La crisi economica che investe i paesi occidentali e l'Italia in particolare, non risparmia piccole medie e grandi industrie. Uscire dall'impasse richiede investimenti nella ricerca, come sembra insegnare l'esperienza tedesca e di altri paesi. Sulla ricerca stanno ora puntando molte aziende italiane. Fra queste, in campo farmaceutico, è interessante notare come le grandi aziende internazionali stiano rilanciano gli investimenti e stabilendo fruttuose collaborazioni con le università. Anche in Italia si hanno primi segnali di questa tendenza. E' il caso della Chiesi, un'azienda farmaceutica nata a Parma 75 anni fa. Nel 2010 l'azienda di Parma ha investito 150,1 milioni di euro (il 14,8 % del fatturato) seguendo una curva di crescita che in 5 anni ha portato al raddoppio del capitale investito in quest'area (figura 1).
Primo investitore fra le aziende farmaceutiche italiane, Chiesi si pone al tredicesimo posto fra le farmaceutiche europee e all'ottavo tra tutte le aziende di ogni settore esistenti nel nostro Paese (1).
I numeri di Chiesi
Il fatturato di Chesi ha superato 1 miliardo di euro nel 2010, ottenuto per il 70% da consociate estere, a dimostrazione della forte internazionalizzazione di questa azienda. La crescita dei ricavi è costante e in controtendenza rispetto all`andamento del mercato. Crescita che nel 2010 ha raggiunto il +16,4% rispetto all`anno precedente.
Chiesi sta ultimando a Parma la costruzione di un nuovo Centro Ricerche (figura 2), che sarà popolato a partire da luglio e che una volta a regime ospiterà più di 300 ricercatori. Inoltre Chiesi si cimenterà in una forma di collaborazione piuttosto innovativa (per l'Italia) tra azienda farmaceutica ed ente pubblico, iniziando dal prossimo mese di Giugno un progetto di ricerca preclinica con l'Università di Firenze su nuovi farmaci per malattie respiratorie; un'iniziativa sostenuta da finanziamenti erogati dalla Regione Toscana. La novità risiede nel fatto che l'azienda stabilirà la propria sede operativa all'interno del Dipartimento di Farmacologia, e opererà in laboratori congiunti, sempre all'interno del Dipartimento, fianco a fianco con i ricercatori del posto.
Questa collaborazione con l'Università di Firenze tende al superamento dello storico steccato che separa (in Italia soprattutto) ricercatori accademici e industriali. Normalmente gli uni guardano agli altri considerandoli utilizzatori senza scrupoli di scoperte scientifiche e dunque scienziati di rango inferiore. Di rimando gli altri guardano agli uni come utilizzatori di pubbliche risorse a cui non si applicano efficaci strumenti di verifica di cosa producono, e dunque li giudicano interlocutori spesso inaffidabili e incapaci di rispettare gli accordi presi.
La collaborazione fra pubblico e privato invece è ossibile e produttiva, come hanno dimostrato modelli sperimentati altrove e ora anche in Italia (2). L'humus che si crea quando si riesce a lavorare assieme senza pregiudizi fa sì che nuove conoscenze possano essere acquisite con il concorso di ricercatori dell'industria, mentre nuove soluzioni terapeutiche sono rese possibili con la partecipazione appassionata di ricercatori accademici.
La via della collaborazione sembra perlatro obligata, se solo si oe mente ad alcuni aspetti ormai sotto gli occhi di tuttii: (a) la creazione di un nuovo farmaco assomiglia sempre più allo sbarco dell'uomo sulla luna, richiedendo uno sforzo straordinario non solo economico ma anche di cultura e d’ingegno. L'industria da sola non può far fronte a tutto ciò, men che meno creando elefantiache ed autarchiche strutture interne di ricerca, destinate al collasso, come l`attualità insegna. Dall'altra parte (b) i tempi impongono all'Università di aprirsi a collaborazioni che le consentano di ricevere quel sostentamento che altrimenti verrebbe a mancare; senza rinunciare alla propria vocazione, ma anzi arricchendosi di nuovi strumenti che possano aprire ulteriori orizzonti di ricerca. D'altronde, farmacologia e chimica farmaceutica sono discipline in cui scienza e tecnologia non sono mai state tanto contigue, e continuare a tenere separati i due mondi appare sempre più un anacronismo.
1. The
2010 EU Industrial R&D Investment SCOREBOARD. (http://iri.jrc.ec.europa.eu/research/docs/2010/SB2010_final_report.pdf)
2. Melese T, Lin Sm, Chang JL & Cohen NH. Open
innovation networks between academia and industry: an imperative for
breakthrough therapies. Nature Medicine; 15, 502-507, 2009.