fbpx Poca ricerca nella strategia energetica italiana | Scienza in rete

Poca ricerca nella strategia energetica italiana

Primary tabs

Mappa dell’inquinamento luminoso in Europa. Credits: Avex 2013 / Frédéric Tapissier.

Read time: 7 mins

Il Documento del Governo del 10 maggio scorso in materia di Sistema Energetico Nazionale 2017 intende fornire, in attesa e come preparazione del testo finale, lo stato attuale dei lavori, presentando le linee di politica generale per il settore, oltre al lungo elenco di attori che sono stati interpellati dal Governo. E' ampiamente nota la dimensione economica, sociale e ambientale del tema Energia e quindi la complessità delle tematiche che si pongono sia a livello territoriale sia a livello delle relazioni internazionali, queste ultime uno delle questioni più complesse e discusse, passando dalle due crisi energetiche degli anni '70 sino agli attuali conflitti con dimensioni terroristiche.

Il nodo combustibili fossili

La dimensione degli scambi commerciali in materia di prodotti combustibili è un aspetto ancora centrale della politica internazionale che, anche se non affrontato espressamente nel documento, potrebbe avere delle ricadute tali da stravolgere qualsiasi conclusione precedente. A questo proposito s'intende citare solo una questione, sostanzialmente assente, nel dibattito, ma del tutto rilevante, e cioè la concomitanza tra l'obiettivo di ordine ambientale che impone una forte e progressiva riduzione dell'utilizzo dei combustibili fossili, e l'economia di molti paesi in via di sviluppo che si reggono sull'esistenza del mercato di questi prodotti. Se si vogliono impedire scontri altrimenti inevitabili, i contrasti derivanti da quelle differenti posizioni devono trovare delle sedi internazionali per essere esaminati e da dove emanare indicazioni e prescrizioni che potrebbero anche incidere sulle decisioni della Strategia energetica nazionale 2017. 

Consultati i privati, non gli enti pubblici di ricerca

In questo quadro il documento presentato a maggio intende proseguire il lavoro esposto nell'edizione precedente del marzo scorso, relativo all’elaborazione di “uno strumento per individuare le scelte strategiche“, per “definire le priorità di azione ed indirizzare le scelte di allocazione delle risorse nazionali” e , infine, per “gestire il ruolo chiave del settore energetico come abilitatore della crescita sostenibile del Paese”. Il documento presentato contiene anche l'elenco delle Società e delle Associazioni interpellate per la stesura del docuemento finale. Si tratta di attori privati che, se servono per raccogliere specifiche proposte connesse ai loro legittimi interessi, sono momenti di consultazione del tutto apprezzabili. Un po' meno se devono essere anche gli autori o i co-autori di quei contenuti sopra ricordati. E questa non è una posizione di discriminazione degli attori privati ma semplicemente l'ovvio riconoscimento del loro ruolo e delle loro finalità che non collimano necessariamente con gli obiettivi contenuti (a parole) nella presentazione del Documento. La questione dovrebbe essere del tutto evidente anche perché nella versione del marzo precedente si riconosce che nel corso della sua elaborazione “è previsto l'ampio coinvolgimento di Enea, Ispra” (e bisognerebbe aggiungere anche altri nomi, oltre quelli indicati), cioè di quegli attori del Sistema della ricerca nazionale che in materia di SEN hanno quelle specifiche conoscenze e senza le quali sembra difficile discettare sugli obiettivi posti in discussione. Enti pubblici di ricerca che dovrebbero essere consultati, quindi, preventivamente. Se ne deve dedurre che, al momento attuale, il sistema degli enti pubblici di ricerca non ha partecipato alla definizione delle linee generali e degli obiettivi in questione. Certi vuoti e certi pieni lasciano comprendere, peraltro, la natura e la specializzazione degli autori e questo conferma quell’osservazione di merito iniziale circa l'inopportunità di una simile consultazione. L'unico rimedio a questo punto dovrebbe essere quello di presentare anche il testo di questi contributi.

