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Il potente soffio del quasar

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Quando gli astronomi - si era nella seconda metà degli anni Cinquanta - scoprirono in cielo alcune sorgenti radio particolarmente intense il cui segnale sembrava provenire dal nulla rimasero piuttosto perplessi. Immagini più profonde acquisite qualche anno più tardi mostrarono che quelle emissioni sembravano provenire da oggetti puntiformi, dall'aspetto stellare. Questo spiega perché, nel maggio 1964, all'astrofisico Hong-Yee Chiu venne in mente di battezzarle con il nome di quasar (quasi-stellar radio source).

Fino ai primi anni Ottanta gli astronomi discussero animatamente sulla possibile natura di quelle radiosorgenti e su quali meccanismi fisici potessero liberare una simile energia. Pian piano, con l'aumentare della mole e della qualità delle osservazioni, cominciò a consolidarsi l'idea che i quasar fossero galassie estremamente distanti (dunque molto giovani) che ospitavano qualche fenomeno particolarmente energetico. Oggi sappiamo che quell'energia è riconducibile a un buco nero supermassiccio (milioni o persino miliardi di masse solari) ed estremamente attivo che quelle galassie ospitano nelle loro regioni centrali. L'intenso campo gravitazionale del buco nero attira verso di sé la materia circostante convogliandola a disporsi in una struttura a disco (detta disco di accrescimento). Le alte temperature dovute agli attriti nella materia che compone il disco di accrescimento lo portano a emettere radiazione (luce visibile e ultravioletta) che, quando interagisce con gli elettroni di elevata energia presenti nelle immediate vicinanze, genera radiazione X.

Proprio la rilevazione e lo studio della radiazione X proveniente da un quasar ha permesso al team coordinato da Emanuele Nardini (Keele University) di scoprire quanto possa essere stretto il legame che si instaura tra una galassia e il buco nero che ospita. La ricerca, pubblicata nei giorni scorsi sulle pagine di Science, ha potuto fare affidamento sui dati raccolti in cinque differenti periodi - tra l'agosto e il settembre 2013 e il 26 febbraio 2014 - sia dall'osservatorio spaziale europeo XMM-Newton (X-ray Multi-Mirror Mission), sia dall'osservatorio NuSTAR (Nuclear Spectroscopic Telescope Array) dell'agenzia spaziale statunitense. Nel mirino dei ricercatori - dei quali facevano parte anche astrofisici italiani degli Osservatori di Arcetri e di Brera e dell'Università “Roma Tre” - il quasar PDS 456, una galassia distante 2,4 miliardi di anni luce in direzione della costellazione del Serpente che ospita nel suo cuore un buco nero particolarmente attivo la cui massa ammonta a circa un miliardo di masse solari. La sua distanza, eccezionalmente ridotta per un quasar, lo rende il soggetto ideale per provare a carpire a questi oggetti celesti i loro segreti.

Negli ultimi tempi si erano già ottenute conferme osservative parziali che l'intensa attività del buco nero potesse sfociare nella produzione di potentissimi venti, veri e propri uragani cosmici in grado di soffiare la materia lontano dal buco nero con velocità relativistiche. Il fenomeno, per le enormi difficoltà di simili osservazioni, non era però ancora del tutto chiaro. Le incertezze impedivano insomma di valutare l'effettivo ruolo giocato da buchi neri così attivi nel cammino evolutivo delle galassie che li ospitano.

Il team di Nardini ha potuto ricostruire i dettagli di quanto avveniva nel cuore di PDS 456 raccogliendo i segnali emessi dagli atomi di ferro altamente ionizzati. Mentre le osservazioni di XMM-Newton hanno permesso di individuare il flusso degli atomi sospinti dal soffio del buco nero verso di noi, quelle di NuSTAR hanno permesso di identificare il segnale emesso dagli atomi di ferro soffiati in direzione laterale: per la prima volta, dunque, si è potuto osservare come quei potentissimi venti si propaghino tutt'intorno al buco nero, espandendosi in ogni direzione. E' proprio la sinergia dei due osservatori orbitanti la chiave dell'importante scoperta. Le osservazioni delle linee di assorbimento (raccolte da XMM-Newton) e di emissione (raccolte da NuSTAR) degli atomi di ferro cadono nell'intervallo di energia accessibile alle due strumentazioni e proprio grazie a entrambi gli osservatori è stato possibile ricostruire il continuo della radiazione per energie più elevate (NuSTAR) e per quelle meno elevate (XNN-Newton).

