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Il pianeta a 1,5 gradi in più: un rapporto dell'IPCC

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Crediti: icon0.com/Pexels. Licenza: Pexels License

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Lunedì 8 ottobre è stato dato ufficialmente alle stampe e distribuito gratuitamente in Internet “Global Warming 1.5 °C”, un Rapporto speciale dell’IPCC

sugli impatti del riscaldamento globale di 1,5 gradi sopra i livelli pre-industriali e i relativi percorsi delle emissioni di gas climalteranti, nel contesto di rafforzare la risposta globale alla minaccia del cambiamento climatico, dello sviluppo sostenibile e degli sforzi per sradicare la povertà

Prodotto dai più competenti scienziati che, nelle diverse discipline, si occupano di cambiamenti climatici in tutti i loro aspetti (mitigazione, adattamento, politiche economiche e sociali, ecc.), il rapporto sintetizza la recente letteratura scientifica a beneficio dei decisori politici, economici e sociali.

Perché è tanto importante? In una battuta, perché quando il prossimo rapporto “ordinario” dell’IPCC vedrà la luce (nel 2023), è probabile che sarà già stato esaurito il “carbon budget” per mantenere le temperature medie globali al di sotto di 1,5 °C. Una delle questioni affrontate dal rapporto è infatti quante emissioni di gas serra è possibile aggiungere prima che questo accada, in quanti anni questo potrebbe accadere, e se e come potrebbe essere possibile evitarlo.

Ma vediamo più ordinatamente le cinque questioni che potrebbero ricevere dal rapporto una più solida analisi.