Poiché è poco credibile che nessuno degli attori del sistema della ricerca pubblica si sia fatto vivo, occorre pensare che sia stato il Ministero a escludere inizialmente questi interlocutori. E poiché questa decisione potrebbe essere una novità significativa, si potrebbe essere tentati di escluderla, a meno di una conferma da parte del Ministro stesso. Qualunque sia stata la situazione, questo interrogativo deve avere, comunque, una risposta, se non si vuole mettere in discussione l'intero documento e l'intero operato del Ministro. 

Poca attenzione allo sviluppo sostenibile

Nel documento governativo, il settore energetico viene qualificato come “abilitatore della crescita sostenibile del Paese”. Una definizione certamente originale, ma che può valere per una gamma troppo ampia di indicazioni politiche. Volendo restringere il campo sembrerebbe opportuno ricordare una debolezza storica del nostro sistema energetico, che non potendo contare su sufficienti risorse energetiche naturali, ha dovuto convivere per decenni con deficit sulla bilancia commerciale di svariate decine di miliardi di euro all'anno. Con il tempo è poi emerso anche l'effetto negativo di questo onere in materia ambientale e la necessità, imposta anche da accordi internazionali, di ridurre significativamente questi effetti. Se si vuole indicare il “che fare” con un SEN che sia effettivamente efficace ai fini dello “sviluppo sostenibile” del nostro Paese, il ricorso alle nuove tecnologie energetiche rinnovabili avrebbe l'incomparabile vantaggio di poter ridurre gli effetti ambientali e, in parallelo, di ridurre gli oneri finanziari che gravano sul bilancio pubblico; tema quest'ultimo del quale non sembra, stranamente, esserci traccia nell'attuale documento del Governo.

Rinnovabili all'italiana

Perché si verifichino anche questi obiettivi fondamentali non è, tuttavia, sufficiente sostituire le centrali termoelettriche con centrali solari, eoliche o simili. Come è noto il costo di produzione del kwh comprende la somma del costo dell'impianto e del costo del combustibile. Supponendo, per semplicità, che i costi di produzione del kwh con le varie tecnologie siano sostanzialmente simili, sia se prodotti con centrali termoelettriche sia con tecnologie energetiche rinnovabili, è evidente che il vantaggio economico sulla bilancia dei pagamenti e sull’occupazione si verifica se si elimina l'acquisto del combustibile importato, ma nel contempo non lo si sostituisce con l'acquisto all'estero dell'impianto a fonti rinnovabili, che avrebbe, oltretutto, un costo maggiore. In definitiva sembra che l'innovazione tecnologica offra al nostro paese un’occasione straordinaria per un percorso lungo uno sviluppo sostenibile sia dal punto di vista economico, che ambientale, che sociale. Certo quest’occasione non può essere analoga a quella offerta dal Governo alcuni anni fa, quando venne convinto - non è chiaro da chi - ad incentivare le fonti energetiche rinnovabili concedendo forti incentivi, coperti caricandoli sulla bolletta degli utenti. Senonché questi incentivi erano calcolati sui kw installati indipendentemente dall'origine dell'impianto. L'ovvio risultato fu un deficit commerciale sul fotovoltaico che oltrepassò per un anno i 10 miliardi di euro, per cui l'incentivo venne rivisto e ridotto e sulla vicenda venne steso un opportuno silenzio. Il fatto che ora in questo nuovo documento sulla politica energetica si riconosca il ruolo crescente delle fonti rinnovabili, ma senza nulla dire su come cogliere questa opportunità, è un punto centrale da chiarire e da modificare.