La qualità dei dati raccolti ha permesso ai ricercatori di valutare l'entità del fenomeno, confermando che quegli uragani soffiano a velocità elevatissime - fino a un terzo della velocità della luce - e che il materiale che trasportano ammonta a circa dieci masse solari ogni anno. Si tratta dunque di un fenomeno incredibilmente energetico, che rende ragione di circa un quinto dell'intera energia del quasar. Per avere una pallida idea dell'energia trasportata da quel potentissimo soffio, basti dire che ammonta a dieci miliardi di miliardi di volte quella che il nostro Sole rilascia nel vento solare.

Più che ragionevole, dunque, suggerire che un fenomeno di tale intensità possa davvero innescare un meccanismo di risposta (feedback) del sistema-galassia. Il potente soffio del buco nero, infatti, finisce col privare la galassia del materiale indispensabile per nuove stelle, regolando di fatto al minimo il ritmo della sua produzione stellare. L'azione degli uragani osservati in PDS 456, insomma, spiegherebbe come mai le attuali galassie non siano così indaffarate a produrre stelle.

Per approfondire l’argomento abbiamo contattato Emanuele Nardini, astronomo italiano in forza all’X-ray Astrophysics Group della Keele University (Regno Unito), che con grande disponibilità ha accettato di rispondere ad alcune domande.

La scoperta compiuta con i suoi collaboratori è un tassello davvero importante per chiarire il legame che unisce una galassia con il buco nero che ospita. L'esistenza di un simile legame, però, non è una novità. Qual è, dunque, l'aspetto innovativo che caratterizza il vostro studio?  Nella raccolta dei dati, quale è stato l'aspetto più insolito e inatteso nel quale vi siete imbattuti?

Su scala galattica, flussi di enormi masse di gas verso l'esterno sono già stati osservati in vari casi. Si pensa che questi venti abbiano origine in prossimità del buco nero centrale, dove il processo di accrescimento libera quantità di energia tali da sostenere la propagazione e l'accumulo di materia fino a grandissime distanze. In un certo senso, il nostro studio offre un'istantanea della fase iniziale di questo effetto valanga. Sapevamo che dal disco di accrescimento di PDS 456 partivano sbuffi di gas di altissima velocità, fino a un terzo della velocità della luce. Questo perché gli atomi di ferro trascinati dalle raffiche rivolte verso di noi bloccano parte della radiazione retrostante, in particolare i raggi X di una certa energia provenienti dalla regione che circonda il buco nero. In aggiunta all'attenuazione prevista, la vera sorpresa nelle nuove osservazioni è stata l'identificazione di una componente di emissione, dovuta al gas che viene espulso non lungo la nostra linea di vista, ma in tutte le altre direzioni. Conoscere la geometria del vento ci ha finalmente permesso di misurare con precisione la quantità di massa e di energia da esso trasportata verso l'esterno e che proprio grazie alla grande apertura angolare è molto maggiore che nel caso di un vento confinato in un fascio ristretto. Di conseguenza, molto maggiori sono anche gli effetti a cui l'intera galassia è potenzialmente sottoposta una volta investita da questa sorta di bufera.

Credo che un grosso vantaggio - da voi egregiamente sfruttato - sia stato quello di poter osservare un quasar relativamente vicino. Di solito, i quasar che stanno attraversando lo stadio che caratterizza PDS 456 sono circa quattro volte più distanti, dunque molto più antichi. Come mai PDS 456 è così "in ritardo" nel suo percorso evolutivo?  A cosa è dovuto il fatto che questo quasar così prezioso sia stato scoperto solamente in tempi relativamente recenti?