  1. Che cosa vuol dire un mondo più caldo di 1,5 °C rispetto ai livelli pre-industriali? Oggi l’incremento delle temperature globali rispetto ai livelli pre-industriali è pari circa a 1°C. Via via che emettiamo gas climalteranti, impegniamo il pianeta a un aumento della temperatura media mondiale sostanzialmente lineare con il totale cumulato delle emissioni. Già oggi vediamo effetti devastanti del riscaldamento globale in fatto di siccità, crisi alimentari, tensioni geopolitiche e maggiore gravità degli uragani. Quali saranno la conseguenza nel breve e medio termine di un mondo più caldo di oggi? In quali regioni si avranno degli effetti differenziati rispetto alla media mondiale? E quindi: quali azioni di adattamento posso essere intraprese? Quali hanno effettivamente una probabilità di essere intraprese, dati gli esistenti vincoli economici, cognitivi, emotivi e di potere?
  2. Quali sono le conseguenze sul lungo periodo del non rispettare l’obiettivo di +1,5 °C (o +2 °C)? Negli ultimi anni numerosi articoli scientifici hanno segnalato la gravità delle conseguenze sul lungo periodo (prossimi secoli e millenni) del riscaldamento globale, per la possibilità di destabilizzazione delle calotte glaciali ai poli (in particolare Groenlandia e Penisola Ovest Antartica). Quale è il sea level rise committment, ossia l’inevitabile aumento del livello del mare, derivante dagli attuali livelli di gas serra nell’atmosfera e dai livelli collegati a diversi scenari di temperature? Quante terre emerse potrebbero essere sommerse dai mari? Quanti milioni di persone dovranno spostarsi e trovare una nuova casa?
  3. Che cosa occorre fare per limitare a “solo” +1,5 °C il riscaldamento climatico? Se la comunità degli esperti dell’adattamento vede l’approssimarsi della soglia +1,5 °C solo come un punto di passaggio imminente dalle temperature attuali (che in alcuni Paesi sono comunque ben superiori di 1,5 °C alle medie passate) verso temperature ancora più elevate (2, 3, 4, 5 gradi), nella comunità che si occupa di mitigazione si tende a vedere +1,5 °C come un obiettivo forse troppo ambizioso, da cogliere con tecnologie straordinarie e non ancora disponibili. Di quali tecnologie e con che rapidità di innovazione, diffusione e trasferimento internazionale abbiamo bisogno per non superare +1,5 °C? Stabilizzare le temperature significa azzerare le emissioni nette: quando (al più tardi) questo può avvenire per rimanere dentro il “carbon budget”, cioè il totale cumulato di emissioni cui corrisponde quell’incremento di temperatura? E se si supera questo limite, ci sono metodi che potrebbero riportare la temperatura giù a quel livello, con quella che viene chiamato in inglese una “traiettoria di over-shooting”? Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di una simile traiettoria? Inoltre: vi è simmetria (oppure no) tra le quantità di emissioni che servono per riscaldare e quelle che “per sottrazione” consentirebbero una riduzione delle temperature? Come è andata negli ultimi anni la ricerca e sviluppo di tecnologie a “emissioni negative” e che impatto avrebbe una loro estensione ad ampia scala?
  4. Vale la pena spostare l’obiettivo internazionale a +1,5 °C oppure va confermato il “ben al di sotto dei due gradi”? È ormai superato – perché troppo pericoloso – l’obiettivo di +2 °C introdotto alla COP15 di Copenaghen nel 2009. Ma l’Accordo di Parigi, puntando a “ben al di sotto dei due gradi”, non ha chiarito cosa si intenda con tale espressione in termini numerici; una chiarezza di cui sentono grande bisogno gli scienziati delle scienze “dure”, e chi usa modelli quantitativi. Molta letteratura recente ha cercato di stabilire se vi siano differenze apprezzabili tra +1,5 °C e +2 °C in fatto di impatti (ad esempio per la regione Mediterranea, per le medie latitudini e per i paesi caraibici, nonché specificamente sul tema della salute), e quali siano i pro e i contro dei due obiettivi. L’intera discussione appare oziosa, a qualcuno, visto che anche la piena implementazione degli attuali impegni nazionali (NDC) nell’ambito dell’accordo di Parigi porta ad un mondo tra i 2,6 e i 3,2 °C più caldo.
  5. Se, come e di quanto dovrebbero essere rivisti i Contributi determinati a livello nazionale (NDC)? Che ruolo può svolgere l’IPCC in questo processo? Questo è il primo rapporto dell’IPCC esplicitamente richiesto dalle parti negoziali dell’UNFCCC. Ha il compito di inserirsi nel percorso che, dal Talanoa dialogue, una forma di confronto politico inclusivo, di cui abbiamo scritto in passato, deve portare, durante la prossima COP24 di Katowice (Polonia) ad un Dialogo facilitativo che dia forma alla revisione degli impegni pre-2020. Il rapporto potrebbe indicare una percentuale media di incremento dell’ambizione (e quindi del taglio delle emissioni) o una stima della necessità complessiva di ulteriori impegni che potrebbe diventare un punto di riferimento indipendente e scientifico alla discussione negoziale. Per molti versi, questo rapporto è un test della capacità dell’attuale management dell’IPCC di fornire supporto a quel “Global stocktaking” che, atteso ogni cinque anni per la valutazione dell’implementazione degli impegni assunti, dovrebbe fornire un feedback agli Stati per i passi successivi, ai sensi dell’art. 14 dell’Accordo.

Vista l’urgenza dell’azione contro il riscaldamento globale, sarà importante che la comunità scientifica nazionale, almeno in parte presente in questo Rapporto, sappia essere all’altezza della sfida, facendo sentire la propria voce nel dibattito politico e tecnico nazionale sul tema del cambiamento climatico.

Ci auguriamo altresì che i mezzi di comunicazione italiani sappiano dare l’adeguata rilevanza a questo documento, che contiene informazioni di grandissima rilevanza. La stampa estera ha già iniziato a farlo, come mostra ad esempio, questo testo della BBC.

Testo di Valentino Piana e Stefano Caserini, con contributi di Sylvie Coyaud

La versione originale di quest'articolo è apparsa su Climialteranti.it con il titolo "Cosa aspettarsi dall’imminente Rapporto speciale dell’IPCC su 1,5 gradi di riscaldamento globale?"
Qui è possibile scaricare il Summary for Policymakers del Rapporto speciale dell'IPCC.

 


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