bello se come civiltà riuscissimo a vivere un po' di più seguendo il respiro delle stelle, con una prospettiva temporalmente e spazialmente più ampia e ad accettare il fatto che siamo temporanei ospiti di questa terra, minuscoli nella vastità del cosmo. Queste pillole di umiltà stellari forse ci aiuterebbero a cambiare direzione, controbilanciando l’arroganza di Homo sapiens che ha preso il controllo del pianeta e non ne sta facendo un buon uso. Questo significherebbe diventare migliori antenati, non solo per i nostri figli e i loro figli, ma anche per tutte le creature terrestri il cui destino è inestricabilmente legato al nostro.
Pensa che ci riusciremo?
Oggi non vedo segni molto incoraggianti, onestamente. Però per affrontare questo difficile passo su scala planetaria credo che sia utile mantenere un’attitudine di guerriglia. Forse non possiamo sabotare questo Golia enorme perché ha una potenza di fuoco che l'individuo difficilmente può contrastare, però come persone e come comunità possiamo tenere accesa la fiamma del fatto che c'è un'altra maniera di intendere la vita, la società, il nostro rapporto con il cosmo e con l'ambiente. Questo si può fare attraverso piccoli atti di guerriglia, di disobbedienza civile e scientifica, utilizzando la scienza e ciò che sappiamo dell'Universo per prendere decisioni contrarie all’indirizzo planetario in cui stiamo andando.