La contraddizione di uno sviluppo senza ricerca

Sarebbe necessario che nella definizione degli obiettivi ambientali, che prevedono la crescita della penetrazione delle rinnovabili, non venga seguito il “non modello” sopra ricordato, sapendo, inoltre, che l'alternativa positiva implica il ricorso a iniziative di politica tecnologica con il supporto essenziale del sistema della ricerca. Un supporto del tutto necessario essendo, in linea generale, le nuove fonti energetiche non solo originate dallo sviluppo di nuove conoscenze ma, anche quelle già sul mercato, ancora fortemente condizionate dagli sviluppi tecnologici in corso. Utilizzare le strutture di ricerca pubbliche che, secondo il documento attuale, prima o poi, dovrebbero essere coinvolte, è quindi un’operazione di semplice buon senso, ma che potrebbe essere anche di maggior rilievo. Su questo aspetto dell'innovazione tecnologica la strategia governativa offre una troppo facile occasione di critica: in un settore come quello dell'energia, dove il guardare avanti vuol dire avere una cognizione dello sviluppo non di alcuni anni ma di alcuni decenni, dedicare a questo aspetto poche e marginali righe, risulta insufficente e tradisce la decisione, almeno per ora di non affrontare la questione del rilnacio della ricerca nazionale e di demandare ad altri paesi il protagonismo in questo settore.

Poca attenzione a un corretto libero mercato dell'energia

Per questo è urgente che il Governo renda pubblico il risultato di una consultazione a 360 gradi, conferendo al Documento il valore di una partecipazione e di un consenso orizzontale. In assenza di questa documentazione, gli attori finora coinvolti nella consultazione potrebbero liberamente assumere posizioni diverse, compresa quella, che sembra essersi già manifestata, di smentire la dichiarazione del Governo in materia di consultazione. La necessità di un supplemento informativo non è solo un’ovvietà, ma nasce anche dal fatto che questo Documento, a partire dalla sua stessa concezione, lascia tuttora aperte alcune questioni fondamentali: dalle capacità del Paese di mettere in opera un sistema competitivo a livello internazionale di produzione delle tecnologie rinnovabili, evitando soluzioni che aumenterebbero ulteriormente la nostra dipendenza energetica; alla questione della gestione della fornitura energetica sul mercato degli utenti finali, dove sembrano crescenti le pratiche commerciali scorrette e, quindi, la necessità di rafforzare gli interventi dell'Autorità per l'energia e dell'Antitrust in modo da sanzionare più rapidamente e severamente questi comportamenti. Tutto questo se s'intende effettivamente cogliere l'opportunità e l'interesse per l'utente finale verso un effettivo libero mercato dell'energia. Un altro tema che sembra essere marginale, almeno nell’attuale versione del documento governativo.

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

La COP29 delude. Ma quanti soldi servono per fermare il cambiamento climatico?

Il presidente della COP 29 di Baku, Mukhtar Babayev, chiude i lavori con applausi più di sollievo che di entusiasmo. Per fortuna è finita. Il tradizionale tour de force che come d'abitudine è terminato in ritardo, disegna un compromesso che scontenta molti. Promette 300 miliardi di dollari all'anno per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare la transizione, rimandando al 2035 la "promessa" di 1.300 miliardi annui richiesti. Passi avanti si sono fatti sull'articolo 6 dell'Accordo di Parigi, che regola il mercato del carbonio, e sul tema della trasparenza. Quella di Baku si conferma come la COP della finanza. Che ha comunque un ruolo importante da giocare, come spiega un report di cui parla questo articolo.

La COP 29 di Baku si è chiusa un giorno in ritardo con un testo variamente criticato, soprattutto dai paesi in via di sviluppo che hanno poca responsabilità ma molti danni derivanti dai cambiamenti climatici in corso. I 300 miliardi di dollari all'anno invece dei 1.300 miliardi considerati necessari per affrontare la transizione sono stati commentati così da Tina Stege, inviata delle Isole Marshall per il clima: «Ce ne andiamo con una piccola parte dei finanziamenti di cui i paesi vulnerabili al clima hanno urgentemente bisogno. Non è neanche lontanamente sufficiente.