PDS 456 è sicuramente un oggetto anomalo per la distanza a cui si trova. Se si escludono le radiogalassie, PDS 456 è molto probabilmente il quasar più luminoso entro 3 miliardi di anni luce da noi. Non è facile dare una spiegazione del perché stia attraversando questa fase evolutiva con molti miliardi di anni di ritardo. Può trattarsi di un semplice caso, ma potrebbero anche essere sopraggiunti motivi esterni che hanno portato alla sua attivazione, per esempio il disturbo gravitazionale di una galassia vicina o una vera e propria collisione. Questa è senza dubbio l'ipotesi più affascinante, ma una conferma può arrivare soltanto attraverso ulteriori studi sulla morfologia e sulle proprietà dell'intero sistema, peraltro resi estremamente difficili dalla natura stessa di PDS 456. Un quasar, infatti, ha per definizione un'apparenza di tipo stellare, essendo centinaia o migliaia di volte più luminoso della galassia ospite. Se da quest'ultimo punto di vista la brillantezza di PDS 456 rappresenta un chiaro ostacolo, è anche vero che né questa né la relativa vicinanza ne hanno favorito l'identificazione, avvenuta soltanto nel 1997 e quasi per caso, nel corso di una ricerca di stelle giovani dall'osservatorio di Pico dos Dias, in Brasile (PDS non è altro che l'acronimo di Pico dos Dias Survey). La ragione di questa scoperta tardiva risiede nelle coordinate di PDS 456, che si trova in una zona di cielo particolarmente affollata vicino al centro della nostra Galassia.

Fino a quale distanza dal buco nero è stato possibile rilevare i poderosi venti che innesca? Dai modelli che provano a ricostruire l'azione di tali venti sul materiale galattico emerge solamente un ruolo "distruttivo" (dispersione del materiale) oppure vi possono essere anche ricadute "costruttive" (episodi di formazione stellare)?

Con le osservazioni in banda X la scala di distanze che andiamo a esplorare è quella del disco di accrescimento interno. Le dimensioni tipiche sono paragonabili all'estensione del nostro sistema solare ed è per questo motivo che non esistono immagini (ma soltanto ricostruzioni grafiche) dei dischi di accrescimento in questi sistemi e che le informazioni spaziali devono essere estratte dallo spettro della radiazione osservata. A maggior ragione per un oggetto comunque distante come PDS 456. Dalla risposta del gas alla radiazione a cui è sottoposto, stimiamo che il punto di lancio del vento si trovi a circa un migliaio di unità astronomiche (cioè mille volte la distanza tra Terra e Sole) dal buco nero. All'apparenza può sembrare una distanza molto grande, ma rapportata al sistema solare equivale a soli 150 km. Per capire fino a dove il vento si sia già spinto, però, occorrono osservazioni complementari in bande spettrali diverse, come ultravioletto e radio. Dal punto di vista teorico, il ruolo distruttivo che i venti avrebbero a grande distanza fornisce una spiegazione alla mancanza di oggetti come PDS 456 nell'Universo locale. Non osserviamo più quasar simili perché la loro riserva di gas è già stata dispersa in epoche precedenti. Dal punto di vista osservativo, esistono diversi studi a sostegno di questi effetti negativi sulla galassia ospite, ma ce ne sono anche altri che non riscontrano alcun impatto o addirittura suggeriscono un'influenza positiva, secondo cui l'azione del quasar stimolerebbe la formazione stellare anziché inibirla. L'esatta natura di questi effetti è determinata dalle proprietà e dalla struttura del mezzo interstellare e dal tipo di interazione che si instaura tra questo e il vento del quasar. Si tratta pertanto di un campo di ricerca tuttora apertissimo.

L'innesco di questi venti finisce ovviamente col privare il buco nero del suo "nutrimento". Quali sono i tempi scala che caratterizzano questa fase evolutiva di una galassia?  Terminata questa fase di violenta espulsione di materiale, quale sarà il destino che attende PDS 456 e il suo buco nero?

La fase di attività di una galassia legata all'accrescimento del buco nero centrale ha una durata tipica di qualche decina di milioni di anni. Il valore esatto dipende dalla luminosità e quindi dall'efficienza di questo processo. Le condizioni per la creazione di venti distruttivi potrebbero esistere per un tempo molto più breve, magari solo pochi milioni di anni. L'energia rilasciata può essere comunque sufficiente per regolare - e infine bloccare del tutto - la crescita del buco nero stesso e la formazione stellare nelle regioni interne della galassia. Indipendentemente dalla violenza di tali fenomeni, al pari di tutte le galassie attive, PDS 456 è destinata a diventare quiescente come la nostra Via Lattea e come la maggior parte delle galassie che osserviamo vicino a noi (anche se molto più massiccia), dove la presenza del buco nero è riscontrabile solo per gli effetti gravitazionali e la formazione stellare si mantiene su livelli modesti.


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